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Home Page (a cura di La Redazione) . A. XV, n. 161, febbraio 2021

Zoom immagine L’educazione sentimentale
di uno spirito libero

di Guglielmo Colombero
La difficile storia di un ragazzo alla ricerca di sé
tra bullismo, matriarcato e insegnamenti distorti


Pubblichiamo in anteprima una recensione a firma di Guglielmo Colombero, contenuta nella sua raccolta di scritti di prossima pubblicazione, Nuovi percorsi della Letteratura contemporanea. Analisi, convegni, Prefazioni e recensioni sugli scrittori coevi.

«Era il peso di troppo sulla loro barca che navigava a filo d’acqua, e ormai risoluti a sospingerlo in mare, non facevano altro che convincerlo facendogli balenare la speranza di trovare un’isola felice dove sarebbe approdato nuotando fino all’orizzonte». Ecco come Giuseppe Sabino nel romanzo Tacchi di latta. L’amorale (Castelvecchi Editore, pp. 166, € 17,50), in corso di pubblicazione e facente parte della “Scuderia letteraria” di Bottega editoriale, tratteggia il goffo tentativo della famiglia del piccolo Giulio, orfano di padre, di giustificare, alle soglie del Secondo dopoguerra, il suo sradicamento rappresentato dalla partenza con destinazione il collegio di Calambrone, in Toscana. La madre di Giulio appare cristallizzata in un involucro inaffettivo: «Vestita di nero sembrava una cozza pronta a chiudersi non appena le si avvicinava». E lo sguardo malinconico di Giulio accarezza la squisita tavolozza pittorica di quell’amato paesaggio calabrese (nei paraggi di Crotone) che, per molto tempo, non vedrà più: «Il piccolo Giulio osservava la campagna con gli ulivi e gli aranci, distesa verso il mare fino alla sabbia bianca, i pescatori che attraccavano i gozzi ai pali ficcati nella rena, altri che sistemavano i conzi nelle barche o raccoglievano le reti dal mare ceruleo, che s’increspava di verde, poi di azzurro fino al blu profondo attaccato al cielo». La contemplazione nostalgica della natura si amalgama con il ricordo del gioco infantile da cui deriva il titolo del romanzo: «A Giulietto passavano una punta di carbone intorno agli occhi, la cipria sulle guance, una macchia di rosso sulle gote. Rimediavano due scatolette vuote di latta della conserva di pomodoro, le bucavano su due lati e le fissavano sotto le scarpe del piccolo con uno spago che legavano alle caviglie. Con un pezzo di rete da pesca gli coprivano il capo in modo da velargli il viso, con un pezzo di corda preparavano il guinzaglio per il cane che sostava sotto casa, e uscivano. Giulietto in mezzo, tirato come una signora, teneva al guinzaglio il cane, e si sarebbe vista davvero una signorinella elegante, se quel cane avesse smesso di tentare di mordergli i piedi. I vicini udivano il rumore dei tacchi di latta, si affacciavano, accorrevano, vociavano “venite, venite a vedere come Giulietto sa fare la signora!”». In un altro lancinante flashback spicca la sessuofobia (venata di oscurantismo cattolico) manifestata dalla nonna-matriarca: «“Queste cose le fanno i bambini posseduti dal demonio!”, rincarò la nonna con i lineamenti del viso contorti in una smorfia grondante di sdegno e di disgusto».

