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A. XVIII, n. 199, aprile 2024
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Dibattiti ed eventi (a cura di Natalia Bloise)

L’elogio della critica per Jolanda Insana
di Alessia Cotroneo
L’Università di Messina rende omaggio in un convegno all’illustre ex allieva
dopo la pubblicazione per Garzanti della raccolta completa delle sue liriche


All’indomani della pubblicazione nella prestigiosa collana Elefanti di Garzanti della raccolta completa delle sue liriche, Jolanda Insana, una delle voci più originali del panorama poetico italiano, ritorna alle radici della sua ispirazione nella città natale, Messina. Il pretesto è offerto dal convegno Nessuno torna alla sua dimora. L’itinerario poetico di Jolanda Insana, che si è svolto nella città peloritana nei giorni 30 novembre - 1 dicembre. L’iniziativa è stata promossa dal Dipartimento di studi sulla Civiltà moderna della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’università cittadina, che ha voluto rendere omaggio in quella che aspira ad essere “la casa delle muse” ad un’illustre ex allieva dell’ateneo, vincitrice nel 2002 del Premio “Viareggio poesia”

In questo ritorno alle origini non c’è spazio per la retorica né per il campanilismo, ma solo approccio scientifico e ammirazione per l’estro di Jolanda Insana poetessa e traduttrice di autori classici e contemporanei, tra cui spiccano Alceo, Callimaco, Euripide, Lucrezio, Marziale, Plauto, Saffo, e il più recente Andrea Cappellano.

Le due giornate di studi, animate da intellettuali provenienti da realtà accademiche e culturali eterogenee, si sono proposte come l’occasione per compiere un’indagine esaustiva sulla sua opera, ma anche per festeggiare due ricorrenze importanti: il settantesimo compleanno della poetessa e il trentennale della pubblicazione della sua prima raccolta Sciarra amara. Per tutta la durata dei lavori non è mai mancata la partecipazione commossa della poetessa, che non ha lesinato risposte, chiosando il convegno con una riflessione amara sullo stato attuale della cultura e della società nel nostro paese, regno del “disamore”.

 

Editori, critici letterari e accademici a confronto sulla «pupara»

Un grande entusiasmo e un indiscusso rigore scientifico hanno caratterizzato ciascun momento dell’incontro a cui non è voluto mancare il direttore editoriale della Garzanti, Oliviero Ponte di Pino, curatore del volume Tutte le poesie che raccoglie l'intera opera di Jolanda Insana (da Sciarra amara-1977 a Fendenti fonici-1982, da Il collettame-1985 a La clausura-1987, da Medicina carnale-1994 a L’occhio dormiente-1997), con l'aggiunta del poemetto La bestia clandestina che fa parte del lavoro a cui la poetessa si sta dedicando dal 2003. Le motivazioni che lo hanno portato ad investire su una raccolta così ricca e multiforme qual è quella della «pupara di parole» vengono riassunte in cinque parole-chiave: affetto, bellezza, donne, Sud, poesia non riconciliata. Il sodalizio editoriale che lo lega a Jolanda, infatti, trae origine, non soltanto da un’amicizia di vecchia data, ma anche dall’ammirazione per le sue liriche, espressioni di una poesia non riconciliata, densa di «coltellate di bellezza e coltellate di verità». In più, ed è qui che vengono svelate le scelte di marketing, Insana è un’esponente della cultura al femminile e, insieme, del Mezzogiorno, a cui la Garzanti intende conferire il giusto riconoscimento.

Sulla stessa linea si muove Sergio Palumbo, redattore delle pagine culturali della Gazzetta del Sud, annoverando la poetessa tra gli interpreti più illustri della “scuola messinese” che comprende esponenti del calibro di Salvatore Quasimodo, Bartolo Cattafi e Stefano D’Arrigo. Il giornalista ricorda, inoltre, il peso decisivo sulla carriera della scrittrice siciliana di Giovanni Raboni, “mostro sacro” della critica letteraria militante, che scoprì e pubblicò nel 1977 nella collana I quaderni della Fenice della casa editrice Guanda la sua prima raccolta poetica.

