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A. XV, n. 164, maggio 2021
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Home Page (a cura di La Redazione) . A. XV, n. 164, maggio 2021

Zoom immagine L’attuale sistema educativo:
un’omologazione da bloccare

di Antonio Oliverio
Da Enrico Bartoletti un’analisi seria: accettarla?
Rigettarla? No: discuterla! Per D’Ettoris editori


L’egemonia culturale della sinistra: quante volte abbiamo udito tale formula? Non si tratta di una definizione vuota o priva di senso. Per Enrico Bartoletti è una verità, oggi quanto mai, conclamata.
Un punto di vista privilegiato, quello dell’autore del saggio La Scuola Omologante (D’Ettoris editori, pp. 152, € 16,90). Egli, infatti, lavorando nella biblioteca di un istituto scolastico del pratese, ha potuto osservare con i suoi occhi le molte storture che – è la tesi dello stesso Bartoletti – furono originate dalla stagione del Sessantotto, in quell’“assalto al cielo” che connotò, per essere ancor più precisi, il decennio 1967-1977. L’onda lunga di quella stagione ha prodotto insanabili conseguenze nel sistema scolastico, che è quel che ci interessa, ma anche nelle trame sociali tutte.
Il saggio, infatti, precede un’altra importante riflessione dello stesso autore, una corposa istanza compresa nel suo successivo libro Proposte per una Riforma Costituzionale. Una delle idee di base è, in fondo, analoga: l’annegamento degli ideali, dei principi e dei valori della moderna civiltà occidentale nel mare magnum delle politiche mondialiste e liberal-progressiste degli ultimi settant’anni. La nostra Costituzione, secondo Enrico Bartoletti, nei suoi vari articoli, permette e anzi favorisce appieno talune derive. Il paradigma è rappresentato dalle Ong che attraversano il Mediterraneo e che di fatto importano immigrati clandestini, è la sua tesi. Una tematica simile, per come viene declinata nelle scuole, è parte anche de La Scuola Omologante, come vedremo in seguito.

Riflessioni controcorrente
L’onda lunga del Sessantotto, dicevamo: quella rivolta giovanile è quindi interpretata come una rivoluzione «che solo in apparenza fallì, caotica e disorganizzata», si legge nel saggio: in realtà quella rivolta «fu una vera e propria prova di forza della sinistra, la quale mostrò – ancora nelle parole dell’autore – il suo controllo sulle masse». Da allora talune ideologie progressiste avrebbero trovato pieno accoglimento all’interno delle scuole e «con il fine di fuorviare le menti dei giovani». Sicché l’idea originaria alla base del libro è «informare i genitori».
L’autore ha avuto accesso, come dicevamo, non solo ai libri destinati agli studenti di scuola media, ma anche ai testi di riferimento per i diversi docenti di ciascuna materia. Nell’opera sono citati tutti i testi presi in esame, di alcuni dei quali vengono riportati degli estratti significativi. Omologarsi, uniformarsi al “pensiero unico” della globalizzazione racchiude il rischio che egli ravvisa e denuncia nei sei capitoli tematici e nella Postfazione.
Seguendo pedissequamente l’agenda dell’élite mondialista vengono indottrinati i bambini – che, alla loro età, non dispongono ancora di esperienza o di strumenti mentali per discernere efficacemente – ad accettare fenomeni cruciali oggigiorno. Come anticipato, lo stesso autore cita il fenomeno delle migrazioni di massa, raffigurato nelle scuole «con toni messianici», senza indurre l’alunno medio a riflettere sulle conseguenze dell’immissione di soggetti allogeni nel tessuto sociale. Sull’altare di un multiculturalismo – nella variante «terzomondista» – identificato col progresso, vengono così immolati i principi millenari della civiltà occidentale.
Per Enrico Bartoletti, poi, il multiculturalismo stesso è da condannare in quanto sarebbe una sorta di cavallo di Troia per la dissoluzione della nostra identità, come una specie di furia iconoclasta. L’esaltazione del migrante, proposta nei testi scolastici consultati, non serve alla sua integrazione, anzi, lo indurrebbe a «rivendicare la propria identità contro la nostra», fomentando pertanto conflitti etnici, o vere e proprie “guerre tra poveri”. L’antirazzismo «a senso unico», dunque, ancora nelle argomentazioni del saggio, non può non divenire «autorazzismo», instillando un senso di colpa per il passato colonialista (benché assai meno pervicace rispetto all’imperialismo di altre nazioni europee). Particolarmente la fede islamica rappresenterebbe un corpo estraneo ai valori occidentali: una dottrina violenta e arcaica, nonché un mastodontico corpus iuris che regola ogni aspetto della vita sociale e delle interazioni umane. La «retorica del debito culturale verso l’Islam» e verso la civiltà araba, di cui si parla nell’opera, si tradurrebbe nell’imposizione di un ambiguo, quanto pericoloso, ecumenismo. Una trappola, in sostanza; un raggiro, una strategia dell’ideologia mondialista, di cui si è resa complice anche la scuola.
Bartoletti, che ha l’onestà intellettuale di muoversi assai controcorrente, stigmatizza la passività educativa che impedisce nello studente il sorgere di un’abilità critica, anestetizzando ogni velleità di giudizio.
Ampio spazio è dedicato all’insegnamento della Storia. La scuola, sostiene l’autore, introduce i più giovani a un antifascismo inconsapevole, che mitizzerebbe in modo acritico le grandi tragedie del Novecento, tuttavia precludendo una piena informazione sulla seconda metà del Novecento, da cui scaturisce la politica odierna. Tutto ciò non avviene per caso, ma viene imposto dall’alto, è il ragionamento sotteso dalle teorie dell’autore.
La scuola, inoltre, propone un europeismo a oltranza, esaltando i famosi “settant’anni di pace” ma evitando, colpevolmente e consapevolmente, le criticità di questa unione forzata, anzitutto sul piano economico.
Altro tema, sempre più spesso oggetto di ampie riflessioni, è quello della condizione femminile. Ma qui Enrico Bartoletti opera un interessante distinguo: la scuola, sovente, si abbandona alla propaganda di un femminismo tipicamente progressista, individuando nel genere maschile una figura tossica, retaggio della cultura patriarcale. Sempre partendo dall’analisi di un libro di testo in dotazione presso il suo istituto, ancora Bartoletti denuncia come venga nascostamente diffusa l’ideologia del gender che intende le differenze di genere come un prodotto delle imposizioni sociali, che bambine e bambini subiscono dall’ambiente esterno, non già come delle caratteristiche biologiche.
Dunque, noi che cosa possiamo fare? Se lo chiede l’autore nella sua Postfazione. Il suo punto di partenza è che l’Occidente oggi sia immerso in una dittatura sottile, giacché apparentemente non smantella i princìpi democratici: accompagna ogni azione con opportuni messaggi veicolati attraverso i media e, appunto, attraverso la scuola. La prima soluzione sarebbe che le famiglie si coalizzassero e chiedessero («se necessario, anche insistentemente») alla scuola, i cui libri fossero del tenore di quelli analizzati in questo saggio, di sostituirli con altri più accettabili. L’altra soluzione consiste nel mobilitare l’informazione, anche locale, per accendere i riflettori mediatici sui casi sorti nella scuola.
L’invito finale è quello di essere politicamente scorretti, di non temere d’esser definiti “reazionari” e aprire così delle discussioni che potrebbero rivelarsi costruttive.

Antonio Oliverio

(www.bottegascriptamanent.it, anno XV, n. 164, maggio 2021)

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