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Storia (a cura di La Redazione) . A. XV, n. 170, novembre 2021

Zoom immagine Una saga familiare
che risveglia
le emozioni

di Rosita Mazzei
Un romanzo storico sullo sfondo
del Reich. Per Mohicani edizioni


Nell’inverno del 1968 ci fu un terremoto così potente da scuotere la Sicilia nord occidentale. Questa è la prima informazione che ci viene fornita aprendo un libro che si fa romanzo e richiamo storico allo stesso tempo. «La forza devastatrice non rispettò le lacrime ed il dolore di nessuno anzi dove c’era miseria ancor più sembrò voler infierire». Tali parole così profonde e significative immergono immediatamente il lettore nell’opera che si sta per analizzare. Valeria Richichi Fecarotta ci fa dono del suo libro L’ombra del Reich nel terremoto del Belice (Mohicani edizioni, pp. 76, € 12,00) in cui veniamo a conoscenza della famiglia Amari-Mirabella e degli avvenimenti in cui si ritrovò coinvolta.

Una saga familiare dal gusto agrodolce
I romanzi di genere saga familiare sono delle narrazioni incentrate sulle vicende di una determinata dinastia, analizzando, in tal modo, i vari personaggi di generazione in generazione. Ed è proprio questo che ci viene servito dall’autrice che, in maniera magistrale, attraversa quasi mezzo secolo per accompagnarci nella crescita di un nucleo familiare della media borghesia siciliana, mentre varca i drammi storici che caratterizzarono la prima metà, e non solo, del Novecento.
Proprio perché coinvolto nelle varie vicende storiche che lo contraddistinguono, il testo della scrittrice non può non far riflettere sugli enormi cambiamenti culturali che colpirono la società di inizio secolo scorso, scossa nelle fondamenta dal fascismo prima, e dal secondo dopoguerra dopo.
Il romanzo si apre con uno degli ultimi membri della famiglia presentata per poi ripartire dalle vicende iniziali accompagnando il lettore alla scoperta delle eventi che hanno portato al capolinea raccontato. Quello che colpisce di questa storia non sono solo i vari personaggi che la popolano, ma sono soprattutto i luoghi. Luoghi che hanno saputo superare il mero ruolo di ambientazione e da palcoscenico si sono tramutati in veri e propri attori. La villa di campagna appartenente alla stirpe Amari era stata costruita a fine Ottocento e diventa il fulcro delle estati familiari prima, poi della salvezza bellica.
I personaggi riportati, nel prosieguo delle vicende narrate nel testo, vengono analizzati uno per uno nelle loro mille sfaccettature, essendo credibili in ogni situazione e non perdendo mai la propria personalità.

Una nascita infelice
La nascita della piccola Ornella non fu sancito con la gioia tipica di un evento così lieto. Sofia, sua madre, aveva infatti stabilito che il suo primo figlio dovesse essere un maschio. La vista di una figlia femmina, dunque, non solo non suscitò le emozioni sperate, ma aprì una profonda ferita nella madre che non sentirà mai un affetto radicato verso la sua stessa bambina. Sofia, infatti, era una donna frivola, amante della vita mondana, che alla nascita di Carlo, il suo secondogenito, farà comprendere perfettamente la differenza di amore provato verso i suoi stessi figli. La situazione non potrà far altro che allontanare negli anni le due donne che si rapporteranno tra loro con un senso di ingiustizia subita, considerandosi sempre un po’ incomprese.
I personaggi mostrati sono molti, ognuno con le proprie peculiarità. C’è Alfredo, padre di Ornella e marito di Sofia, innamorato di entrambe e di entrambe eterno consolatore. Il suo lavoro di medico è ciò che lo unisce al resto della cittadina. I vari protagonisti, tutti componenti della famiglia Amari-Mirabella, ricoprono i ruoli dettati dalla società del tempo di cui vanno letteralmente orgogliosi. Attraverso le loro parole, i loro gesti e le loro vite si comprende perfettamente il clima culturale e sociale di un’epoca trascorsa a rincorrere il benessere e la tranquillità.

