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Anno II, n° 8 - Aprile 2008
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Home Page (a cura di Tiziana Selvaggi) . Anno II, n° 8 - Aprile 2008

Zoom immagine La strage di Gioia Tauro
e l’omicidio di De Mauro

di Margherita Amatruda
Un’inchiesta giornalistica svela i segreti legami
tra mafia e politica, in un libro edito dalla Klipper


La storia italiana degli anni Sessanta e Settanta è caratterizzata da eventi molto importanti dei quali solo in pochi, forse, oggi hanno memoria. Sono gli anni della “strategia della tensione”, delle stragi impunite, dei tentati colpi di stato. Arcangelo Badolati, caposervizio della Gazzetta del Sud, nel suo libro ’Ndrangheta eversiva (Klipper Edizioni, pp. 182, € 10,90) ripercorre proprio quel periodo e in particolare, basandosi su una serie di testimonianze e di documenti inediti, ricostruisce due gravi vicende: l’attentato alla Freccia del Sud, il treno deragliato a Gioia Tauro il 22 luglio 1970, e la scomparsa, in circostanze misteriose, del giornalista de LOra di Palermo, Mauro De Mauro. Nella sua inchiesta Badolati mostra i rapporti che allora si crearono tra Cosa nostra, la ’Ndrangheta ed esponenti di primo piano del mondo della destra extraparlamentare italiana, con l’unico scopo di rovesciare l’ordinamento democratico del nostro paese e al suo posto instaurare una dittatura.

 

La strage di Gioia Tauro

Nel 1970 una parte politica italiana (la destra eversiva), d’accordo con i servizi segreti americani, che paventano che l’Italia possa cadere sotto l’influenza dell’Unione Sovietica come seguito di una temutissima vittoria del Partito comunista (non dimentichiamoci che il 1976 è l’anno in cui, alle elezioni, la distanza tra Pci e Dc è al minimo storico, anzi si prevedeva il “catastrofico” sorpasso), complotta per rovesciare l’ordinamento democratico del nostro paese. Il golpe è previsto per l’8 dicembre ma prima bisogna convincere la gente della necessità di un regime autoritario. Si applica, quindi, la cosiddetta “strategia della tensione” che prevede una serie di attentati atti a destabilizzare le istituzioni e a persuadere la popolazione che sia meglio una dittatura rispetto a quel clima di insicurezza. Il 14 luglio, dopo il comizio nel quale il sindaco di Reggio Calabria, Piero Battaglia, annuncia ai cittadini che il capoluogo di regione sarebbe stato Catanzaro e non Reggio Calabria, scoppiano i primi tumulti di quelli che saranno i “moti di Reggio” e che perdureranno per molti mesi a seguire. I golpisti decidono allora di approfittare della situazione e di spostare nella città calabrese il laboratorio del piano eversivo. Alleatisi con gli ’ndranghetisti locali e con la mafia siciliana, mirano, con una serie di attentati, ad isolare Reggio Calabria e la Sicilia dal resto del paese. Uno di questi attentati è proprio quello del 22 luglio alla Freccia del Sud. Il treno partito da Palermo e diretto a Torino deraglia nei pressi della stazione di Gioia Tauro in seguito all’esplosione di una bomba posta sui binari. In quel tragico giorno persero la vita sei persone e ci furono ottantaquattro feriti. All’epoca dei fatti si tentò di far passare l’evento per un incidente. Solo ventiquattro anni più tardi si saprà la verità, quando, Giacomo Ubaldo Lauro, boss della ’Ndrangheta, deciderà di pentirsi e svelerà ai magistrati della procura antimafia inquietanti scenari.

 

Il caso “De Mauro”

Il giornalista de LOra di Palermo scomparve nel nulla una sera di settembre del 1970.

Secondo Badolati la fine di De Mauro è legata al tentativo di golpe di Junio Valerio Borghese e non, come si era pensato, alla vicenda della morte del presidente dell’Eni, Enrico Mattei. L’ipotesi di Badolati è che De Mauro sia stato ucciso dai mafiosi siciliani, perché a conoscenza del piano eversivo, e quindi costituiva una minaccia alla realizzazione del colpo di stato. Sempre secondo il giornalista della Gazzetta del Sud, il corpo di De Mauro sarebbe stato sepolto nel cimitero di Conflenti sotto le false generalità di Salvatore Belvedere, boss della ’Ndrangheta, evaso dal carcere di Lamezia Terme nel giugno del 1970. Il cadavere, in effetti, non è mai stato ritrovato. Proprio in concomitanza con l’uscita del libro di Badolati, la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro ha disposto la riesumazione della salma sepolta nel cimitero di Conflenti col nome di Salvatore Belvedere. Nel corso degli scavi sono stati rinvenuti i resti di altre persone la cui sepoltura non è stata regolarmente registrata, questo ha fatto ipotizzare che il cimitero di Conflenti sia stato usato negli anni dalla ’Ndrangheta per seppellire alcune delle sue vittime.

Il 30 gennaio sono stati resi noti i risultati della comparazione del codice genetico, estratto dalle ossa ritrovate nella tomba, con il Dna dei familiari del boss lametino: quella salma non è Salvatore Belvedere. Dunque è confermata la tesi che il riconoscimento del corpo da parte del figlio di Belvedere fu solo una messa in scena per consentire al capocosca di proseguire indisturbato la sua latitanza. Le indagini continuano e le notizie sul caso si susseguono velocemente, tanto che proprio in questi giorni è stato rivelato l’esito del confronto con il Dna dei familiari di De Mauro. Non è il giornalista de L’Ora ad essere stato sepolto al posto di Belvedere. Ma allora a chi appartengono le spoglie rinvenute nel cimitero di Conflenti? E che fine ha fatto Salvatore Belvedere? Per Badolati l’ex boss lametino si sarebbe rifugiato in Corsica e lì avrebbe terminato i suoi giorni. Ma qual è la verità? Agli investigatori il compito di trovare il bandolo di questa intricata vicenda.

 

Margherita Amatruda

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno II, n. 8, aprile 2008)

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