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A X, n 108, agosto 2016
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Home Page (a cura di La Redazione) . A X, n 108, agosto 2016

Zoom immagine La percezione in musica:
dai suoni ai segni grafici

di Emanuela Cangemi
Il percorso evolutivo della notazione classica: dalle origini
alla rivoluzione contemporanea. Breve saggio di musicologia


Questo scritto inizia con un breve percorso storico sulla notazione occidentale, per dimostrare come nel Novecento si sia sentita l’esigenza di modificare, per alcuni brani, tale tipologia di notazione e codificazione, che ha origini antiche.
Esigenza che, in realtà, ha origini altrettanto antiche, ma probabilmente in passato si era “impreparati” o “impediti” nel rendere in scrittura la musica da eseguire. Oggi alcune musiche “composte” risultano troppo difficili da analizzare rappresentandole in notazione classica tradizionale, quindi è preferibile codificarle in “eventi sonori”, che rappresentano graficamente il musicale del brano.
Seguirà un breve excursus discorsivo sulle possibili notazioni degli strumenti a percussione.
Dietro la codificazione e la rappresentazione grafica di questi “eventi sonori” c’è un processo mentale, che inizia dalla percezione dell’elemento esterno, e, nello specifico contesto, grazie alla percezione musicale, che proprio come nel passato ci permette di codificare il brano.
Infine sarà presentata la composizione per orchestra Atmosphères del compositore György Ligeti, analizzando le prime ventinove battute, come esempio di codifica in “eventi sonori”.

La notazione musicale dalle origini ai nostri giorni
Il termine “notazione” indica il sistema di scrittura e di codifica musicale, in segni grafici. La notazione odierna risale alla fine del XVI secolo, ma durante i secoli precedenti furono sperimentate varie forme di scrittura musicale indicanti altezza e durata dei suoni, in quanto la musica è un prodotto elaborativo, dato da queste due componenti, altezza e durata: frequenziale e ritmico, dunque.
Il primo sistema di notazione codificato risulta essere quello dei Greci, i quali, combinando e modificando le lettere dell’alfabeto, costruirono due notazioni specifiche: quella strumentale, data dall’elaborazione di alcune lettere dell’alfabeto arcaico, e una per voce, ottenuta dall’elaborazione delle lettere dell’alfabeto ionico. Queste, ovviamente associate a delle frequenze acustiche definite suoni, vennero abbinate a simboli convenzionali per indicarne anche la durata, quindi la musica intesa come nel tempo e nello spazio.
Probabilmente, questo tipo di notazione fu adottato dai Romani, che sostituirono le lettere greche con le prime quindici dell’alfabeto latino, in seguito limitate a sette.
Nel corso del Medioevo, per coniare una notazione musicale, si sfruttarono i simboli grafici degli accenti acuto e grave, seguendo l’esempio di altri sistemi di codifica (bizantina ed ebraica) e, a fianco a questa tipologia di notazione, fu introdotta anche la dasiana, comprendente un rigo per il testo cantato.
Nell’VIII secolo, venne creata la notazione tipica del Canto gregoriano, detta neumatica, differente a seconda del luogo europeo di origine, per questo, esistevano quindici principali famiglie di neumi tra le quali quella di San Gallo e di Benevento.
La prima notazione neumatica, definita adiastematica o in campo aperto, non definiva perfettamente né l’altezza né la durata del suono.
Maggiore chiarezza sopraggiunse con l’integrazione di una linea, che indicava inizialmente la posizione del suono Fa, alla quale, in seguito, venne aggiunta una seconda linea, indicante il suono Do. Davanti alle linee, venivano segnate le lettere C e F, antesignane delle attuali chiavi musicali di Do (soprano, mezzo soprano, contralto, tenore) e di Fa (basso e baritono).
Nasce dunque una maggiore conoscenza spaziale, in quanto il suono veniva concepito come altezza distinta, chiarita da una chiave di lettura.
