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Problemi e riflessioni (a cura di La Redazione) . A. XVI, n. 173, febbraio 2022

Il potere di riscoprirsi
migliorando il passato

di Mario Saccomanno
Per Armando editore il libro di Marco Brusati
sarà presentato alla Fiera dell’Editoria di Roma


Nel 1903 il filosofo e sociologo tedesco Georg Simmel diede alle stampe un saggio, Le metropoli e la vita dello spirito, in cui passò in rassegna le caratteristiche peculiari della vita metropolitana. Nelle analisi sottolineò come le persone, in ogni ritaglio delle loro esistenze, mostrassero un aumento considerevole di stress e di ansia. Ancor di più, a questi aspetti si aggiungeva l’indifferenza e la solitudine.
Per Simmel, nel vivere metropolitano degli uomini l’aspetto razionale andava sempre più ad appiattire il lato sentimentale. Da qui, l’inevitabile formarsi di individui poco propensi al cambiamento. Conseguentemente, l’uomo delle metropoli era segnato da un paradosso: pur restando a contatto costantemente coi suoi simili, nutriva un nuovo tipo di solitudine che non di rado tracimava al punto da generare odio.
È innegabile che le tendenze mondiali dal 1903 in poi hanno mostrano come il fenomeno dell’urbanizzazione sia cresciuto in maniera rilevante, evidenziando considerevoli variazioni nelle diverse parti del globo. Anche oggi, le dimensioni delle città continuano ad aumentare vertiginosamente, così come il numero delle persone che decidono di abitarci.
Sembra quasi un processo esponenziale e irrefrenabile. Eppure, non manca chi si oppone a questa condizione che segna marcatamente la contemporaneità. Succede anche nel costellato panorama letterario. Indubbiamente, un testo facente parte della “Scuderia letteraria” di Bottega editoriale permette di avanzare numerose analisi a riguardo. Si tratta de Il bosco dei castagni (Armando editore, pp. 352, € 17,00) di Marco Brusati: il romanzo sarà presentato, nella cornice della Fiera di Roma, Più libri più liberi, il 6 dicembre alle 15.30 nella Sala Giove.

Sfrangiare la solitudine e la manchevolezza attraverso il ripristino del vissuto
Si è già avuto modo di mettere in risalto alcuni aspetti contenuti nel libro citato poc’anzi, sottolineando, tra le altre cose, come «nelle pagine di Brusati l’evocazione dei fantasmi del passato traspare da un minuzioso realismo descrittivo» e di come la narrazione, mentre si sofferma a particolarizzare dettagliatamente le vicende dei protagonisti, riesca a cogliere «il respiro invisibile della natura» (Cfr.: articolo a firma di Guglielmo Colombero http://www.bottegascriptamanent.it/?modulo=Articolo&id=2450&idedizione=180).
Sono aspetti fondamentali che verranno inevitabilmente ripresi anche in questo frangente in cui l’obiettivo primario risulta essere quello di evidenziare quanto, nei contenuti del romanzo, Brusati mostri a chiare lettere come si possa sperimentare un nuovo tipo di vita a partire dal bisogno di rimestare il passato, di scavare a fondo nella storia e nelle proprie radici. Da questa necessità, si giunge all’opportunità di sfrangiare, anche collettivamente, quella solitudine e quella manchevolezza, analizzate in precedenza, che vengono provate in maniera sempre più evidente da svariati individui nella contemporaneità.
Già in apertura, l’autore offre il suo tentativo di ripristino del vissuto attraverso la descrizione di uno spazio circoscritto geograficamente che mantiene comunque una patina decisiva di indefinibilità. Quest’ultimo aspetto è fondamentale poiché permette al lettore di identificare il luogo con le proprie radici e, ancor di più, di sentire una comunanza più prossima ai caratteri dei protagonisti, intenti a dare sempre maggiore concretezza alla loro possibilità di creare una nuova esistenza, come presto si vedrà. Scrive Brusati: «Adagiate a mezza costa sul versante occidentale dell’Appennino umbro-marchigiano, non distanti dal capoluogo umbro, riposavano le rovine di un borgo di cui non erano più nemmeno indicate le vie d’accesso».

