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A. IX, n. 97, settembre 2015
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Riflessi d'autore (a cura di Aurora Logullo) . A. IX, n. 97, settembre 2015

Zoom immagine Un nuovo studio
sui poemi omerici:
l’Antica Grecia
era in Nord Europa?

di Selene Miriam Corapi
Da Palombi editori, la contestata tesi
di un saggista sulle radici dell’epopea
che vide scontrarsi Achei e Troiani


La civiltà greca tra V e VI secolo a.C. fu un’icona da imitare e a cui ispirarsi per le molte civiltà che si susseguirono nel tempo (i Romani, per esempio, la presero a modello con l’imitatio e l’emulatio), gettando di fatto le basi della civiltà occidentale.
I Greci produssero una vera e propria rivoluzione in diversi ambiti, diedero i natali alla filosofia del pensiero volta ad indagare il naturale e le profondità dell’animo umano; “inventarono” la democrazia, creando un rapporto intenso e diretto tra i cittadini e il potere politico, ciò che in seguito i Romani avrebbero definito res publica; innovarono anche la letteratura, il teatro, l’arte, l’architettura, tant’è che la loro vivacità intellettuale è ancora oggi simbolo di grandezza.
La civiltà greca, prima di diventare il fulcro d’irradiazione culturale e sofia (“sapienza”), ha attraversato un periodo oscuro, il cosiddetto “Medioevo ellenico”, una fase di regressione economica, politica e culturale (si giunse addirittura a perdere l’uso della scrittura).
Storicamente si può parlare di civiltà greca solo con la fine della civiltà micenea, intorno al IX-VIII secolo a.C., col verificarsi di una graduale e lenta ripresa, che sarebbe culminata in una vera e propria rinascita raggiungendo l’apogeo nel V secolo, la cosiddetta “Età classica”.
La tradizione e i miti arcaici che riguardano la civiltà dal suo primo sorgere, attraverso il periodo di regresso culturale, sono custoditi nei due poemi omerici (o pseudomerici, dato che alcuni studiosi nel tempo hanno dubitato dell’autenticità delle due opere, dando origine alla “questione omerica”), l’Iliade e l’Odissea.
Secondo una definizione del filologo Eric Havelock, le due opere sarebbero una specie di “enciclopedia tribale”, perché in esse confluiscono elementi di epoche diverse, coesistono sostrati linguistici, culturali, religiosi e tradizionali antichi e più recenti; raccolgono il sapere universale dei Greci.
Attraverso questi elementi diversificati tra loro gli studiosi hanno cercato di risalire alla conformazione geografica della Grecia descritta nei due poemi. Ed è proprio da qui che partì la ricerca, nel XIX secolo, del noto archeologo Heinrich Schliemann, il quale portò alla luce la mitica città di Troia e il tesoro di Priamo.
Tuttavia, ancora molti sono gli interrogativi e le contraddizioni che mettono in dubbio la morfologia geografica di questa terra. Felice Vinci, nel suo saggio Omero nel Baltico. Le origini nordiche dell’Odissea e dell’Iliade (Palombi editori, pp. 704, € 25,00), tenta di sradicare e ribaltare le concezioni moderne proponendo una nuova teoria: l’origine nordica dei due poemi.