Nel secolo XI, venne ideato da Guido D’Arezzo il primo rigo musicale, il tetragramma, mentre nei secoli XII e XIII, con la nascita della polifonia, si sentì l’esigenza di definire, in modo più chiaro, il valore di durata dei suoni. Esigenza che in un primo momento venne risolta con la teorizzazione dei modi ritmici, da parte dei compositori Leoninus (detto magister Leoninus) e Perotinus (o Perotino), i quali trassero combinazioni ritmiche derivate dalla metrica greca. Esternando in questo modo la pulsione della musica, che potrebbe essere intesa come il giusto equilibrio della musica stessa, che è, ricordiamo, frequenza e ritmo. Si sviluppò, in seguito, la notazione definita modale che introduceva segni specifici per l’indicazione della durata del suono e delle pause.
Nel secolo XVI, fu creata la notazione mensurata, e dopo il 1450, gradualmente, i segni adoperati per questa tipologia di notazione iniziarono a essere simili alle figure musicali odierne.
Nello stesso periodo si sviluppa la notazione strumentale, basata sull’intavolatura, dove i suoni erano indicati in modo verticale.
La notazione moderna si sviluppa nel corso dei secoli XVI e XVII, grazie anche all’invenzione della stampa musicale e dell’incisione.
Nella musica delle Avanguardie del Secondo dopoguerra, sono stati utilizzati nuovi tipi di notazione derivati da criteri non convenzionali di composizione e di esecuzione, per questo motivo, sono state adottate nuove grafie e nuovi idiomi, interpretabili di volta in volta tramite una chiave di lettura stabilita dal compositore.
La notazione della musica contemporanea riflette la “rivoluzione” operata dai compositori sia con lo stravolgimento della sintassi musicale, sia con l’indagine e la sperimentazione di nuove sonorità e possibilità espressive. La musica, quindi, concepita come ricerca interdisciplinare, porta a viaggiare tra la letteratura pratica e teorica del passato all’attuale, per rielaborarla e vivificarla, attraverso nuove forme dello stesso linguaggio. Questa tipologia di scrittura è caratterizzata da alcuni elementi, come:
- indeterminatezza delle durate, delle altezze e delle indicazioni dinamiche e agogiche;
- molteplicità delle indicazioni di lettura della pagina musicale, frammentata in “eventi sonori”;
- libertà di interpretazione e di improvvisazione lasciata agli esecutori.

La notazione degli strumenti a percussione
Il sistema tradizionale di notazione musicale per gli strumenti a percussione nasce intorno al 1600 e, fino alla metà del XX secolo, i compositori europei sono stati costantemente alla ricerca di un sistema di notazione che permettesse di determinare i suoni, con esattezza sempre maggiore.
«Prima del Seicento la notazione si risolveva con l’uso di una specie di tracciato che, con l’attiva collaborazione del suonatore, diveniva musica viva, come accade in certa musica contemporanea d’avanguardia. I compositori del Medioevo e del Rinascimento, per esempio, non indicavano quali strumenti a percussione si dovessero usare per accompagnare le musiche popolari o quelle colte, né tanto meno specificavano il tempo o le dinamiche per l’esecuzione. Questi problemi erano affidati a un capo-musica, che li risolveva a seconda del numero di musicisti a sua disposizione, del luogo in cui la musica doveva essere eseguita e del livello di preparazione degli interpreti. Nel XVII secolo e per la maggior parte del XVIII, le partiture erano scritte con schemi approsimativi, che gli esecutori dovevano poi completare al momento dell’esecuzione, quasi improvvisando. Vi erano indicazioni su quali strumenti suonare e convenzioni che permettevano un’ampia libertà d’esecuzione: sostituizioni di tutti i generi non solo erano permesse, ma anche incoraggiate. L’esecutore godeva della più ampia libertà e poteva, entro certi limiti, rimaneggiare la partitura del compositore, adattandola al proprio gusto e alle proprie capacità» [1].