La giusta faccia del progresso
Un celebre autore della letteratura mondiale, Lev N. Tolstoj, dal momento in cui avvenne quella che lui stesso definì rinascita spirituale, si concentrò ampiamente sui temi a suo dire più stringenti dell’epoca in cui visse. Indagò a fondo la fiducia che l’uomo riservava nella scienza e nel progresso. Proprio in quella cieca fiducia collocò i mali più grandi dell’uomo del suo tempo.
Espose le sue teorie in miriadi di saggi, romanzi, opuscoli e lettere dallo stampo fortemente filosofico-morale. La soluzione che propose per ribaltare il lento e inesorabile declino sociale e religioso fu il bisogno di riaffacciarsi con più coscienza nel passato. Gli uomini avrebbero dovuto conoscere a fondo le proprie radici, non rifiutarle con tono sprezzante. Da lì, utilizzandole ampiamente nel loro presente, avrebbero potuto beneficiare davvero dei frutti della scienza e del progresso.
Di quanto il modo di intendere il progresso di cui parlò Tolstoj fosse davvero nocivo lo attesta la storia del Novecento, su tutto l’uso del nucleare durante il secondo conflitto mondiale.
In modo differente, anche Brusati compie una feroce critica al progresso nel suo libro. Lo fa principalmente mostrando il bisogno impellente di immergersi in un contesto altro rispetto allo scorrere repentino e disomogeneo del presente. Inevitabilmente, il suo sguardo è rivolto soprattutto al panorama italiano. Il lettore troverà anche questo aspetto sin dalle prime righe del romanzo. Uno stralcio contenuto nel testo può riassumere questa posizione: «L’Italia è disseminata di antichi borghi in diverso stato di conservazione e di abitabilità, che rappresentano una ricchezza unica del territorio, della cultura e una testimonianza concreta della storia».
Dunque, la critica al progresso di Brusati è rivolta soprattutto all’abbandono graduale di questa ricchezza. Nella caratterizzazione dei personaggi, in particolare delle figure chiave del romanzo, il senso di distacco e di insoddisfazione può essere colmato soltanto a partire da un contatto con le proprie radici. Dunque, subentra il bisogno impellente di compiere una ricerca, di uno spingersi oltre quei soliti confini in cui prende corpo quella vita amorfa di cui si è detto in apertura. Nel libro, l’indagine sfocia nel bisogno di rovistare nella natura, farlo per cercare e, soprattutto cercarsi. Lì si giunge a calpestare il passato, a fare i conti coi resti delle proprie radici. Nel testo l’approdo ha un nome: Borgo Addormentato. Abbandonato al proprio destino, ha bisogno di essere riscoperto, ha la necessità di essere rivissuto, rivitalizzato fin dal nome che, non possedendolo, viene creato: Rota.
Sia chiaro: non siamo dinanzi a una critica totale del presente. In Brusati si percepisce più che altro il bisogno di amalgamare i tasselli dell’oggi coi tratti del passato. C’è a tutti gli effetti un processo dialettico che deve essere urgentemente compiuto affinché le caratteristiche preminenti di ogni individualità possano compiutamente essere soddisfatte.

