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A. XVIII, n. 198, marzo 2024
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Dibattiti ed eventi (a cura di Natalia Bloise)

Il cammino di un uomo e la storia di un partito
di Annalice Furfari
In occasione della seconda ristampa dell’opera pubblicata da Città del sole,
una nuova presentazione narra la storia del Pci e quella di Tommaso Rossi


Le presentazioni delle novità editoriali costituiscono un appuntamento consuetudinario che ogni casa editrice non può mancare, ma succede raramente che si organizzino presentazioni di libri già pubblicati e immessi in commercio. Quando questo avviene, significa che il testo in oggetto ha conseguito un tale successo da meritare che se ne torni a parlare. È il caso di Il lungo cammino dall’Aspromonte a Strasburgo (pp. 215, € 12,00), scritto da Tommaso Rossi e pubblicato da Città del sole edizioni. Infatti, venerdì 8 febbraio, nella sala conferenze del Palazzo della Provincia di Reggio Calabria, si è svolta la seconda presentazione dell’opera di Tommaso Rossi, con l’obiettivo di celebrare e condividere con il pubblico la notizia della ristampa del libro, pubblicato originariamente nel 2005. Presenti all’incontro, moderato dall’editore di Città del sole Franco Arcidiaco, Giovanni Laganà, in qualità di rappresentante del presidente della Provincia Giuseppe Morabito,Tonino Perna, professore di Sociologia economica dell’Università di Messina, oltre che l’autore stesso. La presentazione è stata organizzata dalla Fondazione “Italo Falcomatà”, alla quale sarà devoluta una parte dei proventi delle vendite dell’opera.

Ad avviare i lavori è stato Franco Arcidiaco, il quale ha espresso soddisfazione e orgoglio per la seconda ristampa di un libro che ha rappresentato un vero e proprio best seller per una piccola casa editrice come Città del sole. La prima tiratura de Il lungo cammino dall’Aspromonte a Strasburgo è, infatti, andata a ruba, “costringendo” l’editore a decretarne un’immediata ripubblicazione. Arcidiaco ha, poi, illustrato le caratteristiche salienti del libro scritto da «un grande romantico della politica», che, nella prima parte dell’opera, ripercorre la sua “iniziazione” politica nella città natale di Cardeto (piccola località montana situata in provincia di Reggio Calabria), mentre, nella seconda parte, racconta la sua avventura di militante del Partito comunista, «non senza una punta di nostalgia».

Il secondo intervento è stato curato da Giovanni Laganà, il quale ha rivolto alla platea i saluti del presidente della Provincia, impossibilitato ad assistere alla presentazione. Laganà ci ha reso partecipi delle emozioni e delle sensazioni provate nel corso della lettura dell’opera di Rossi, autobiografia politica di questo celebre dirigente di Pci, Pds e Ds, libro che ha il merito di far rivivere momenti essenziali della storia più recente del nostro paese, dalla Seconda guerra mondiale, alle contestazioni sessantottine, sino al crollo del Muro di Berlino, narrando con efficacia e precisione gli avvenimenti maggiormente critici di un periodo profondamente difficile per la politica italiana e internazionale, come quello delle lotte operaie e contadine per la conquista di condizioni di vita migliori. Rossi ci parla di una «buona politica», quella di cui avremmo decisamente bisogno in una fase di autentica crisi di legittimità, nella quale versiamo ormai da troppo tempo. Ecco, quindi, che Il lungo cammino dall’Aspromonte a Strasburgo può costituire un vero e proprio esempio per la politica odierna ed ecco spiegato il desiderio espresso da Laganà sulla necessità che i giovani leggano il libro, in modo tale da trarne spunti utili e interessanti per il futuro, offerti da questo militante che ha contribuito a fare la storia del Partito comunista.

 

La storia generale del Pci si intreccia a quella personale del suo appassionato militante

Tonino Perna ha esaltato i pregi storici dell’opera di Rossi, che ha il merito di coniugare e intrecciare inesorabilmente la «microstoria» con la grande storia, collegando le vicende personali con quelle più salienti del “secolo breve”. L’evoluzione graduale e progressiva del Pci è stata vissuta dai suoi affiliati in maniera totalizzante, come si trattasse di una chiesa, rinunciando ai propri affetti e alle esigenze personali pur di partecipare alla crescita e all’affermazione nazionale del partito, gettandosi a capofitto nelle sue lotte, regalando corpo e anima alle sue contese. L’autore si domanda se, in fondo, ne sia valsa la pena e la risposta, rintracciabile tra le righe, è affermativa, dal momento che il pregio fondamentale del Pci è stato quello di contrastare ogni forma di individualismo e personalismo, attraverso «una sorta di autocensura della personalità», condotta in nome delle esigenze e delle lotte collettive.