Come precedentemente scritto, l’attuale notazione musicale risulta essere un processo in divenire, che fonda le sue origini nel 1600: è a partire da questo secolo che il compositore inizia ad avere la tendenza ad inserire, in partitura, indicazioni più precise riguardo ai suoni e agli effetti che desiderava ottenere dall’esecutore, così facendo evitava allo stesso di avere quella libertà di interpretazione-esecuzione caratterizzante i periodi storico-musicali precedenti, ma che ritornerà nel secolo XX per alcune composizioni.
«Nelle partiture degli anni Cinquanta la ricerca nella progettualità compositiva di eventi sonori viene a identificarsi con maggiore estensione di suoni e di relazioni fra essi. Vi è un moltiplicarsi di prescrizioni esecutive, quasi a voler rinnovare il rapporto tra esecutori e compositori; vengono introdotti nuovi segni grafici e nuove notazioni pittografiche, per fornire all’interprete più uno stimolo alla sua immaginazione che indicazioni concrete di prassi esecutiva. In questo modo la partitura, come nell’arte pittorica, diventa un esemplare unico e al tempo stesso le esibizioni sia di singoli interpreti, sia di complessi di eccezionale abilità, che intervengono sempre più attivamente nelle esecuzioni, contribuiscono al diffondersi della notazione pittorica. Successivamente, verso gli anni Settanta, con il ritorno alla prassi musicale tradizionale, diminuiscono gli scritti teorici e gli esperimenti grafici» [2].
Gli strumenti a percussione, categoria strumentale di origini antiche, inizia a essere presa in considerazione nel XX secolo. Le notazioni associate a tali strumenti sono molteplici, in quanto appartengono a tale famiglia strumenti a suono determinato e strumenti a suono indeterminato, e se per i primi si è potuto utilizzare un sistema di notazione chiaro e universale, per i secondi non si è ancora trovata una notazione esaustiva, che riesca a soddisfare le aspettative di un nutrito numero di compositori ed esecutori. Inoltre, bisogna ricordare che, alcune volte, è richiesto al percussionista di suonare “strumenti” del tutto particolari, oggetti esistenti e presenti nella vita quotidiana, come per esempio utensili di uso domestico o da lavoro, che producono se opportunamente percossi, un “suono” interessante, piacevole per il compositore che lo include nel suo tessuto compositivo. Dato che questi utensili non sono strumenti a percussione, quindi non rientranti nelle categorie precedentemente citate, necessitano di ulteriori tipologie di notazione.
«I compositori si servono di notazioni talmente disparate, con una tale proliferazione di nuovi segni e simboli, che gli esecutori devono a volte imparare come interpretare le notazioni di ciascun brano compositivo prima di cominciare a suonarlo e ricordarsi poi tutte le istruzioni a memoria» [3].
In linea di massima, le notazioni applicabili per gli strumenti a percussione sono:
- notazione a pentagramma, utilizzabile sia per strumenti a suono determinato, sia per gli strumenti a suono indeterminato;
- notazione a pentagramma con linee aggiuntive, utile per associare in modo chiaro e sullo stesso spartito parti per strumenti a suono determinato con parti per strumenti a suono indeterminato;
- notazione a linee orizzontali (da una a più linee), consigliata per gli strumenti a suono indeterminato.
Oltre ai simboli tradizionali delle figure e alle rispettive pause musicali, la notazione degli strumenti a percussione prevede anche altri simboli (rappresentanti gli strumenti a percussione classici ed eccezionali) e ideogrammi (indicanti gli effetti speciali ottenuti dalla diversa gestualità del percuotere e dal diverso uso delle bacchette da adoperare).

Concetto di percezione e percezione musicale
L’essere umano riesce a percepire le informazioni provenienti dall’esterno in modo attivo, cioè riesce a selezionare e rispondere selettivamente alle stimolazioni provenienti dall’ambiente, in quanto è dotato di organi recettori e di meccanismi capaci di cogliere, in maniera attendibile e veritiera, i diversi aspetti della realtà.
Grazie alle sue competenze percettive, è in grado di organizzare gli stimoli in unità discrete e in totalità dotate di significato, che, grazie a questo, saranno in seguito individuate e riconosciute.
