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Anno II, n° 7 - Marzo 2008
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Politica ed Economia (a cura di Maria Franzè) . Anno II, n° 7 - Marzo 2008

Zoom immagine Quando la pubblicità si camuffa da giornalismo
di Alessandro Crupi
Una nota di Franco Abruzzo offre lo spunto per ribadire la separazione
necessaria tra due modi diversi di informare che spesso si mescolano


Gli organi di informazione li fanno convivere ma è fondamentale che rimangano distinti. Ci riferiamo al ruolo che giornalismo e pubblicità svolgono nelle dinamiche mediatiche e, di conseguenza, nella società. Due settori che si occupano di centrare target differenti e che, per tale ragione, devono rimanere separati e indipendenti l’uno dall’altro. Scontato? In linea teorica la risposta è affermativa ma il riscontro nella pratica è spesso fallace. Sono diversi, infatti, i casi in cui il giornalista o il direttore di una testata avallano e realizzano articoli “vestiti” di giornalismo ma che, ad un’attenta valutazione di contenuto e forma, nascondono messaggi pubblicitari, neppure tanto indiretti. Partendo da questa realtà in pericolosa evoluzione, Franco Abruzzo, già storico presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia ed attuale consigliere in seno allo stesso, di recente ha diffuso un ponderoso e articolato saggio in cui, dando seguito alla battaglia intrapresa sulla deontologia professionale del giornalista, inquadra il tema sotto un profilo prettamente tecnico-giuridico. «La pubblicità deve essere chiara, palese, esplicita e riconoscibile…. il lavoro giornalistico deve  rimanere inconfondibile», «La pubblicità ingannevole è slealtà del giornalista», e ancora «Il direttore quantomeno deve rendere pubblico il proprio dissenso all'ufficio marketing» (“Il diritto dell’informazione e dell’informatica” n. 4/2007 – Franco Abruzzo, La commistione informazione/pubblicità nella giurisprudenza ordinaria e disciplinare). Nel saggio lo stesso Abruzzo si sofferma anche su quanto disposto dalla giustizia italiana in tema di diritti e doveri del giornalista in cui si ribadisce la «natura giuridica» delle regole deontologiche emanate dagli Ordini professionali.

 

Denominatore comune: informazione; denominatore non comune: obiettivi

Fin qui tutte facce di una stessa medaglia, risvolti e sfumature di un unico problema che emerge sempre più nel giornalismo moderno, spesso intorpidito da elementi che non hanno nulla a che vedere con la professione. È il caso, prima citato, della relazione “impossibile” tra la promozione pubblicitaria dei prodotti e l’informazione giornalistica in sé. Due mondi che, in base ai diversi obiettivi da assolvere, dovrebbero rimanere separati pur avendo il compito, in entrambi i casi, di realizzare una funzione informativa. E, invece, sono diversi i casi in cui il giornalista si sia messo a fare pubblicità di un prodotto in un articolo di giornale in modo più o meno velato travalicando le mansioni e i dettami che la deontologia, la correttezza e il buon senso di chi svolge questo lavoro richiederebbero. Stesso discorso vale per i direttori di testate che, dietro il paravento dell’articolo giornalistico, divulgano un messaggio pubblicitario (la cosiddetta “pubblicità ingannevole”). Le censure sono condivise non solo dall’opinione pubblica ma anche da illustri giornalisti come lo stesso Abruzzo. Non è un caso, infatti, che molti di loro abbiano speso e spendano parole e pagine sull’argomento, fra cui anche il direttore di Bottega editoriale Fulvio Mazza il quale, da tempo, ha già messo in luce l’importanza di questi e altri concetti sulla stessa materia (iGiornalisti italiani, "vil razza dannata"! Contro gli abusi che si nascondono dietro ad un falso «diritto di cronaca», Fulvio Mazza, www.scriptamanent.net, anno II, n. 16, novembre 2004).

L’occasione di toccare con mano l’entità concreta della problematica in oggetto, inoltre, ci è stata offerta durante una lezione del corso per “Redattore di casa editrice” organizzato dalla stessa Bottega editoriale. In questa circostanza, infatti, il direttore Fulvio Mazza ha portato alla ribalta l’insidioso intreccio pubblicità-giornalismo tramite la visualizzazione di pagine di giornali e riviste contrassegnate da articoli che, a prima vista, sembravano possedere effettivamente i tipici crismi del pezzo giornalistico ma che, ad un’attenta lettura, altro non erano che notizie a carattere pubblicitario, neppure tanto nascoste.

