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A. XIII, n.141, giugno 2019
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Politica ed Economia (a cura di La Redazione) . A. XIII, n.141, giugno 2019

Zoom immagine Napoli aprifila
della Resistenza
in Italia

di Giuseppe Chielli
Giuseppe Aragno analizza
la rivolta partenopea.
Per Intra Moenia edizioni


L’ultimo saggio di Giuseppe Aragno, Le Quattro Giornate di Napoli. Storie di antifascisti (Intra Moenia edizioni, pp. 344, € 18,00), pone al centro la rivolta avvenuta fra 27 e il 30 del settembre 1943 (pochi giorni dopo l’Armistizio di Cassibile dell’8 dello stesso mese). L’Italia era una nazione allo sbando più totale, nessuno sapeva più per chi doveva combattere. I tedeschi erano pronti a mettere a ferro e fuoco la città, anzi come impartì Hitler ai suoi e come ricorda lo storico Roberto Battaglia nel suo testo Storia della Resistenza italiana – 8 settembre 1943 – 25 aprile 1945 (Einaudi, pp. 624), Napoli deve essere un cumulo di «fango e cenere», prima della ritirata. Già in un altro testo, del 2012 – Antifascismo e potere. Storia di storie (Bastogi editrice italiana, pp. 152) – l’autore aveva accennato a questo tema, anche se sotto diverse sfaccettature. In quest’ultima opera, l’intento è, in primis, quello di analizzare queste giornate storiche. Infatti Aragno sostiene che sono un grandissimo prodotto della coscienza popolare, a dispetto di quanto se ne dica, e hanno dato inizio a tante rivolte che ci sono state in tutta Italia. Senza questa insurrezione Napoli sarebbe stata distrutta, si diceva. L’autore osserva nelle prime pagine del libro una ferocissima critica nei confronti di diversi studiosi, i quali considerano queste giornate solo come il frutto di qualche facinoroso, e di qualche poco di buono. Steinmayr, ad esempio, direttore dello Stern, come Aragno ricorda nel testo, sostenne che «la rivolta contro lo straniero oppressore, nella città dei mandolini e delle pizze, non può essere altro che un parapiglia tra papponi e prostitute». Da queste righe, dunque, si intuisce la considerazione che taluni studiosi avevano di Napoli e dei suoi abitanti, paragonandoli a sempliciotti, o alla peggio, a delinquenti. Si considerano questi episodi come atti di teppismo, e vengono dissociati da delle vere e proprie motivazioni di ordine politico. Aragno, nel raccontare Napoli, nega il suo valore e la sua grandezza, parolando di una città umiliata, derisa e derubata. A tal proposito Aragno si ritrova a scrivere di «internazionale del linguaggio classista» per esprimere i pregiudizi dai quali era, ed è tuttora, ricoperta la città partenopea.
La grandezza del testo sta nel dare spazio ai cosiddetti ultimi, al popolo, e concedere loro il palcoscenico che la Storia non gli ha riconosciuto. Per fare tutto questo e per identificare coloro i quali furono parte attiva delle Quattro giornate, Aragno compie un’operazione impeccabile: ovvero confronta i nomi dei diciassettemila condannati dal regime al confino con l’elenco dei rivoltosi della città partenopea che poi andarono ad unirsi alle formazioni partigiane al Nord e all’esercito italiano della Liberazione.

I protagonisti della rivolta
Si tratta di un vero e proprio unicum per opere di questo genere.
Come nel suo precedente testo, viene dato spazio a persone delle quali poco o nulla era stato detto prima. Per lo più si trattava di gente del popolo, tranne per alcune importanti figure, e di queste, attraverso un uso capillare delle fonti, ne viene raccontata la vita. Sono stati anche riportati molte volte i verbali della questura sul loro conto. Non sempre si è trattato di partigiani, al contrario: tuttavia molti di essi hanno lottato contro il regime, sono stati confinati, alcuni hanno persino partecipato alla Guerra civile spagnola del 1936/1939, o ad altri moti di insurrezione. I personaggi al centro di queste vicende sono stati moltissimi. Tra tutti i fratelli Wanderlingh, i quali avevano già partecipato ai moti del maggio del 1898, e sono stati tra gli ispiratori della rivolta; il primo maggio 1943, insieme a un gruppo di persone manifestarono in nome del partito socialista e dell’«Italia Libera». Importante per le Quattro giornate fu anche la famiglia Grossi. Una dei suoi componenti, Ada, raccontava da una radio che trasmetteva nel 1937 da Barcellona quanto succedeva della guerra in quel periodo. Era seguita da molti degli antifascisti.
Tra i rivoltosi, bisogna anche ricordare tale Federico Zvab, il quale aveva una lunghissima trafila, come altri, di varie espulsioni e confinamenti. È stato direttore dello Stern, ma soprattutto partecipò alla Guerra civile spagnola del 1936/1939. Intellettuali, operai, ma anche donne (anche se di quest’ultime si conosce poco) presero parte attiva in quei giorni. Tra queste bisogna citare Maddalena “Lenuccia” Cerasuolo. A lei nel saggio vengono dedicate pagine importanti e, dopo una descrizione dettagliata della sua vita, corredata da un notevole apparato bibliografico, si ricorda che con la sua azione salvò il ponte della Sanità. Le donne in tempo di guerra costituivano anche l’ossatura della famiglia, priva degli uomini chiamati alle armi. Così la propaganda antifascista degli alleati si rivolgeva anche a loro: «Donne di Napoli! Dove sono i vostri uomini che andarono in Africa? Da quanto tempo non avete loro notizie? Vi svelano che la metà delle navi vengono affondate? Madri di Napoli! [...] Le vostre sorelle di Palermo, Genova, Brindisi, agiscono già.
Spose di Napoli! SEGUITE IL LORO ESEMPIO. Fate la guardia alle navi [...]. Nascondete l’equipaggiamento dei vostri amati soldati [...]. Il mare significa la morte».
Infine, una menzione speciale deve essere accordata a Alessandro Aurisicchio De Val, comunista di vecchia data, il quale scattò le foto degli eventi e dei personaggi di quei giorni. Forse, senza i suoi scatti, non avremmo nemmeno idea dei volti di tale rivoluzione e, forse, non sarebbe stato possibile raccontare la loro vera storia. Un libro dunque a difesa della Storia, ma soprattutto a difesa di Napoli che, spesso molti lo dimenticano, costituisce, nel bene e nel male, uno dei pilastri del nostro paese. Senza il coraggio dei suoi abitanti, non sarebbero subito seguite le successive rivolte nelle altre città, italiane, ma anche d’Europa.

Giuseppe Chielli

(www.bottegascriptamanent.it, anno XIII, n. 138, marzo 2019)

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