L’attività percettiva, dunque, costituisce una premessa fondamentale sia per i processi mentali di categorizzazione, sia per l’elaborazione dei significati, nonché per la gestione degli interessi da condividere con le altre persone.
Attraverso la percezione sonora, che dipende dal valore minimo di intensità di stimolazione (soglia), l’uomo riesce a valutare e a riconoscere le caratteristiche fisiche del suono, ovvero la frequenza, l’ampiezza dell’oscillazione e la forma sonora.
Ma la percezione sonora non è stata studiata solo dalla psicoacustica; è stata studiata anche dalla psicologia della musica, disciplina che si sviluppa nella seconda metà dell’800 e che ha come oggetto d’indagine i comportamenti connessi con la musica, proponendosi di analizzare i processi di carattere percettivo, cognitivo e affettivo, che si accompagnano alle esperienze di fruizione e di produzione musicale.
Dalla teoria sulla percezione musicale di Carl Friedrich Stumpf, che la definiva una totalità di sensazioni, si è arrivati alla teoria della Gestalt, secondo la quale gli stimoli sonori ai quali il soggetto è esposto non sono riprodotti oggettivamente in forma isolata, ma sono percepibili come insiemi di elementi organizzati in totalità significative.
Questa è possibile in quanto l’uomo riesce a elaborare gli stimoli sonori percepiti, seguendo diverse leggi, ovvero:
- legge di prossimità: che permette il raggruppamento di elementi vicini;
- legge di buona affermazione: con la quale si tende a completare una figura incompleta;
- legge di continuità: attraverso la quale elementi che si susseguono nella stessa direzione sono assimilati percettivamente;
- legge di somiglianza: grazie alla quale elementi affini vengono riconosciuti e posti in relazione reciproca.
Gli ultimi studi sulla psicologia della musica a orientamento cognitivistico ritengono l’individuo capace di realizzare complesse elaborazioni come: categorizzare, raggruppare, gerarchizzare, che dipendono sia da meccanismi percettivi non controllati cognitivamente, sia dall’acquisizione di competenze musicali.

Atmosphères
Fu composta nel 1961 per grande orchestra ed è considerata uno dei pezzi fondamentali nella produzione del compositore ungherese György Ligeti, poiché contiene molte delle innovazioni che avrebbe esplorato nel corso degli anni ’60.
In effetti abbandona melodia, armonia e ritmo, per concentrarsi invece puramente sul timbro del suono prodotto, tecnica conosciuta come sound mass.
Il compositore Ligeti coniò il termine “micropolifonia” per la tecnica di composizione usata in Atmosphères e in Apparitions nonché in altri suoi lavori del periodo, spiegandola in questo modo: «La complessa polifonia di ciascuna parte è incorporata in un flusso armonico-musicale nel quale le armonie non cambiano improvvisamente, ma si fondono l’una nell’altra; una combinazione distinguibile di intervalli sfuma gradualmente, e da questa nebulosità si scopre che una nuova combinazione di intervalli prende forma».
L’organico orchestrale prevede: quattro flauti con ottavini, quattro oboi, quattro clarinetti in Si bemolle che suonano anche il piccolo in Mi bemolle, tre fagotti, un controfagotto, sei corni, quattro trombe, quattro tromboni, una tuba, un pianoforte (suonato da due percussionisti, che percuotono le corde), quattordici violini primi, quattordici violini secondi, dieci viole, dieci violoncelli, otto contrabbassi.
Il pezzo evoca un senso di atemporalità, anche se grandi porzioni del brano presentano un intenso contrappunto, dove le voci strumentali si susseguono vicine l’una all’altra, tanto da risultare impossibile la percezione singola, e proprio questa struttura alla fruizione giunge in risultato finale, come apparente immobilità. Nel tessuto musicale, l’armonia viene sospesa in favore di suoni sostenuti e ciò si evince dall’inizio del brano, che si presenta con un cluster, nello specifico viene suonata ogni nota di una scala cromatica nell’intervallo di cinque ottave, tenuti da archi e fiati, che man mano all’interno dell’intreccio e, molto lentamente, si evolve in un continuo mutare di struttura; alcune voci strumentali si allontanano, altri suoni diatonici e cromatici compaiono in diversa durata, portando il brano ad una nuova elaborazione.