La guerra come sfondo alle emozioni più delicate
Come ogni saga familiare che si rispetti, il romanzo proposto ci mostra la crescita fisica ed emotiva dei vari protagonisti narrati, ma veniamo a conoscenza anche delle tradizioni siciliane di inizio Novecento e di come venissero vissute dalle persone in quegli anni. La “festa dei morti”, per esempio, veniva attesa con ansia dai più piccoli. Essa «era una sorta di esorcizzazione del concetto della morte per spiegare ai bambini l’incomprensibile scomparsa di un componente della famiglia». Sulla tavola imbandita, dunque, il posto un tempo occupato dalla persona deceduta veniva riservato «a una statuetta di zucchero detta “pupo a cena”, che solitamente riproduceva un paladino di Francia, un cavaliere a cavallo, una ballerina, un cagnolino».
L’esorcizzazione della morte avviene attraverso il simbolo e lo zucchero. Perché i più giovani non credono mai realmente che il triste mietitore possa calare la sua falce su di loro, mentre i più anziani iniziano a sentire il peso degli anni e la paura del buio eterno incomincia inesorabilmente a farsi strada. E ritornano più vive che mai le parole del filosofo Epicuro: «Quando siamo noi, non c’è la morte; quando c’è la morte, non siamo più noi».
E la morte, purtroppo avanza, con un’Italia che lascia entrare lo spettro della dittatura nelle case del proprio popolo, mentre l’alleanza con la Germania nazista diventa una realtà nefasta. I soldati tedeschi si tramutano in elemento fisso e quasi decorativo all’interno delle vicende narrate. Carlo decide di arruolarsi, mandando in frantumi la psiche fragile di Sofia, che tanto aveva sperato in quel figlio maschio che ora la accantonava per le proprie idee politiche. Ornella diventa ancor più un fantasma nella vita di una madre che l’ha sempre considerata un mero incidente di percorso. Sarà così assai semplice innamorarsi di Albert, quel giovane e biondo soldato tedesco che la metterà al centro della propria esistenza.

La morte come costante
Nel corso del testo molti saranno i personaggi che verranno a mancare, chi per età, chi per malattia. La morte vista come indegna compagna di avventure, specialmente in un contesto storico così gravoso come quello della Seconda guerra mondiale. I modi di affrontarla saranno diversi per ognuno: qualcuno non riuscirà a reggere il peso di un’inconsapevole mattanza, mentre altri non si renderanno nemmeno conto, o fingeranno di non farlo, di ciò che sta accadendo loro intorno.
La nostra scrittrice riesce a esprimere una miriade di emozioni concentrate in un romanzo breve dal sapore storico. I personaggi descritti sono tutti valide interpretazione delle vicende umane. Ognuno di essi ha le proprie motivazioni che li condurrà ad attraversare la loro storia consapevoli delle proprie intenzioni. I sentimenti sono al centro di un racconto che si fa fiume in piena e che non può lasciare apatico il lettore. Vita e morte si sostituiscono in una danza leggera e delicata, narrata in maniera magistrale da una scrittura asciutta e ben gestita. «Morire non è nulla; non vivere è spaventoso» affermava Victor Hugo all’interno del suo capolavoro I miserabili. E questo sembrerebbe essere anche il messaggio lanciato da Valeria Richichi Fecarotta tra le sue pagine delicate e profonde come l’abisso che rappresenta la sfera emotiva dell’intera umanità. Pagine brevi, ma capaci di sfiorare le corde dell’anima raccontando i tormenti di una famiglia che ha visto la propria stabilità sgretolarsi innanzi ad avvenimenti troppo grandi per poter essere previsti e/o arginati. Perché ogni tassello dell’esistenza umana è strettamente collegato a quello precedente e a quello successivo, portando inevitabilmente le sue conseguenze, che siano volute o meno.

Rosita Mazzei

(www.bottegascriptamanent.it, anno XV, n. 170, novembre 2021)

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
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