Scoprire la Grecia antica attraverso i poemi omerici
L’autore afferma che «i testi omerici descrivono luoghi di cui gli studiosi non hanno trovato corrispettivi in Grecia». Concordando con quanto affermato dallo storico greco Strabone (I secolo d.C.), il quale nella sua opera Geografia afferma che la città cantata da Omero non poteva trovarsi nel Mediterraneo, e dal coevo Plutarco, che nella sua opera De facie quae in orbe lunae apparet colloca la mitica isola di Ogigia a cinque giorni di navigazione dalla Britannia, verso occidente, Vinci pensa di collocare le gesta omeriche nel Nord dell’Europa.
Le incongruenze e le incompatibilità geografiche, così come quelle relative ad alcuni elementi descritti nei poemi, lo avrebbero infatti convinto ad indagare, portandolo alla conclusione che gli Achei siano vissuti sulle coste del Baltico agli inizi del II millennio e, in seguito all’irrigidimento del clima (periodo individuato dalla Paleoclimatologia), si siano spinti verso sud, attraverso il fiume Dnepr fino al Mar Nero e all’Egeo, dove avrebbero dato vita alla civiltà micenea. A conferma di questa ipotesi vi sarebbero i ritrovamenti di ambra baltica nelle tombe micenee più antiche, assente in quelle recenti.
Tali popoli, stanziatisi in questi luoghi nuovi, avrebbero dato ad essi le medesime denominazioni dei territori abbandonati, creando non poco scompiglio tra gli studiosi, che non ritrovarono più corrispondenza toponomastica tra i luoghi originari e quelli di recente fondazione.
I poemi omerici narrano eventi mitici prima della grande migrazione verso sud, avvenuta intorno all’anno 1000 a.C., che aprì quel periodo di profonda crisi conosciuto come il “Medioevo ellenico”. Tali racconti e tradizioni sarebbero stati poi traslati nelle nuove comunità. La guerra di Troia si sarebbe così svolta non intorno al XIII secolo a.C., ma nel XVIII secolo e, dopo novecento anni di trasmissione orale, i testi sarebbero stati trascritti intorno all’VIII secolo a.C.
Una conferma della teoria espressa deriva dalla probabile origine dei Micenei, considerati non un popolo autoctono, ma emigrato in Grecia nel XVI secolo. Questa, almeno, è l’ipotesi dello studioso indiano Bal Gangadhar Tilak, vissuto a cavallo tra il XIX e il XX secolo, il quale basa la sua teoria sullo studio dei Veda (testi sacri scritti in sanscrito dei popoli arii che invasero l’India settentrionale intorno al XX secolo a.C.), secondo cui le popolazioni indoeuropee sarebbero vissute nell’estremo Nord dell’Europa e dell’Asia.
Le incongruenze geografiche che emergono dal confronto tra le descrizioni di Omero e le terre del Mediterraneo, già segnalate da Strabone, avvalorerebbero la convinzione di Vinci che vuole nel Nord Europa le origini degli eventi e dei personaggi mitici dei due poemi. Le simili denominazioni mediterranee si potrebbero spiegare con il desiderio, da parte dei migranti, di ricreare il medesimo ambiente che avevano abbandonato, rendendo difficile la localizzazione per gli studiosi moderni. Accogliendo questa tesi si chiarirebbe come la civiltà micenea che emerge dalle tavolette giunte fino a noi, posteriori rispetto al loro arrivo sul suolo greco, sia stata in realtà più progredita rispetto a quella descritta da Omero.
L’autore, inoltre, riporta la testimonianza di un autore danese del XII secolo, Saxo Grammaticus, che, nella sua Historia Danorum, fa continuamente riferimento a scontri tra Danesi ed abitanti dell’Ellesponto. Ci si è sempre chiesti come i Danesi abbiano potuto combattere, un millennio prima e ancora privi dei progrediti mezzi tecnologici, contro le popolazioni dell’Ellesponto mediterraneo; Vinci, come ulteriore prova di conferma per la sua teoria, ritiene che i Danesi fossero i Danai e che gli Ellespontini (i Troiani) fossero originariamente popoli del Nord.
Anche il clima così come le usanze, mitologiche e letterarie, descritte nei poemi omerici si adatterebbero perfettamente alle regioni baltiche.

L’importanza della conoscenza
Le ipotesi enunciate dallo studioso, però, hanno raccolto diverse critiche che smantellano la sua teoria, soprattutto per motivi linguistici e fonetici non supportati da una dimostrazione filologica.
Come afferma l’archeologo e filologo Louis Godart, nella sua opera L’invenzione della scrittura (Einaudi, 1992): «Omero era un greco della Ionia che probabilmente conosceva molto male l’Egeo e non lo aveva mai percorso. Raccontava una storia vecchia di oltre cinquecento anni sulla base di testimonianze orali che egli stesso aveva raccolto e poi rielaborato secondo il suo genio. I fatti di cui parlava appartenevano ormai al mondo delle favole, dove la realtà si confonde con la leggenda. Lo scopo di Omero era di comporre una grande opera e di interessare il suo uditorio, non certo quello di istruire i suoi ascoltatori o di informarli su una civiltà che avevano dimenticato e che assomigliava ben poco alla loro. Per questi motivi i re e gli uomini dell’Iliade e dell’Odissea si muovono in un mondo che appartiene alla Grecia del I millennio a.C. e che, economicamente, politicamente e socialmente, non ha più nulla a che fare con l’universo palaziale inghiottito dal cataclisma del 1200. Gli eroi di Omero sono i discendenti dei greci micenei come gli abitanti della Firenze d’oggi sono i discendenti dei toscani del Quattrocento. Là si ferma il paragone. È sufficiente per parlare di continuità di razza e di lingua, ma anche per mostrare l’abisso che separa l’uno dall’altro questi due mondi».
Molti studiosi, prima di Vinci, hanno provato a ricercare i luoghi e le origini delle vicende descritte nei due poemi, questo perché «l’opera di Omero, dai contenuti così universali, sia nello spazio che nel tempo, è assolutamente fondante per la nostra società e civiltà»; questo saggio potrebbe essere interpretato come un nuovo stimolo per i Beni culturali e le istituzioni, per effettuare scavi archeologici approfonditi e ulteriori ricerche per conoscere quella che è stata la storia narrata da Omero.
Conoscere il passato, e propriamente la storia, è come conoscere le nostre origini, ed è fondamentale perché «gettare luce sul passato consente di orientarsi per il futuro, e proprio in questo sta l’importanza della storia, la quale, sul piano collettivo, corrisponde esattamente alla memoria in quello individuale: l’identità di ciascuno, ossia la base per progettare il proprio domani, si costruisce essenzialmente sulla conoscenza di ciò che è avvenuto».

Selene Miriam Corapi

(www.bottegascriptamanent.it, anno IX, n. 97, settembre 2015)

Redazione:
Ilenia Marrapodi, Letizia Rossi
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Curatori di rubrica:
Denise Amato, Selene Miriam Corapi, Mariacristiana Guglielmelli, Aurora Logullo, Rosina Madotta, Manuela Mancuso, Ilenia Marrapodi, Elisa Pirozzi, Francesca Rinaldi, Letizia Rossi
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