All’interno del brano, che inizia in forma tetica e conclude in forma tronca, sono presenti cambiamenti agogici (semiminima 40, minima 30, minima 40, semiminima 60), battuta 40°, 44°, 54°, 60°, 78°, 88°, nonché cambiamenti metrici, dal 4/4 iniziale si modifica in 2/4 a battuta 76, in 3/4 e successivamente in 2/4 a battuta 82, in 3/4 e 2/2 a battuta 87, per terminare in 4/2 a battuta 103.
In otto minuti e trentaquattro secondi, le dinamiche presenti nel tessuto costruttivo varieranno da pppp a ffff, le figure dalla semibreve alla semibiscroma, presenza di legature di valore, portamento e di frase, presenza di gruppi irregolari.
Vari sono gli effetti timbrici degli strumenti, che suonano sul ponticello, sui tasti, adoperano la sordina, eseguono vibrati e soffiati.
Le caratteristiche che emergono sono fondamentalmente:
- un’elaborazione continua e sistematica del materiale musicale presentato nel cluster iniziale;
- contrasti: armonico, dato dal passaggio da una scala diatonica a una scala pentatonica, frequenziale, dato dal passaggio da strumenti che eseguono frequenze acute a strumenti che riprendono in un registro grave, dinamico, dato dal repentino cambiamento dinamico, timbrico, dato dal repentino cambiamento timbrico degli strumenti presenti nell’orchestrazione che si susseguono.
La composizione potrebbe essere concepita in forma sonata: presentazione, sviluppo e ripresa, dove nella presentazione si manifesta il cluster, ovvero il materiale tematico, nello sviluppo questo materiale viene elaborato e nella ripresa in forma elaborata si ripresenta. Quindi un’idea musicale, presente fin dall’inizio, che prende forma, si modifica, si trasforma per poi manifestarsi in materiale sempre più minuzioso ma riconoscibile, nello scorrere della composizione.

Analisi formale delle prime ventinove battute
Il brano inizia con un totale cromatico pressoché completo, con dinamiche di pp che man mano scemano fino a scomparire del tutto, e con semibrevi legate: i flauti per quattro battute, i clarinetti per otto, i fagotti per sei, il controfagotto per otto, i corni per otto, così pure i violini primi e secondi e i contrabassi. Le viole e i violoncelli saranno gli unici strumenti che continueranno lo stesso disegno ritmico, modificando però a battuta 8 cromaticamente e con variazioni dinamiche da ppp a f.
A battuta 13, sul quarto movimento e con dinamiche di ppp, si ripresentano: flauti, clarinetti, fagotti, controfagotto, corni, con l’aggiunta degli oboi, delle trombe, dei tromboni e della tuba, che modificheranno il timbro della composizione, dinamiche di pppp ed inizieranno a variare l’aspetto ritmico, anticipando il disegno ritmico che avverrà a battuta 23, presentando terzine irregolari, figure minori quali croma puntata e semicroma.
Sempre a battuta 13, sul quarto movimento e in modo irregolare, espresso da una terzina irregolare, si ripresentano i violini e i contrabbassi, con nuovi suoni sempre lunghi e legati, mentre le viole e i violoncelli persisteranno ancora con gli stessi suoni modificati a battuta 8, semibrevi legate e variate dinamicamente.
I flauti, i clarinetti, il controfagotto e i corni termineranno la loro presenza a battuta 20, con variazioni dinamiche, mentre gli oboi e i fagotti a battuta 18 e trombe e tromboni a battuta 19. Dei fiati rimane la tuba, fino a battuta 22.