Tendere verso le proprie radici come antidoto al presente
«Le sorti di ciascuno sono in gran parte casuali, dettate dai piccoli e spesso imprevedibili eventi di cui è puntellata la storia. Rimangono quindi rovine interessanti in posti piacevoli, se non decisamente belli, che aspettano la possibilità di risvegliarsi». Ecco l’altro aspetto fondamentale che emerge dalla lettura del testo che occorre mettere in risalto per avvalorare quanto affermato fino a questo momento: Brusati rende nitida la possibilità del risveglio improvviso non solo dei borghi, ma anche degli uomini.
La valle che ospita le rovine del Borgo Addormentato si trova a pochi chilometri dal paese dove la vita presenta tutte le pulsioni moderne. Per motivi non evidenti – ed è su questi aspetti che ramifica la fitta parte investigativa e cronachistica del romanzo – il borgo è abbandonato a se stesso, risultando soltanto meta occasionale di passeggiate e pranzi al sacco da godersi negli spiazzi al sole o all’ombra degli alberi. Di più: il borgo versa in condizioni tali che sembra non possedere storia.
A venire a contatto coi resti di quel luogo sono persone che, parimenti, sembrano non avere più una scintilla che possa dar valore alla loro quotidianità. Dunque, i protagonisti delle vicende di Brusati sono individui impelagati nelle loro convinzioni espresse perlopiù in solitudine o nella noia di una vita sedentaria.
Eppure, con la forza data dalla comunanza, in un contesto che esula rispetto a quello vissuto quotidianamente, poiché la riscoperta del Borgo Addormentato avviene in una gita domenicale, riescono a trovare la forza di costruire una nuova realtà e, conseguentemente, a sentirsi pienamente partecipi delle proprie azioni a tal punto da divenire padroni delle proprie esistenze.
Da quanto detto, sarà ormai evidente come nel romanzo, l’azione di riscoperta vada di pari passo con la caratterizzazione dei protagonisti delle vicende. Comprendere il luogo, significa comprendere se stessi; ricostruirlo significa ricostruirsi. Mentre Brusati passa in rassegna gli umori che segnano le azioni che conducono gradualmente a prendere le decisioni che danno nuova vita al luogo nel romanzo si legge una frase perentoria che sintetizza quanto affermato poc’anzi: «Capirono che stava prendendo forma una resurrezione».
Non solo: il gesto di far rivivere Rota risulta essere un tramite affinché altre persone possano godere dei tratti di una nuova esistenza. Infatti, si assiste a «una rivitalizzazione del territorio e della sua eredità culturale». È a tutti gli effetti una resurrezione collettiva. Non a caso, nella seconda parte del libro, Brusati dà spazio all’indagine giornalistica sui tratti della nuova vita degli abitanti del posto.
Leggendole nel libro si ha sempre dinanzi un resoconto di vite differenti l’un l’altra e mai una mera elencazione. Di conseguenza, ogni figura che compare nel testo è sempre contrassegnata da infiniti dubbi, da pentimenti e da continui bisogni di costruirsi nuove fragili strade.
In fin dei conti, il romanzo è un’analisi investigativa, un pungolo capace di mostrare come sia possibile dar luce a un modo di vivere contrassegnato dalla possibilità di scegliere.
A questo punto risulta proficuo riportare quanto ha notato il docente universitario di Teoria della Letteratura Marco Gatto nella Prefazione, il testo «restituisce al lettore una pluralità di suggestioni, una ricchezza di sollecitazioni e una varietà di intenzioni narrative, alla cui base sta il bisogno di raccontare, di dar vita a un mondo e di comunicare una concezione della vita».
Concludendo, Brusati indica soprattutto il modo attraverso cui le scelte che possono e devono essere compiute da ogni singolo individuo risultano in grado di condurre alla capacità di costruire luoghi in cui vivere una socialità più compiuta rispetto a quella che contraddistingue il presente. Se quest’ultima sembra contrassegnata sovente dalla solitudine e dal distacco sia da se stessi, sia dagli altri, quanto propone l’autore è la possibilità di approdare su un terreno in un certo senso vergine, in cui nella costruzione chiunque può contribuire col suo sguardo e con le sue scelte.

Mario Saccomanno

(www.bottegascriptamanent.it, anno XV, n. 171, dicembre 2021)

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
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