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Anno II, n° 7 - Marzo 2008
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Editoria varia (a cura di Anna Guglielmi) . Anno II, n° 7 - Marzo 2008

Zoom immagine Un saggio dettagliato e molto curioso sull’India
di Alessandro Tacconi
Uno studio ricco di spunti e multiforme, pubblicato da Neri Pozza,
racconta il popolo asiatico: un viaggio verso un inafferrabile sogno


Non saremmo comunque pronti per l’India, neppure dopo cento volumi come questo. Neppure dopo aver ascoltato cento cd dei più noti e celebri musicisti indiani. Neppure allora saremmo pronti per l’India. Allora perché leggere Gli indiani. Ritratto di un popolo (pp. 256, € 16,00), edito da Neri Pozza, di Sudhir e Katharina Kakar, che tanti sforzi hanno fatto per farci comprendere un po’ di più questa loro terra?

Perché noi occidentali siamo figli di quella fede che ripone l’intera conoscenza nella parola scritta. Da bravi “omini scolarizzati” riteniamo che la parola così scura, nera e minuta sostituisca validamente quella detta, viva. Perché pensiamo che quest’ultima ci costringerebbe altrimenti al silenzioso dilettuoso ascolto di un altro idioma multiforme.

Eppure noi occidentali in partenza per le terre estreme sognate, abbozzate in film in costume e foggia neocoloniale, abbiamo bisogno, necessitiamo per essenza, fin da questa nostra “italica peninsulina” di uno sguardo da fare nostro. Un occhio che ci aiuti a varcare innanzitutto il nostro “qui-ora-adesso sensoriale”.

La lettura gustosissima di questo saggio divulgativo si apre con dovizia di particolari, di ricche descrizioni innanzitutto di cosa significhi essere indiani. Con un certo delizioso, timoroso languore sediamo e ascoltiamo da due studiosi (non anziani!) le storie raccolte per un pubblico occidentale.

 

Contro un metodo rassicurante per prepararsi al viaggio

Noi occidentali, sempre così bisognosi di coordinate precise. E nel contempo arroganti, saccenti, e così saputi. Incapaci di vivere se non sotto l’attenta guida di un indicatore, meglio se in grado di abbracciare distanze siderali, così da farci sentire a nostro agio anche lontani da casa. Servirà pur a qualcosa la tanto vituperata globalizzazione!

Queste non sono parole contro l’utilissimo e interessantissimo studio divulgativo, anzi lo studio dei Kakar è lettura da consigliare a quanti intendono partirsene per l’India. In ogni guida turistica si dovrebbe menzionare questo volume proprio per la sua profonda e amplissima utilità.

Ciò che si sta, invece, sottolineando è la propensione dell’“uomo bianchiccio”, curioso per natura, a fare del libro il primo momento di conoscenza dell’altro da sé. S’apre l’antica disquisizione sul senso del sé nella stamberga kantiana del “qui e ora”: se conosco me in base a queste coordinate spazio-temporali, allora sono in grado di conoscere pure l’altro? La distanza che mi separa da me e dall’altro è tale da poter essere superata? E se sì, in quale maniera? Basta un viaggio agli antipodi per renderci dei civili essere umani?

È una questione di metodo, di approccio al viaggio intanto che si sta chiudendo la valigia e ci si è accertati che sul passaporto siano presenti tutti i timbri necessari per accedere al paese straniero. E pure tutte queste disquisizioni serviranno ad avvicinare con minori pregiudizi le genti indiane? E noi che scriviamo affermiamo ciò perché siamo in partenza per l’India! E abbiamo avuto bisogno di libri e visionare film e ascoltare musica e…

È necessario, pensiamo, tutto questo per arrivare “preparati”, per non farsi sorprendere, per non essere presi alla sprovvista, per poter dibattere per gusto di conoscenza, ahinoi, troppo spesso soprattutto intellettuale, più che umana sul senso di una civiltà lontana, indifferente, autonoma.

 

Nel vivo dello spirito e della carne indiana

Sudhir Kakar, uno dei più noti scrittori indiani, vive a Delhi. Docente presso prestigiose università in India, Europa e Stati Uniti, è autore di molti saggi. Katharina Poggendorf Kakar ha studiato Scienza delle religioni, Arte e Antropologia alla Freie Universität di Berlino e alla Harvard University.

Sudhir e Katharina Kakar prendono le mosse dall’indianità, l’identità indiana, quella che permea le attività e gli interessi quotidiani. I due ci mostrano da vicino la giornata tipo di un cittadino, il senso che governa la sua esistenza, la serie di credenze, il molteplice che tenta di racchiudere nei suoi gesti. Perché l’identità di un uomo è ciò che gli permette di riconoscersi e di essere riconosciuto dai componenti del suo mondo.

La cultura indù è quella che influisce da più tempo sulla popolazione di questo enorme paese, anche se con il passare del tempo sono subentrati in India altri movimenti religiosi e culturali, affondando nel ricco sottosuolo.

Il «grande quadro» che viene ritratto in questo gustoso volume è quello di un paese capace di assorbire senza troppi pregiudizi quanto viene dall’esterno, senza curarsi eccessivamente se qualcosa viene perduto durante la “traduzione”.

I punti cruciali di questo saggio prendono quindi le mosse dalla condizione gerarchicamente strutturata a livello familiare, sociale e nazionale dell’individuo. In seguito si passa ad analizzare il senso della casta rispetto al concetto di pulizia e alla sua attuale condizione all’inizio del XXI secolo.

Una parte rilevante del testo viene tributata alla donna: il suo ruolo nella famiglia a seconda delle fasi della propria maturazione fino al matrimonio e l’ingresso in una nuova famiglia. E poi, come la cultura individuale influisca sull’emancipazione delle donne in seno alla società.

Un’altra tappa del saggio riguarda la sessualità dalle origini ai giorni nostri, e come essa agisce anche sulla salute fisica. Quest’ultimo argomento viene trattato diffusamente rispetto alle antiche dottrine mediche ayurvediche.

Dal momento che il volume prende le mosse dalla concezione del macrocosmo culturale indù, un capitolo viene dedicato alle varie declinazioni possibili dell’essere, appunto, un indù, e come costui interagisca con l’altro grande movimento religioso nazionale: l’islamismo.

Il libro si chiude analizzando il rapporto tra visione interiore e macrocosmo, mostrando come la componente maschile e quella femminile siano profondamente connesse a livello individuale e sociale.     

L’India, per fortuna nostra, è anche molto di più. È inafferrabile. È un cuore di sangue e latte dolcissimo. Altrimenti che sogno sarebbe per noi occidentali?

 

Alessandro Tacconi

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno II, n 7, marzo 2008)

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