Dalla 23ᵃ alla 29ᵃ battuta, saranno presenti, nella tessitura orchestrale con una dinamica di ppp, i flauti, i clarinetti e tutti gli archi. Queste sei battute rappresentano un primo punto caratteristico della composizione, in quanto è presente un tratto stilistico del compositore, un continuum ritmico, una poliritmia, una sorte di canone, che, con intervalli che varieranno dalla seconda minore e maggiore a terze maggiori e minori, seste maggiori e minori, settima maggiore e minore, trattate con la tecnica dell’inversione, con soli due suoni, che portano a concepire queste sei battute come un esempio di musica minimalista, sarà espressa una progressione ritmica in riduzione di valori, dalla semibreve, come valore maggiore, ad una successione velocissima di pulsazioni in semibiscrome (ventuno dei primi violini), mentre i flauti e i clarinetti, al contrario, presenteranno una progressione ritmica dei gruppi irregolari (diciannove semibiscrome), dai valori minimi ai valori massimi (semicrome, crome, semiminima). Emergerà, anche in queste sei battute, un’altra caratteristica di Ligeti, ovvero quella di legare tra loro le figure musicali adoperate, nonché un tratto stilistico del compositore Béla Bartók, ovvero la successione di un valore minimo che precede un valore maggiore e puntato. Quasi tutti gli strumenti termineranno sul primo ottavo della battuta 29, ad esclusione di due violoncelli e dei contrabassi, che continueranno a eseguire suoni con valore di semibreve.
Questa sorta di canone ritmico viene presentato dai primi quattordici violini, divisi in quattro gruppi, che suoneranno prima sul ponticello molto vibrato, poi, da battuta 27, sul tasto:
- primo gruppo (4 violini primi), inizia il disegno dai suoni: Re, Do, Si, La (minima, terzina irregolare legata ad una semiminima, due crome legate ad una terzina, quattro semicrome), combinandosi poi nella progressione ritmica (che da una quintina arrivano a produrre ventuno suoni), con gli intervalli: Si-Re, La-Do, Re-Si, Do-La;
- secondo gruppo (4 violini primi), si presenta nei suoni Si bemolle, La bemolle, Si, Fa (minima puntata legata ad una semicroma e croma puntata, legata ad una terzina irregolare a sua volta legata ad una semiminima che sarà legata ad una terzina, quattro semicrome), combinandosi nella progressione ritmica (da quintina a venti suoni) in: Si bemolle-Re, Fa-La bemolle, Re-Si bemolle, La bemolle-Fa;
- terzo gruppo (4 violini primi), si presenta nei suoni Sol, Sol bemolle, Mi, Mi bemolle (minima puntata legata ad una terzina irregolare, legata ad una semicroma, croma puntata legata ad una sincope formata da semicroma, croma e semicroma, quest’ultima figura legata ad una terzina irregolare, terzina legata alla prima di quattro semicrome), combinandosi nella progressione ritmica (da quintina a diciannove suoni) in Sol-Mi, Sol bemolle-Mi bemolle, Mi-Sol, Mi bemolle-Sol bemolle;
- quarto gruppo (2 violini primi), si presenta con i suoni Re e Do diesis (semibreve legata ad una semiminima, un’altra semiminima legata a due crome, l’ultima croma sarà legata ad una terzina irregolare a sua volta legata ad una terzina, quattro semicrome), combinandosi nella progressione ritmica (da quintina, a diciotto suoni) negli intervalli: Re-Do diesis, Do diesis-Re.
Ognuno dei gruppi presenta un disegno ritmico di divisione dei valori sonori diversi, evidente già dalla prima battuta. Si evince che il canone, ottenuto dalla progressione ritmica, è presente, dunque, all’interno delle divisioni dello stesso gruppo, e, in maniera più grande, in relazione a tutti gli strumenti presenti in queste sei battute.
