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Storia (a cura di La Redazione) . A. XII, n. 135, dicembre 2018

Zoom immagine Il viaggio come
unica occasione
per disvelarci

di Gilda Pucci
Francesco Idotta, per Città del Sole,
scrive di un iter carico di emozioni


«Il viaggio è una tensione etica, un andare verso se stessi con la determinazione di chi vuole scoprire la vera radice del proprio pensiero. Lo spazio che ci separa dalla meta è una dimensione interiore, in cui il tempo si dilata e si contrae in base alle aspettative di ognuno»; questo è il succo del libro di Francesco Idotta, Ovunque è un altrove. Vagabondaggi e viaggi (Città del Sole Edizioni, p. 104, € 8,50).
L’autore si mette in relazione con la distrazione, la noia, la velocità e la fretta, i veri nemici quando si decide di visitare un luogo, fosse anche in occasione di un girovagare in casa o per il giardino della propria abitazione. Ovunque è un altrove, appunto, se si osserva e si ascolta con pazienza l’ambiente circostante. Per trovare questa sensazione, non occorre andare troppo lontano, anche se, a volte, è indispensabile mettere molti chilometri tra noi e il quotidiano. Il desiderio di riconquistare la calma perduta, di camminare a piedi, compromessa anche dai molti mezzi di trasporto a nostra disposizione, è sempre più forte e va assecondato. Questo è il messaggio del testo. L’inconscio induce a scegliere la libertà dell’andare a piedi, si manifesta come modo di errare che consente di cambiare direzione, di fermarsi a osservare, senza dover mantenere costante l’andatura oppure la stessa posizione. Muoverci, spostarci, ci fa stare bene.

Qualche esempio di luogo di “riscoperta”
Come ci mostra lo stesso autore, molti posti possono condurre a questta consapevolezza e a piacevoli scoperte; come il percorso che dalla spiaggia di Catona fino a Samperi, un piccolo villaggio sulle colline dell’Aspromonte dove, camminando di buon passo, si può giungere dal mare alla montagna. Negli itinerari la descrizione dei luoghi dell’Aspromonte, dove si pestano «conchiglie fossili e coralli, prati di trifoglio», e si incontrano «carrubi, noccioli, noci, fichi d’india e agavi», diventa un modo per mostrare anche scorci della nostra meravigliosa terra meravigliosa e martoriata. In una località chiamata «Terra randi» si ergono, nell’elencazione tanto cara all’autore, «ciliegi, pini loricati, pini marittimi e infestanti eucalipti australi». Si svela l’antro dell’eremita, la storia del monaco asceta, tramandata per generazioni. Si insegue la libertà, camminando, ma “come essere liberi” senza correre, senza quella frenesia che ci tramuta in automi nel nostro quotidiano, dove la logica del consumo ci divora.
Errare tra i boschi di Calabria è quindi, per utilizzare le parole dello stesso Idotta, «un’esperienza mistica e rivelatrice». Fra i sentieri bianchi al riflesso della luna, con lo sfondo degli ulivi che si stagliano contro cieli azzurri, assaporando profumi morbidi e dolci, «nasce l’origano nella bella stagione e gli asparagi selvatici che annunziano la primavera, non mancano i funghi e nemmeno l’acqua, e la voce di chi tra questi boschi ci ha passato la vita», le casette abbandonate dove si sono consumati delitti e storie che oggi si tramandano. In quei luoghi nasce la Belladonna, pianta suadente e di alchemica reminiscenza, che sembra disperdersi nelle colline, donando all’ambiente circostante un’atmosfera quasi mistica.
Ci troviamo di fronte a un libro davvero particolare che infonde un senso di libertà in chiunque lo legga, che ci affranca dall’asfissiante attualità facendoci respirare e riconoscere come persone nuove e migliori. Il viaggio, ovunque ci porti, è l’unico modo per salvarci, mettendo tutto in discussione, determinandoci attraverso l’altro e l’altrove.
L’alterità è tutto ciò che sta al di là di quel confine immaginario che consideriamo sia nostro. L’altrove si manifesta come una zona sconosciuta, un luogo incontaminato dalla nostra esistenza, vergine, ma anche come un posto che ci consente di riconoscere meglio la familiarità che ci circonda, permettendoci di entrare in diretto contatto con il nostro io interiore, con la nostra parte più intima e più profonda. Non esiste un’identità che non sia definita dall’incontro, dalla condivisione con l’altro, sia esso un luogo prossimo o lontano, presente o remoto, o una persona, una nuova cultura. Questo è il vero messaggio del testo, che ci invita a percorrere il nostro viaggio come Odisseo dopo la caduta di Troia, alla ricerca della nostra Itaca. Si può ritrovare questo pensiero, in alcune parti, nei versi di Konstantinos Kavafis, in cui esplica come il vero altrove non è rappresentato dalla meta, ma dal bel viaggio. Bisogna raccogliere e fare tesoro di ogni esperienza, perché quel bagaglio è il solo modo che abbiamo per appartenerci.
Per meglio esprimere questo concetto lasceremo parlare l’autore, in una delle sue riflessioni, semplici e profonde allo stesso tempo: «Perduta la rotta si resta in balia dei venti, i quali soffiano per tutti, indistintamente. Orfani di certezze, dobbiamo continuare a camminare, sulla pietra, sulla sabbia, sul verde prato, sull’asfalto è consentito anche nuotare, con coraggio, per non affogare. Ognuno è autorizzato a farlo, nessun muro potrà fermare il passo-progetto dell’uomo; nessuna barricata potrà mai impedire al pensiero di desiderare l’impossibile».

Gilda Pucci

(www.bottegascriptamanent.it, anno XII, n. 135, dicembre 2018)

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
Progetto grafico a cura di: Fulvio Mazza ed Emanuela Catania. Realizzazione: FN2000 Soft per conto di DAMA IT