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Comunicazione e Sociologia (a cura di La Redazione) . A. XVI, n. 175, aprile 2022

Il lato oscuro
del cervello

di Massimiliano Bellavista
Una storia quasi
distopica ma reale
per Adelphi edizioni


Si parla spesso di accoglienza. Di accettazione. Di cambiamento. Facendo forza sui nostri istinti e spesso sul nostro egoismo, a volte riusciamo abbastanza felicemente ad aprirci al nuovo e al diverso. Ma cosa succede se si sposta il punto di vista al nostro interno? Fabio Bacà nel suo romanzo Nova (Adelphi edizioni, pp. 279, € 19,00) cerca di dircelo con un elegante miscuglio di tinte gotiche e di ironia. Ciò che emerge è in sostanza che il nostro cervello è un po’ come la luna, finisce che ne vediamo e ne apprezziamo sempre il lato illuminato, scordandoci del resto. Ma il resto c’è, eccome, e ben se ne accorge Davide, mite, stimato neurochirurgo e padre di famiglia, quando si imbatte in Diego, che sarà il suo nuovo, misterioso, maestro di vita.
«Dio ha creato il mondo con la violenza. L’universo si è espanso nel nulla in virtù della pura violenza. Le nostre anime sono state salvate da un atto di violenza». Diego sembra all’inizio un personaggio appena sbozzato, dal comportamento prevedibile e scontato, quasi un giustiziere. Ma poi le cose si vanno complicando perché è Davide stesso a rendersi conto che è il suo mondo borghese a essere prevedibile e scontato, un paese dei campanelli che ha espulso la violenza dai suoi orizzonti. Ma nel mondo reale esistono i pazzi, i maniaci, i capi sadici e i vicini aggressivi e il nostro lato oscuro ci rende simili a pentole a pressione pronte a esplodere all’improvviso: la nostra violenza nei loro confronti non è affatto morta, è lì, viva e vitale e l’alternativa è solo tra l’ignorarla o l’acquisirne consapevolezza e controllo. Nessuna delle due strade è priva di rischi: cosa fare se in un locale molestano tua moglie? Davide rimane paralizzato e poi traumatizzato dal peso della sua vigliaccheria, Diego invece sfodera un coltello e inchioda al muro l’aggressore con assoluta naturalezza.

Un tema non nuovo ma ben giocato e narrato
La questione non è affatto nuova. In fin dei conti il protagonista Davide condivide l’illusione di Prospero ne La tempesta shakespeariana, ovvero la convinzione di aver dominato la natura e aver posto ogni cosa sotto il suo controllo; ma per ogni Prospero, Stevenson ci insegna che c’è un Jekyll, e occorre venirci a patti per non fare la fine di Atlantide, come ce la racconta Platone nei suoi dialoghi.
Il patto luciferino che Diego propone al protagonista parte da alcune tesi, quasi un manifesto, con cui Diego non manca di indottrinare Davide. «La società moderna reprime gli istinti che non comprende o che non le fanno comodo. Inibisce l’aggressività individuale perché ritiene che confligga con l’idea di civiltà. Gesù è vissuto duemila anni fa: la sua morte violenta ha redento i nostri peccati. Abbiamo decantato la parabola del martirio di tutti i suoi contenuti edificanti, dimenticando che è stata la cruda violenza a restituirci il significato di quel sacrificio».
Diego è senza dubbio crudamente affascinante, e l’attrazione di Davide per il suo maestro a tratti non sembra solo razionale e istintuale, ma anche sensuale. In questo contesto l’autore è bravo a descrivere il magnetismo crescente tra questi due individui con formule e tecniche narrative affatto scontate. Proprio questa dinamica finisce per conferire spessore e verosimiglianza ai due personaggi nonché qualità a tutto il romanzo, facendo da contraltare a certi passi che a tratti tendono invece a essere troppo astratti e didascalici.
Oltre allo stile, è poi il gioco di rimandi e citazioni disseminate nel testo a divertire.

Pensare alla morte
Che fa Davide quando si sveglia? « A cosa pensa un uomo appena si sveglia? Cosa gli recapita la connivenza di inconscio e realtà? […] Probabilmente riflette su di sé, o sulla donna che gli dorme accanto. Forse pensa ai figli. […] Davide no. Davide pensa alla morte». Il pensiero di morte per Davide gioca due ruoli, uno evidente, l’altro non detto. Davide pensa alla morte come a uno spegnimento di problemi, o piuttosto a una loro sterilizzazione indolore. I pensieri legati ai problemi sul lavoro, a quelli familiari con sua moglie Barbara, salutista vegana e logopedista, e col figlio Tommaso, adolescente solitario, alle prese con i primi amorazzi giovanili; quelli sono il livello superficiale. Ma letterariamente la morte è spesso messaggera di cambiamento radicale nell’esistenza del protagonista.
Un altro che pensava alla morte era Pereira. Così inizia il romanzo di Tabucchi, analogamente a quello di Bacà. Pereira, il direttore della pagina culturale del Lisboa, un modesto giornale locale del pomeriggio, all’inizio del romanzo si trova in redazione a riflettere sulla morte. Il che non è assolutamente una novità per lui. La morte per Pereira è un pensiero ricorrente, anzi, un interrogativo a cui bisogna trovare risposta, magari interagendo con qualcuno che ama la vita. E come Pereira muterà radicalmente la sua esistenza grazie all’ incontro con Monteiro Rossi, così Davide cambierà abbracciando il lato oscuro e istintuale della vita proposto da Diego.
«Dominare la violenza o esserne dominati. Toglietemi di dosso l’epitelio della civiltà fino a esporre il sembiante scorticato del mio vero io. Non sono più solo un medico seduto al capezzale di un ragazzo. Sono il figlio prediletto della foresta e del fiume». Ma il cambiamento non ha mai fine e il finale in fondo è un finale ambiguo e aperto. Buona lettura.

Massimiliano Bellavista

(www.bottegascriptamanent.it, anno XVI, n. 173, febbraio 2022)

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
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