Anche i quattordici violini secondi sono divisi in quattro gruppi che suoneranno prima sul tasto non vibrato, poi, da battuta 27, sul tasto:
- primo gruppo (4 violini secondi), si presenta nei suoni Mi bemolle, Re bemolle, Do, Si bemolle (semibreve legata ad una semiminima puntata, croma legata ad una semiminima a sua volta legata ad una terzina irregolare, legata ad una croma puntata e semicroma, terzina, quattro semicrome), combinandosi nella progressione ritmica (da quintina a diciassette suoni), negli intervalli: Do-La, Si bemolle-Sol, La-Do, Sol-Si bemolle;
- secondo gruppo (4 violini secondi), si presenta con i suoni Si, La, La bemolle, Sol bemolle (semibreve legata ad una minima che sarà legata ad una terzina irregolare, legata a sua volta ad una semiminima, legata ad una semicroma e croma puntata, legata a sua volta a due crome, legate ad una terzina, legata a sua volta a quattro semicrome), combinandosi nella progressione ritmica (da quintina a sedici suoni) negli intervalli: Si-Sol diesis, Fa diesis-Re diesis, Sol diesis-Si, Re diesis-Fa diesis;
- terzo gruppo (4 violini secondi), si presenta con Sol, Fa, Mi, Re (semibreve legata a minima, legata a semiminima puntata e croma, a sua volta legata a semiminima, legata ad una terzina irregolare, legata a due crome a loro volta legate ad una terzina, quattro semicrome), combinandosi nella progressione ritmica (da quintina a quindici suoni) negli intervalli: Fa-Re, Mi-Do diesis, Re-Fa, Do diesis-Mi;
- quarto gruppo (2 violini secondi), si presenta con i suoni Mi bemolle, Re bemolle (due semibrevi legate, terzina irregolare, minima legata ad una croma puntata e semicroma, a sua volta legata ad una terzina, quattro semicrome), combinandosi nella progressione ritmica (da quintina, a quattordici suoni), negli intervalli: Si-Do, Do-Si.
Rispetto ai primi violini, i secondi iniziano la progressione ritmica a battuta 24, ovviamente, come per i primi violini, all’interno della stessa sezione si evince una forma di canone interno, che contribuirà a evidenziare il canone vero e proprio con gli altri strumenti presenti nelle sei battute.
Anche le dieci viole sono divise in gruppi, nello specifico tre, che suoneranno sul tasto non vibrato, poi, da battuta 27, sul tasto:
- primo gruppo (4 viole), si presenta con i suoni La, Sol, Sol diesis, Fa diesis (due semibrevi legate tra loro, a loro volta legate ad una semiminima puntata, croma legata ad una minima, legata ad una semicroma e croma puntata, a sua volta legata ad una terzina, quattro semicrome), combinandosi nella progressione ritmica (da quintina a tredici suoni), negli intervalli: Si bemolle-Sol, La-Fa diesis, Sol-Si bemolle, Fa diesis-La;
- secondo gruppo (4 viole), si presenta con i seguenti suoni: Fa, Mi, Mi bemolle, Re bemolle (due semibrevi legate tra loro e ad una semiminima, terzina irregolare, minima legata ad un semiminima puntata, croma legata ad una terzina, quattro semicrome), combinandosi nella progressione ritmica (da quintina a dodici suoni) negli intervalli: Fa-La bemolle, Re-Mi, La bemolle-Fa, Mi-Re;
- il terzo gruppo (2 viole), si presenta con i suoni Do diesis e Si diesis (due semibrevi legate tra loro e legate ulteriormente ad una minima, terzina irregolare, legata ad una semiminima legata a sua volta ad una minima, legata ad una croma puntata, semicroma legata ad una terzina, quattro semicrome), combinandosi nella progressione ritmica (da quintina a undici suoni) negli intervalli: Re diesis-Do diesis, Do diesis-Re diesis.
Come per le precedenti sezioni, il canone è presente tra le viole e il tutto contribuirà ad amalgamare il canone complessivo. Le viole iniziano la riduzione ritmica a battuta 25.
