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Comunicazione e Sociologia (a cura di La Redazione) . A. XV, n, 166, luglio 2021

Zoom immagine Scienza
in modo unico

di Massimiliano Bellavista
Un saggio Adelphi
sulle astrazioni tra
aneddoto e invenzione


I personaggi che animano il volume Quando abbiamo smesso di capire il mondo di Banjamìn Labatut (Adelphi, pp. 180, € 18,00) soffrono un dolore psichico, crescente, quello tipico degli schizofrenici. Da una parte c’è la vita reale, per cui il nostro cervello è biologicamente impostato, e dall’altro c’è il loro sconfinato, soverchiante amore per la scienza, che invece, non offre verità ma un metodo, per sua natura pieno di incertezze: una domanda scottante ed eterna che conosce solo risposte parziali e transitorie. È inevitabile che questo si rifletta sulle loro vite. Fritz Haber, Werner Heisenberg, Ervin Schrödinger e Alexander Grothendieck sono in questo volume di volta in volta sotto i riflettori, come stazioni di una Via Crucis del pensiero scientifico che consta di scene memorabili, anche se talvolta al limite del grottesco e del surreale. Prendete il brillante chimico al servizio del Kaiser, Fritz Haber, le cui scoperte hanno contribuito alla morte di tanti uomini a Ypres o che dal cianuro di idrogeno estratto dal blu di Prussia riesce a ricavare un pesticida efficacissimo, lo Zyklon, poi usato come agente tossico nelle camere a gas. Nella lettera scritta alla moglie al momento della morte, scrive Labatut spiazza ogni possibile ed elementare senso di umanità quando «Confessa un senso di colpa insopportabile, non per il ruolo che, direttamente o indirettamente, aveva giocato nella morte di tanti essere umani, ma perché il suo metodo di estrarre l’azoto dall’aria aveva talmente alternato l’equilibrio naturale che temeva che il futuro del mondo non sarebbe appartenuto all’essere umano, ma alle piante»

Una voragine senza fine
Labatut è senza alcun dubbio un dotatissimo sensibilissimo narratore. Le sue incursioni, sempre maggiori al progredire della storia, nel modo della supposizione e dell’irrealtà, sono così ben congegnate che è difficile comprendere il limite tra realtà e finzione nelle vite di questa galleria di personaggi. È anche un ottimo affabulatore, con una grande cura degli incipit e delle descrizioni «il 24 dicembre 1915, mentre prendeva il tè nel suo appartamento, Albert Einstein ricevette una busta inviata dalle trincee della prima guerra mondiale. La busta aveva attraversato un continente in fiamme; era sporca, stropicciata, e coperta di fango. Un angolo era stato strappato via, e il nome del mittente era nascosto da una macchia di sangue. Einstein la presa con i guanti e l’aprì con un coltello. La lettera conteneva l’ultima scintilla di un genio: Karl Schwarzschild, astronomo, fisico, matematico e tenete dell’esercito tedesco».
Nessuna parola, nessun aggettivo come si vede è fuori posto, e l’attenzione del lettore è subito catturata. Sarà andata esattamente così? Poco importa, è l’atmosfera che queste righe trasmettono che è funzionale a farci capire cosa sta succedendo, cosa c’è in ballo. In un momento così atroce, confrontato con un “eccesso” di realtà quali molti che il Novecento ha tragicamente saputo proporre all’umanità, il fisico fornisce ad Einstein la soluzione delle sue equazioni della relatività generale: ma si apre un nuovo baratro, in cui tuttora siamo dentro «C’era tuttavia qualcosa di molto strano nei risultati di Schwarzschild, […]. Il problema sorgeva quando una massa troppo grande si concentrava in un’area piccola, come accade quando una stella gigante esaurisce il suo combustibile e comincia a collassare su se stessa. […] in quel caso lo spazio e il tempo non si alteravano: si laceravano». Il risultato era inconcepibile: «Il risultato era una voragine senza fine, separata per sempre dal resto dell’universo».
Ecco il punto ed ecco anche la rinuncia cui allude il titolo del volume: per salire di livello nella comprensione della realtà dobbiamo in qualche modo accettare che essa si espanda dismisura verso territori dove l’astrazione logica e filosofica sembra prevalere sul dato empirico, sull’intuizione e anche sul senso comune. Dobbiamo accettare in questo caso l’emergere di singolarità fisico matematiche, come i buchi neri, cui non sappiamo dare una spiegazione. Cosa difficile da accettare per primi dai diretti interessati. Schwarzschild sente crescere dentro di sé una sorte di vuoto, di male oscuro e di chi li a pochissimo muore, e non per mano del nemico, ma per colpa di una malattia che lo svuota letteralmente di energie vitali.

Il caso e la nostra comprensione del mondo
Pensateci bene. Di certo viviamo in un mondo sempre meno meccanicistico e sempre più probabilistico: computer, meteo, rischio, economia, sono domini conquistati metro a metro da nuvole di densità probabilistiche. Come ci sentiamo? Disorientati, inevitabilmente. E questo senso di inadeguatezza e di disorientamento emerge con forza e grande efficacia narrativa quasi da ogni pagina del libro. Uomini, persino grandi uomini dotati di capacità del tutto uniche e particolari, sono descritti da Labatut come dei fragili Prometeo che per un attimo stringono la scintilla della conoscenza tra le mani, capaci anche a regalarcela spesso a costo della loro vita e dei loro salute mentale; questo però ha in ultima analisi solo l’effetto di rivelarci come sia sconfinata l’oscurità della grotta di ignoranza e inconoscibilità in cui siamo imprigionati. Il caso ci governa e talvolta ci sovrasta, ma le sue regole sfuggono al nostro senso comune, a volte sembrano addirittura invertire causa ed effetto, come ne caso della meccanica quantistica. Einstein ne diviene il più acerrimo, e questo accentua ancora di più il fascino sinistro delle ultime belle pagine del volume: si ha l’impressione di essere di fronte al caso di un padre che ripudia suo figlio con lui il lettore tende ad identificarsi. E le voragini, come in un terreno carsico, continuano ad aprirsi sotto i nostri piedi: il principio di indeterminazione, il mistero della funzione d’onda di Schrödinger. Insomma, sembra proprio che Dio abbia deciso di giocare a dadi con l’universo, e che la direzione imboccata dalla scienza sia irreversibile, ma sta anche a noi accrescere e padroneggiare questo immenso bagaglio di conoscenze. E una via ce la offre proprio Labatut attraverso questo originalissimo libro, dicendoci che c’è un modo per tornare a capire, per così dire a ‘misurare’ il mondo, e che è costituito dalla narrazione. Lo ha dichiarato lo stesso autore in una recente intervista alla Lettura: «non abbiamo mai veramente capito il mondo, però abbiamo capito le storie che ce ne siamo detti l’un l’altro, I fatti grezzi dell’esperienza hanno senso solo se puoi metterli insieme in una narrazione. E oggi, con il cambiamento incessante e l’interconnessione illimitata, l’unica capacità fondamentale dell’umanità, cioè la capacità narrativa (dono che certo viene dagli dèi) ci sta venendo meno. Non possiamo mettere il mondo in parole, non sappiamo dare un senso al vortice turbolento della realtà». Come dire che la narrativa, quando è raffinata e “buona” ci restituisce sempre moltiplicate chiavi interpretative e di sintesi di ogni scenario, per quanto complesso esso sia.

Massimiliano Bellavista

(www.bottegascriptamanent.it, anno XV, n. 166, luglio 2021)

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
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