Soffermandosi sullo stile di Rossi, il professor Perna ci narra di una scrittura elegante, misurata ed equilibrata, totalmente in sintonia con la personalità dell’autore e profondamente rispettosa degli individui coinvolti nel suo racconto storico. Lo scrittore tratteggia un testo ricco di suggestive «pennellate», soprattutto nella descrizione della “sua montagna”, un Aspromonte isolato, privo di elettricità, incapace di comunicare persino con la vicina Reggio, ma al contempo amabile e affascinante. L’autore ci consente di rivivere i colori, i sapori, i profumi, le usanze, le tradizioni, le difficoltà e le gioie di una terra che sembra ormai lontana nel tempo e nello spazio. La Calabria interna, appartata dal mondo e dalla costa, è riuscita a risorgere e a riscattarsi solo grazie alle lotte proletarie dei contadini, i quali, con il supporto del Partito comunista, hanno avviato la contesa per la conquista di condizioni di vita più dignitose. Questa popolazione analfabeta ha individuato uno scopo vitale e uno strumento di elevazione nella lotta politica, quella in cui «la promozione individuale passa attraverso la crescita collettiva». L’esatto contrario di ciò che avviene oggi nelle vicende politiche, dominate dalla brama e dall’ambizione individuale e personalistica di “poltrone”, ricchezza e potere. La vocazione autentica delle contestazioni proletarie era proprio quella di sacrificare il vantaggio del singolo in nome del bene comune, tendenza che si è totalmente perduta col passare del tempo. I contadini di Cardeto, che si sono schierati contro il padronato sfruttatore, avevano perfettamente compreso che la qualità della vita, la felicità non dipendono dalla ricchezza e dal potere personale. Essi, avendo conosciuto la povertà estrema e la fame, si accontentavano di un piccolo aumento salariale, dell’acquisto di una casa accogliente, di un miglioramento delle condizioni lavorative, di un maggior progresso dei macchinari impiegati per coltivare la terra. Non ambivano alla corsa sfrenata nella scalata verso il potere. E soprattutto desideravano che a godere di requisiti di vita più soddisfacenti fosse l’intera comunità, anziché uno solo tra loro. Questa è stata la loro forza, la loro autentica arma vincente: grazie al senso di appartenenza al gruppo, sono riusciti ad ottenere il riscatto da decenni di vita lacerante e disumana.

Lo stesso pudore nel rivendicare le glorie personali, da cui il Partito comunista era contrassegnato, è evidente nel libro di Rossi. L’autore, infatti, così come Perna ci spiega, «nasconde l’“io”», non esprime mai particolare rancore, rabbia o rimpianto per le vicende vissute. Egli non si lascia andare a emozioni o sentimenti eccessivi, smisurati. Ciò che traspare continuamente dall’opera è la consapevolezza di «aver vissuto un momento di politica alta», delineata dalle difficoltà impervie del fascismo, che ha segnato in maniera profondamente negativa le vicende della Calabria, alla crescita e allo sviluppo della regione grazie alle lotte comuniste, sino al crollo definitivo di un partito storico, che ha determinato la fine del sogno collettivo di un’intera generazione. L’autore fa rivivere le atmosfere di quel periodo, sia locali che nazionali, narrando svariati aneddoti sulle agitazioni contadine e operaie, sulle lotte di «un mondo vitale», giunto, infine, ai vertici dirigenziali con la gestione della regione. Prima che la morte del partito spazzasse letteralmente via un’intera epoca. La trasformazione del Pci in Ds sarebbe stata impensabile vent’anni prima, in quanto il grande partito della Sinistra italiana era molto forte, seguito e dinamico. Ma allora come si è arrivati a questa incredibile caduta? La risposta all’interrogativo, Rossi ce la fornisce tra le righe del suo racconto: lo scadimento della politica, la brama di «vittoria ad ogni costo» dei dirigenti del partito, la perdita del senso del limite, il prevalere delle competizioni e delle lotte individuali e personalistiche su quelle collettive (da sempre il vero punto di forza del Pci), il crescente disinteresse nei confronti del bene comune, surclassato dalle esigenze e dagli obiettivi dei singoli, la volontà di scendere a bassi compromessi e di intrecciare agganci con la malavita organizzata, pur di conquistare il potere e le “poltrone”. Anche il Partito comunista, in definitiva, si è lasciato travolgere da quella decadenza generale della vita politica e sociale che ci affanna ancora oggi. Il libro di Rossi «trasmette una giusta tristezza per questo scadimento». L’autore ci avverte che la politica è un lavoro intellettuale come molti altri: essa ha, quindi, il bisogno di essere portata avanti da professionisti, ma anche e soprattutto dalla gente comune, dagli intellettuali esterni, che diano il loro apporto e contributo, con la forza della passione, con il sacrificio degli intenti individuali, con un atteggiamento propositivo e volontaristico. Questo è stato il grande merito del Pci, a partire dagli anni Settanta, e la progressiva perdita di tale tensione ideale e valoriale ne ha decretato la scomparsa, così come il decadimento della società contemporanea in generale.