I dieci violoncelli sono divisi in quattro gruppi che suoneranno sul tasto non vibrato, poi, da battuta 27, sul tasto:
- primo gruppo (4 violoncelli), si presenta con i suoni Re, Do, Si, La (due semibrevi legate tra loro e legate ad una minima, semiminima puntata, croma legata ad una minima, terzina irregolare, legata a due crome a loro volta legate ad una terzina, quattro semicrome), combinandosi nella progressione ritmica (da quintina a dieci suoni) negli intervalli: Do-La, Sol-Si bemolle, La-Do, Si bemolle-Sol;
- il secondo gruppo (3 violoncelli), si presenterà con i suoni Si bemolle, La bemolle, Sol (tre semibrevi legate tra loro, terzina irregolare legata ad una minima puntata, a sua volta legata ad una semicroma e croma puntata, legata ad una terzina a sua volta legata alla prima di quattro semicrome), combinandosi nella progressione ritmica (da quintina a nove suoni) negli intervalli: Si-Sol diesis, Sol bemolle-Fa, Sol diesis-Si;
- il terzo gruppo, formato da un solo violoncello, si presenta con il suono Fa (tre pause di semibrevi, terzina irregolare con il primo ottavo di pausa, legata ad una minima puntata, a sua volta legata ad una semicroma e croma puntata, legata ad una terzina a sua volta legata alla prima di quattro semicrome), combinandosi nella progressione ritmica (da quintina a nove suoni) nell’intervello: Fa-Sol bemolle;
- il quarto gruppo (2 violoncelli), si presenta con bicordi Do-Si, Sol diesis-Re diesis.
Nella sezione dei violoncelli, il canone ritmico è presente nei primi otto violoncelli, gli ultimi due, come i contrabassi, proseguiranno da battuta 26 a battuta 29, con suoni lunghi, che hanno inizio sul quarto movimento di battuta 25. I primi quattro violoncelli inizieranno la progressione ritmica a battuta 25, il secondo e il terzo gruppo a battuta 26, ma con disegno ritmico diverso (il violoncello ottavo, a differenza dei sei precedenti violoncelli, entra a battuta 26 a distanza di un ottavo rispetto al secondo gruppo di violoncelli).
Gli otto contrabassi si presenteranno con i seguenti suoni: Sol, Fa diesis, Re, Mi, Do diesis, Sol diesis, Mi bemolle, Si.
A battuta 25, sull’ultimo movimento, si presenteranno i fiati, nello specifico quattro flauti e quattro clarinetti. I flauti presenteranno i seguenti suoni: Sol-Mi, Fa-Re bemolle, Mi bemolle-Sol bemolle, Do-Re, mentre i clarinetti: Mi-Sol, Re bemolle-Fa, Sol bemolle-Mi bemolle, Re-Do.
L’immagine iniziale, che accompagna questo scritto, è la rappresentazione in “evento sonoro” della composizione presentata, riportando solo, come esempio, i quattordici primi violini, i quattordici secondi violini, le dieci viole, e, sei tra i dieci violoncelli, dall’ultimo quarto di battuta 24, fino all’ultimo quarto della battuta 28.

Emanuela Cangemi

Note
[1] Guido Facchin, Le percussioni. Storia e tecnica esecutiva nella musica classica, contemporanea, etnica e d’avanguardia, Varese, Zecchini editore, 2014, p. 1.101.
[2] Ibidem.
[3] Ibidem.

Bibliografia
L’universale. La grande enciclopedia tematica, Milano, Garzanti, 2006.
Luigi Anolli, Paolo Legrenzi, Psicologia generale, Bologna, il Mulino, 2012.
Mario Carrozzo, Cristina Cimagalli, Storia della musica Occidentale, Roma, Armando editore, 2008, voll. I, II, III.
Macdonald Critchley, Ronald Alfred Henson, La musica e il cervello. Studi sulla neurologia della musica, Padova, Piccin Nuova Libraria, 1987.
Guido Facchin, Le percussioni, Torino, Edt, 1989.

(www.bottegascriptamanent.it, anno X, n. 108, agosto 2016)

Collaboratori di redazione:
Maria Costanzo, Teresa Elia, Ilenia Marrapodi, Martina Oliva, Gilda Pucci, Gabriella Zullo
Progetto grafico a cura di: Fulvio Mazza ed Emanuela Catania. Realizzazione: FN2000 Soft per conto di DAMA IT