Il modo in cui realizzare un messaggio promozionale camuffato da articolo può essere diverso ma il risultato finale non è corretto poiché, in ogni caso, si rischia di mettere a repentaglio l’integrità di quello che da sempre caratterizza quest’attività, e cioè l’informazione libera e obiettiva. Si realizza, così, una grave distorsione sottoforma di pericolosa commistione tra due realtà che hanno ben poco da spartire. Gli esempi in tal senso sono numerosi come quelli che hanno visto protagonisti, in passato, il direttore e una giornalista di Oggi che nel 1995 hanno reclamizzato indirettamente i dentifrici Mentadent (“Il diritto dell’informazione e dell’informatica” n. 4/2007, F. Abruzzo, La commistione…, cit., pp. 8, 9, 10, 11, 12, 13 , 14, 15, 16).

Un altro caso, di diverso tipo, ma che riguarda sempre questa pericolosa mescolanza ha interessato il settimanale Grazia il quale, nell’ottobre 2005, ha dedicato un intero numero a Giorgio Armani presentando lo stesso stilista come «giornalista e condirettore della rivista» (“Commistione pubblicità-informazione Speciale Armani su Grazia: Carla Vanni sospesa per due mesi”, www.francoabruzzo.it). In questo caso non si tratta solo di pubblicità ingannevole ma anche dell’attribuzione ad una persona (Giorgio Armani) di un titolo, quello appunto di giornalista, di cui egli non è in possesso. Per tali ragioni, la direttrice della testata, all’epoca dell’accaduto Carla Vanni, è stata recentemente sanzionata dall’Ordine dei giornalisti del Piemonte con due mesi di sospensione dalla professione. Come recita una nota ANSA del 19 febbraio 2008, l’Ordine ha considerato quanto successo come «”gioco”, “finzione giornalistica”, “scoop” che ha di fatto aggravato il margine già stretto che distingue informazione e pubblicità» (anche in www.francoabruzzo.it). Nella stessa nota si legge che lo stesso presidente dell’Ordine del Piemonte Miravalle ha affermato che «È sempre più evidente il rischio di commistione tra giornalismo e pubblicità. Proprio per questo è necessario tenere distinti l'informazione dal messaggio pubblicitario». Senza contare che legittimare «l'ingerenza di "estranei" al lavoro giornalistico, può inoltre diventare un precedente per altre testate, anche al di fuori del settore moda».

La giustizia nazionale, come già accennato, si è espressa in maniera molto chiara su vicende di questo tipo offrendo ampi margini di discussione ed intervento nei confronti di una realtà che assume un’importanza vitale per l’esistenza stessa della professione giornalistica che, a ragion veduta, si sente minacciata nella sua essenza più profonda. Le sentenze degli organi giudiziari, a tal proposito, sono tutte improntate a garantire la differenziazione tra l’articolo a contenuto pubblicitario e quello prettamente giornalistico avanzando anche la configurazione di illecito disciplinare per il direttore responsabile del periodico che consenta la pubblicazione di pezzi del primo tipo non chiaramente identificabili come tali e, magari, sotto l’ombrello dell’articolo di giornale (in “Il lavoro giornalistico nella giurisprudenza”, Parte nona – Lavoro giornalistico e inquinamento pubblicitario dell’informazione – Ricerca di Franco Abruzzo, Milano 29 ottobre 2007, p. 76). Così come secondo la Corte di Cassazione, possono essere giustificabili le dimissioni del giornalista che inserisca articoli a carattere promozionale contro la volontà del condirettore con il pagamento, anche, dell’indennità sostitutiva di preavviso nei confronti di quest’ultimo (“Il lavoro giornalistico nella giurisprudenza”, Parte nona – Lavoro giornalistico… – Ricerca di F. Abruzzo, Milano 29 ottobre 2007, cit., pp. 76-77). Un principio riportato alla ribalta dal caso del codirettore della rivista “Top Video”, entrato in conflitto con l’ufficio pubblicità della relativa casa editrice per essersi opposto alla pubblicazione di articoli commissionati alla stessa rivista da ditte produttrici di varie apparecchiature. Un’altra nota esemplificativa di una questione che interessa non solo l’azione del giornalista in sé nella fase di stesura dell’articolo ma anche l’invadenza dell’intero settore pubblicitario sulla carta stampata e, in generale, negli organi di informazione. Aspetto molto delicato, questo, che va affrontato con equilibrio d’indagine e di giudizio e che rientra, inoltre, nella tendenza degenerativa del giornalismo di oggi, proiettato troppo spesso (ma questo è un altro problema) a fare spettacolo e coreografia a colpi di scoop motivati solo da esigenze di vendita piuttosto che dal bisogno di produrre un’informazione lucida, seria ed oculata. Il nodo della problematica qui esposta sta tutto nella definizione dei due settori a cui facciamo riferimento, il marketing e il giornalismo. Premettiamo subito che entrambi i campi appartengono alla grande famiglia dell’informazione. La pubblicità è informazione tanto quanto quella fatta dal giornalista ma, ed è qui il punto cruciale, si tratta di due espressioni diverse del medesimo ambito. L’informazione pubblicitaria, infatti, rispecchia un’esigenza necessariamente di parte che deve promuovere il prodotto di un’azienda e che, quindi, ha il compito di non essere, per definizione e natura, obiettiva. È un tipo di informazione anch’essa importante perché altrimenti il cittadino non può venire a conoscenza della vasta gamma di beni disponibili sul mercato che gli sono necessari nel vivere quotidiano. Tutto ciò per ribadire il concetto dell’indubbia valenza di questo settore, senza contare inoltre che la testata giornalistica si alimenta economicamente e può “funzionare” anche con il contributo degli inserzionisti.