Infine, in chiave antropologica e sociologica, secondo Perna, Il lungo cammino dall’Aspromonte a Strasburgo offre la visione di un mondo più semplice di quello odierno, «un mondo vitale, appassionato e animato», in cui si prendeva parte a qualcosa, si combatteva per ideali e valori collettivi, in nome dei quali valeva la pena spendere la propria vita.

 

I nuovi protagonisti del “secolo breve”: gli umili, gli intellettuali, le donne e i giovani

L’autore del libro, che ha curato l’ultimo intervento, ha espresso l’angoscia provata di fronte ad un’epoca protagonista della spettacolare caduta di tensione etica, ideale, valoriale e passionale, proprio come quella vissuta dalla società contemporanea. Niente di più distante dal periodo delle lotte operaie e contadine, contrassegnate da un’autentica vocazione collettiva. A tal proposito, Rossi dichiara di non essersi mai pentito di aver partecipato alla storia del Partito comunista italiano, a dispetto del dilagante rinnegare di molti dei suoi ex “compagni”. Al contrario, lo scrittore esterna l’orgoglio di aver lottato a fianco di una forza politica che sentiva il bisogno di combattere per gli umili, in nome degli ideali di uguaglianza, libertà e fraternità, ereditati dalla Rivoluzione francese. Il partito ha avuto il grande merito di sospingere, per la prima volta nella storia del paese, l’universo contadino, prima schiacciato dai proprietari terrieri e profondamente isolato, a diventare «il protagonista di memorabili battaglie democratiche», affiancato dalla carica innovatrice degli intellettuali. Solo dall’unione di queste due forze sociali, all’apparenza così diverse, poteva derivare il vero cambiamento politico. L’obiettivo del partito era altresì quello di «far emergere nuovi protagonisti» sulla ribalta politica. Non soltanto i più poveri, ma anche le donne, le quali hanno sostenuto questo grande movimento di rivolta, diventando, per la prima volta, artefici delle lotte politiche e della vita sociale del paese, persino dalle località interne e montane della Calabria, terra di profonda tradizione maschilista. I nuovi protagonisti del “secolo breve”, oltre agli umili, agli intellettuali e alle donne, sono stati i giovani, che rappresentavano la speranza di continuità politica del Pci. I dirigenti del partito, infatti, si preoccupavano costantemente di “allevare” le nuove leve, che sarebbero diventate le guide del futuro comunista. Oggi questa preoccupazione è scomparsa, lasciando il posto all’egoismo dei vertici politici, all’individualismo, all’attaccamento esasperato e pervicace alle “poltrone”. Tale situazione ha prodotto «il rifiuto e il disgusto giovanile della politica». La speranza e l’esortazione di Rossi, da ex dirigente del Partito comunista, è che l’atteggiamento delle giovani generazioni faccia riflettere profondamente i leader politici, chiamati a offrirci nuovi valori e a diventare artefici di «una nuova rivoluzione culturale».

 

Annalice Furfari

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno II, n.7, marzo 2008)

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