Le peregrinazioni di un Dedalus calabrese
Francesco, detto Cecco il cornuto, per via delle dicerie sulle presunte infedeltà della madre, e Dionisio, detto la biondina a causa del suo aspetto vagamente efebico, sono i due compagni prediletti di Giulio nel collegio di Calambrone, nei dintorni di Pisa: sorge l’autunno del 1945, il primo senza guerra e morti dopo cinque terribili anni, su un’Italia in macerie. L’atmosfera vagamente claustrofobica del collegio riecheggia il Joyce di Dedalus e il Musil de I turbamenti del giovane Törless. L’anno dopo i tre ragazzi vengono trasferiti a Bellaria e la figura dell’istitutore è degna di un dipinto di Goya sulla santa Inquisizione spagnola: «tenendo alta la lanterna, spettrale come un fantasma dall’aspetto felino, arrivava al centro della camerata, gettava uno sguardo veloce nel chiarore emanato dalla fiammella, e poi avanzava fino al letto di Dionisio, sbirciandolo da quella distanza come se, quasi allertato da un presentimento, dovesse tenerlo d’occhio. Altre volte, invece, tornava subito a dormire». I tre amici consolidano il loro legame con il giuramento rituale attorno a una stella di mare raccolta sulla battigia. Ma una notte Giulio scopre per caso la tresca fra Dionisio e Francesco: «Udì delle voci. Scostò lentamente la porta, alzò la candela e nell’ultimo box riconobbe Dionisio. Avanzò d’un passo e intravide Francesco. Soffiava come un mantice. Dionisio sussurrava parole, forse parole d’amore, che lui sentì confuse e intervallate da pause, ma che gli arrivarono come scudisciate sul corpo, con una sensazione di calore bruciante sulle tempie e sulle guance. S’immaginò di poterle dire lui quelle parole, dopo aver visto che si poteva voler bene anche in quel modo». Fascinazione e ripugnanza si combattono dentro Giulio e nessuna delle due pulsioni prevale sull’altra, creando una situazione di malsano ristagno. Da una parte la suggestione dei sensi, la carnalità appagante, dall’altra il sentiero impervio dell’elevazione intellettuale: la natura apollinea insidiata dal furore dionisiaco (non a caso la figura tentatrice porta proprio quel nome, Dionisio). L’autore ci offre un’istantanea di Giulio nel momento in cui percepisce il confine dell’ineffabile, della componente indecifrabile delle emozioni e degli affetti. L’alterità delle sensazioni quasi le sposta all’esterno della psiche di Giulio, le colloca in una dimensione aliena, come se appartenessero a un’altra persona, in una sorta di sdoppiamento che è anche transfert liberatorio. La struttura del bildungsroman, il romanzo di formazione, sottopone Giulio a un’indagine nitida e impietosa, illuminata da ombre espressioniste, da chiaroscuri crepuscolari popolati di sogni, visioni e incubi spesso coincidenti con l’ambiguità del reale.

Una vampata di omofobia nel focolare domestico
Ormai maturato e consapevole (per lo meno dei propri conflitti e delle proprie contraddizioni), Giulio rientra nell’ambito familiare e ritrova lo stesso clima oppressivo e soffocante di quando lo aveva abbandonato per recarsi in collegio: «Per una sensazione di mancanza d’aria, Giulio si alzò, andò alla finestra e si appoggiò allo stipite. Guardò il cielo dove cominciava a rosseggiare, respirò a pieni polmoni, si diede animo». Al liceo Giulio subisce il bullismo esasperante di tre compagni ignoranti e cialtroni, soprattutto nell’ora di ginnastica: «padroneggiavano quel lasso di tempo riversando su di lui il rancore del loro malessere, il rancore per il mancato riguardo che percepivano fra i compagni. Lo accerchiavano: Cancaro lo spingeva verso Caiazzi, Caiazzi a Tancredi e così via come passarsi la palla. Altre volte lo circondavano in un girotondo, facendo vibrare la lingua tra le labbra mentre le mani lo frugavano e tra i sospiri dicevano “dai, muoviti bellezza, muoviti”». Giulio se ne libera grazie ai suoi amici del paese, che però sono coinvolti in un losco giro di prostituzione maschile: la lettera amorosa che gli scrive uno di loro, Alfredo, scatena una tragedia famigliare, con tanto di rissa fra madri inferocite e parenti furibondi. Ma Giulio, anche se pesto e graffiato da alcune Erinni domestiche, ne esce moralmente indenne: metabolizzata l’aggressione selvaggia di madre e sorelle, trasforma la sua angoscia in aspirazione verso un futuro diverso, rielabora la propria sensibilità in una nuova prospettiva esistenziale, dove comportamenti ritenuti scandalosi diventano perfettamente naturali. Giulio ora è in grado di valutare con lucidità l’inadeguatezza degli schemi forniti dalla famiglia e dal contesto sociale, che si rivelano non soltanto inutili, ma distorti come specchi deformanti.

Guglielmo Colombero

(www.bottegascriptamanent.it, anno XV, n. 161, febbraio 2021)

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
Progetto grafico a cura di: Fulvio Mazza ed Emanuela Catania. Realizzazione: FN2000 Soft per conto di DAMA IT