Gli interventi più strettamente tecnici sono di: Maria Antonietta Grignani dell’Università per stranieri di Siena; Andrea Cortellessa, professore di Letteratura comparata dell’Università degli studi “Roma Tre” e stimato critico letterario militante; Tommaso Ottoniere dell’Università “La Sapienza” di Roma; Anna Mauceri della “John Cabot” University di Roma; Gabriele Frasca dell’Università degli studi di Salerno; Giovanna Ioli critico militante torinese; Nina Lorenzini dell’Università di Bologna; Rodolfo Zucco dell’Università degli studi di Udine; Marilena Renda dell’Università degli studi di Palermo; e, dulcis in fundo, Dario Tomasello, l’anima organizzativa dell’evento, dell’Università degli studi di Messina. Nomi importanti del panorama della critica letteraria militante e del mondo accademico che hanno scandagliato e sezionato i versi di Jolanda Insana con rispetto, memori dell’ammonimento, contenuto in una poesia della raccolta, «a chi mi vuole spogliare, svergognare, pubblicare, io dico: ti do la lana, non la pecora».

La serata si è conclusa con la suggestiva lettura di poesie nella salaLaudamo del Teatro “Vittorio Emanuele”, curata dalla poetessa e dall’attrice Sonia Bergamasco.

 

La voce della memoria: rime dissonanti, «malocchi verbali» e retaggio classico

Non ci sono parole più appropriate per descrivere Insana se non quelle adottate dalla poetessa nel 1990 parlando di sé, rigorosamente in terza persona.

 

«Conobbe la guerra e i fichi secchi, e dunque predilige parole di necessaria sostanza contro il gelo e i geloni (Ipponatte docet) dell’inverno freddissimo del ’44, e contro i bombardamenti a tappeto su Messina e i boati del terremoto./ Impigliata nell’intemperanza dello spasmo ossimorico e intrappolata in strette maglie, Jolanda Insana si aggira per teatranterie tra insulto e bestemmia, o piomba nell’enigma della passione perché la voce non vuole smorire e urla scongiuri per scongiurare nefandezze [...] E quel che linguisticamente è masticabile diventa suo cibo, e se non trova da masticare inventa. E così si sconchiglia spalpita s’impoesia e, picchiacuore e fottiverso com’è, introduce nel poesificio il tritaverso e il trangugiaismi, il lustrastilemi e lo sputafonemi, tutta l’attrezzeria, insomma, per “vivere canzonando in dolce scontegno”, tra vizi e sfizi in pieno sole».

 

Ignorata dalle più recenti antologie dei poeti italiani con il pretesto della particolarità, esaltata dai critici letterari, Insana è una delle interpreti più originali e autentiche della poesia italiana della seconda metà del Novecento.

Fortemente critica verso il conformismo e l’edonismo del «poesificio» italico, professa un antipetrarchismo ostinato, fatto di immagini corpose in cui Giovanni Raboni rivide la grandezza della poesia medievale di Iacopone e Dante.

Insana si colloca al di fuori di qualunque corrente poetica, lontana tanto dalla poesia oralizzante degli anni Sessanta quanto dalla neoavanguardia. La sua ispirazione non trae origine dai modelli letterari contemporanei, bensì dai rumori dell’infanzia in cui riecheggiano voci di pupari e banditori, martoriati dalla guerra e contrabbandieri.

La forza della memoria, innesto della psiche, si esprime attraverso una lingua che manifesta i disturbi diatopici provocati dal distacco dalla Sicilia: dalla “s” insistita che precede le parole nei momenti più intensi delle liriche, al sostrato dialettale che si oppone ostinatamente all’italiano, lingua estranea. Il dolore e la lacerazione sono la matrice del ricordo che trasforma i rumori della caotica Roma nei rombi dei bombardamenti su Messina che offendono l’udito. Ma «di memoria non si campa», perché «memoria e morte si somigliano: entrambe puzzano», e la «pupara» affida alle parole sulla scena il compito di impedire la rimozione della realtà. «Pupara sono / e faccio teatrino con due soli pupi / lei e lei / lei si chiama vita / e lei si chiama morte».

La sua scrittura, dal tratto inconfondibile, piega le parole ai movimenti tortuosi della sua mente, in un pastiche linguistico che si immerge continuamente nel dizionario, sconquassandolo. Il suo è un rapporto con il linguaggio senza scrupoli e senza Arcadia, fatto di parole scagliate sulla pagina all’insegna della contaminazione, dell’energia vocale, della parodia estrema che trascende nell’insulto. Insana non insegue le belle parole ma i fendenti fonici, i vocaboli ricomposti di getto, aspri, mistici e corporali. La sua lingua è figlia delle stratificazioni plurisecolari di una parlata insulare e periferica, che manifesta il retaggio della cultura classica attraverso la sonorità siciliana, intrisa di tradizione contadina. Nelle sue liriche la poetessa gioca con le sovrapposizioni di senso tra lingua antica e moderna, popolare e aulica, grecismi e dialettalismi, neologismi e disfemismi.