Ci troviamo di fronte, infatti, ad un tipo di informazione che, rispetto a quella sopra esposta, ha un elemento di differenziazione fondamentale: la libertà da ogni tipo di condizionamento, anche commerciale. Ciò consiste essenzialmente nell’esposizione di eventi o fatti così come essi accadono, in maniera chiara, obiettiva e neutrale, senza alcuna subordinazione a qualsiasi genere di pressione proveniente dal mondo esterno. A questo si aggiunge l’approfondimento sulla singola notizia che, assieme al puro e semplice racconto del fatto accaduto, consente al lettore-cittadino di conoscere dettagliatamente quello che gli accade attorno in ogni angolo del mondo e di elaborare un’idea individuale e cosciente di ogni aspetto della realtà. È un’informazione che si prefigge un obiettivo di enorme rilevanza sociale: far sentire ogni persona che vive in questo mondo parte integrante e attiva di esso consegnandogli strumenti e mezzi per formare una propria coscienza critica e incidere sulla società. L’interlocutore preposto alla mediazione tra i fatti e le persone è il giornalista il quale, dovendo svolgere questo ruolo rispettando le linee direttive dell’informazione giornalistica, non può divenire l’agente promozionale di una ditta essendo, questo, un ruolo nettamente incompatibile con i compiti e gli scopi etici del tipo di informazione che la sua professione deve divulgare. Egli, infatti, si pone «come mediatore intellettuale tra il fatto e la diffusione della conoscenza di esso…» (Cass. Civ., sez. lav., 20  febbraio 1995, n. 1827, in “Il lavoro giornalistico nella giurisprudenza”, Parte prima – I giornalismi e il concetto di attività giornalistica – Ricerca di Franco Abruzzo, Milano 29 ottobre 2007, p. 3).

 

Il giornalista deve fare solo il giornalista

Due modi di informare, quindi, entrambi importanti, entrambi necessari e utili alla crescita della società ma divisi per finalità e modi di essere. Una separazione necessaria che implica reciproco rispetto dei rispettivi ambiti di competenza e, soprattutto, osservanza degli spazi assegnati senza invasioni di campo in quanto c’è posto per tutti, se ognuno svolge il proprio compito senza interferire sul lavoro altrui. Custodi dei diversi obiettivi che queste due modalità di informazione propongono sono i giornalisti e gli editori, da una parte, e le aziende, dall’altra, precisando che il rapporto tra gli stessi inserzionisti e l'organo di stampa in questione riguarda solo l'editore (o il direttore editoriale) e non ha nulla a che vedere con il tipo d'informazione espressa dal giornalista. Egli, infatti, concetto da ribadire con forza, deve essere assolutamente indipendente e non dovrebbe essere legato alle esigenze di mercato di questa o quella marca ma solo ed esclusivamente all’informazione basata sui fatti concreti che arricchiscono la società ogni giorno. Non c’è niente di meglio dell’equilibrio delle azioni e del rispetto dei ruoli per dirimere le problematiche che nascono tra gli esseri umani. È sempre una regola valida per ogni tipo di situazione. E, del resto, basta osservare le regole deontologiche riferite agli obblighi del giornalista nello svolgimento del proprio lavoro riaffermate a più riprese in diversi documenti programmatici per risolvere la problematica in oggetto (Riferimenti in Giornalisti italiani, "vil razza dannata"! Contro…, cit., Fulvio Mazza, www.scriptamanent.net, anno II, n. 16, novembre 2004). In questo contesto, poi, è da evitare l’equivoco su aspetti che potrebbero generare confusione tra le due sfere di competenza. Ci si riferisce nella fattispecie al caso in cui il giornalista, per esclusivo bene della collettività, mette in risalto la caratteristica o il vizio di un prodotto che può causare danni più o meno gravi alla salute e alla sicurezza pubblica con tanto di citazione della marca di provenienza dello stesso. Sottolineare ciò è cosa ben diversa dal parlare bene o male gratuitamente o dietro spinte esterne del medesimo prodotto svolgendo, quindi, una funzione pubblicitaria. Anche in questo caso, infatti, si tratta sempre di informazione giornalistica in quanto il mettere in guardia l’opinione pubblica, tramite un articolo, da un pericolo (qualunque esso sia e al di là della fonte di provenienza) rientra appieno nei doveri di chi svolge questa professione. 

 

Alessandro Crupi

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno II, n. 7, marzo 2008)
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