Se è vero che «la parola molto assiste chi per lei molto rischia», è certo che i rischi che corre e fa correre alla lingua nei suoi versi sono al limite dello sperimentalismo. Con le sue armonie franche e dissonanti, Insana vuole scalfire la lingua, trasformare i suoni in parole. Si originano così le «sciarre» foniche, che fanno il verso, secondo Grignani, alle rime delle bolge dantesche.

La forte istanza comunicativa presente nelle poesie dell’autrice siciliana si esprime attraverso rimandi alla realtà concreta, a profumi, rumori, sapori che riemergono dalla memoria frammentaria e fibrillante di una mente «cannibale che si nutre di se stessa», densa di «vulneramenti sensoriali» (Cortellessa). La sua poesia interamente immanente, diventa così una sorta di continuum fonico di approssimazione alle cose, in cui non trova spazio il realismo mimetico bensì la concretezza a tratti visionaria di una lingua «fattucchiera e stregata» (Lorenzini), che si radica in una consistenza periferica tutt’altro che deterritorializzata. La scrittura poetica di Insana, infatti, definisce le coordinate geografiche di un lembo dello Stretto, metafora di uno iato dell’anima. Lo Stretto è frontiera che isola irrimediabilmente, accerchiamento da superare; le sue acque non sono né poetiche né chiare, ma perimetro della reclusione dal continente, e da esse si può trarre solo il sale raggrumato venduto di contrabbando per sbarcare il lunario. L’acqua dello Stretto preme, stroppia e rivolta la vita, segnando la confluenza del ribollire di due mari o la distanza da coprire: è la via di fuga non si sa se da o per l’esilio. Così la poesia diventa imperativo di ribellione, espressione di traumi esistenziali che conferiscono, insieme al ricordo della guerra, un andamento sismico alle liriche, che a dispetto delle innumerevoli differenze, si presentano come un «poema unico per colate laviche successive» (Frasca). L’io emerge soltanto alla fine, perché Insana spesso delega ad altri soggetti il compito della denuncia, sottraendolo all’io frammentato, «quel povero io impiccato al palo», destinato a confliggere con il mondo.

L’invettiva civile rimane sempre sullo sfondo, parte dalle critiche sullo stato della lingua del Belpaese e arriva a lambire il paesaggio, «il bel giardino da valanghe e frane è oppresso» (esplicito richiamo all’invettiva dantesca del VI canto del Purgatorio), fino ad esplodere contro il disamore dominante nella società contemporanea, divisa in uomini-uomini e uomini-bestie che hanno bisogno di un avversario per vivere.

 

«Manifestiamo contro le stragi, contro la tortura, contro la schiavitù, e poi accechiamo il vicino di porta, foraggiamo i profittatori che con gli unghioni ci strappano la pelle, diamo una mano agli schiavisti, comprando corpi e merci. E non c’è scandalo. Buttiamo i bambini nella spazzatura, nella lavatrice, nella ghiacciaia, nei bordelli. E non c’è scandalo. Appallottoliamo diritto e leggi – carta da cesso. Però ci commoviamo, siamo generosi, facciamo le collette. Madamini di san Vincenzo truccati carezziamo mostri e stragisti. Le vittime ce le scordiamo: sono loro i colpevoli. Quando si dice il diritto e il rovescio! Profumatamente pagati coccoliamo usurpatori e violentatori rivoltando sacchi di merda. Abbiamo il cervello bacato. Bucato. Smangiato dal tarlo del ribasso. E niente vale niente. Non ci sono doni, le polpette sono tutte avvelenate. Neghiamo l’acqua e la parola vera. Ci resta la resistenza all’oltraggio e alla violenza. Fino a quando? E intanto distruggiamo la terra e progettiamo di rendere abitabile e colonizzare Marte. Malati e deliranti. Tutti».

 (Jolanda Insana, Disamore)

 

 Alessia Cotroneo

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno II, n.6 , febbraio 2008)

 

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