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A. IX, n. 97, settembre 2015
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Problemi e riflessioni (a cura di Mariacristiana Guglielmelli) . A. IX, n. 97, settembre 2015

Con le percussioni
è proprio tutta
un’altra musica!

di Emanuela Cangemi
Una classe strumentale
antica che fu riconosciuta
ufficialmente solo nel ’900


Nel contesto storico-musicale del Novecento le percussioni hanno assunto una notevole possibilità espressiva, sia quale strumenti musicali, sia quale sonorità e parte integrante della composizione. Nel Novecento, infatti, le percussioni divengono “classe strumentale”, il “percussionista” si fa “musicista”, la “percussione” diventa “suono” e parte essenziale del processo compositivo, segnando così il loro ingresso nella musica cosiddetta “colta” dove non verranno considerate più alla stregua della loro secolare dimensione ritmica, ma riconosciute nella loro entità e dimensione “sonora”, atta a perfezionare il complesso rapporto tra ritmo, melodia e armonia.
Una rivalutazione generale ha portato la storia musicale del Novecento a introdurre lo studio delle percussioni nell’ambito della musica “colta”, fino all’ingresso delle stesse nei programmi di studio ministeriali all’interno dei conservatori di musica e dando seguito a molteplici studi, ancora in corso di definizione, come quelli condotti dal maestro ricercatore Guido Facchin, o dal maestro Loris Francesco Lenti.
Un campo musicale dalle molte prospettive e dal grande potenziale, in merito al quale, non a caso, l’illustre musicista, teorico musicale e scrittore John Cage, riconoscendone il portato sonoro, afferma: «La percussione è tutta apertura. Non solo è illimitata. È infinita. Lo spirito percussivo apre ogni cosa, anche quello che prima, come si dice, era ermeticamente chiuso» [1].
Per le esigenze varie che nel Novecento hanno spinto i compositori a rinnovare la musica, in questo contesto gli strumenti a percussione vengono presi in considerazione per le capacità timbriche, varietà di “colori”, profondità di suono, elaborazione di drum set concepito come unità. Sembra ridicolo come tali strumenti, da sempre esistiti, siano stati “gratificati” solo nel Novecento, o forse sarebbe più corretto dire che in questo secolo si è capito che esistono infiniti strumenti a percussione capaci di produrre suono e di arricchire, amplificare, sostenere il suono di altri strumenti e voci.

«Anche se in passato lo strumento a percussione ha avuto un ruolo modesto e secondario, ora, come si è detto, ricopre una parte importante e di rilievo, sia nelle orchestre che nei gruppi strumentali, in modo speciale nella musica contemporanea, per i vari studi e approfondimenti sulle sonorità ed effetti sonori che i compositori desiderano avere nella loro tavolozza compositiva. Una realtà dovuta soprattutto grazie all’evoluzione della musica che, dal XX secolo a quella d’avanguardia, ha spaziato nelle combinazioni ritmo/timbro, suono/effetti, oltre che per la particolare attenzione rivolta alle timbriche sonore e alle tecniche degli strumenti extraeuropei di tutto il mondo» [2].

L’ingresso di altre culture musicali, quali per esempio quella asiatica e africana, hanno incrementato sia lo strumentario presente nella nostra pratica musicale, sia le tecniche di esecuzione.

«Strumenti che si evolvono in continuazione con modalità di costruzione che variano da un paese all’altro evidenziando, spesso, negli ultimi decenni, molte differenze e divergenze, con conseguenti disagi e incertezze nella prassi esecutiva. Anche per quanto riguarda alcuni strumenti, il significato originario ha assunto, con l’andare del tempo, denominazioni e funzioni diverse, sia perché i compositori hanno inventato nomi peculiari, sia perché a taluni strumenti sono state date designazioni non sempre corrette» [3].

Una delle caratteristiche dei compositori del Novecento, l’attingere dal repertorio folcloristico per vivificare il concetto di musica, ha causato l’introduzione dell’uso di strumenti musicali di derivazione folclorica, che se da un lato ha avuto la funzione di arricchire la tavolozza timbrica a disposizione del compositore, dall’altro ha causato difficoltà tecniche e di reperibilità agli esecutori che si ritrovano a dover suonare strumenti che non conoscono. I percussionisti devono sempre aggiornarsi su strumenti e su modalità di esecuzione, al fine di riconoscere le funzioni essenziali da quelle secondarie, per poter suonare correttamente.
L’introduzione di nuovi strumenti e quindi di nuove sonorità ha causato anche la modifica della notazione che deve spiegare gli “effetti” sonori che questi nuovi strumenti possono esprimere. Quindi il percussionista deve anche continuamente aggiornarsi sulle diverse notazioni.

«Prima della Seconda Guerra Mondiale, i percussionisti dell’orchestra sinfonica tendevano a specializzarsi nell’esecuzione di un piccolo numero di strumenti precisi: un esecutore ai timpani, uno ai piatti, uno alla grancassa e uno al tamburo. Ad esclusione dei timpani, gli altri esecutori suonavano strumenti come il triangolo, il tamburello basco ecc. Lo xilofonista, allora, proveniva di solito dalle scuole di pianoforte e si trovavano raramente percussionisti capaci di suonare assieme o in successione rapida molti strumenti di natura diversa» [4].

Ancora oggi, specialmente nelle orchestre sinfoniche, questa specificità di ruolo non è modificata. Cosa giusta in quanto ogni strumento a percussione ha una propria tecnica, una diversità nel tenere le bacchette, il muovere le dita, i polsi, le braccia, e anziché suonare male tutti gli strumenti, è preferibile specializzarsi su una categoria, come le tastiere o le membrane. D’altra parte già racchiudere in due sole categorie questi strumenti risulta limitante, in quanto ogni tastiera ha una sua estensione sonora e una sua estensione spaziale, quindi il cervello ha bisogno di immagazzinare le potenzialità dopo aver elaborato le dimensioni di ogni strumento. Per non parlare delle membrane che possono essere suonate con le mani, con i piedi, con bacchette che possono rendere il suono con il polso, con le dita, con polsi e dita, ecc. L’istruzione/educazione del percussionista e le capacità da acquisire risultano essere infinite.

«Ora, grazie all’apertura in tutto il mondo di classi di percussione nei conservatori e nelle scuole di musica, i percussionisti possono specializzarsi a livello concertistico, specialmente nelle tastiere quali marimba e il vibrafono, con i quali sono stati raggiunti livelli di virtuosismo eccellenti. Tuttavia, questa specializzazione specifica sulle tastiere, ha spesso adombrato l’approccio a strumenti diversi o, ancor meglio, a più strumenti nel loro assieme. Conseguenza di ciò è che nella compagine orchestrale, a volte gli esecutori non raggiungono un buon livello con strumenti quali il tamburo, i piatti a due, il tamburello basco e tutti gli altri strumenti affini al colore orchestrale. Nondimeno bisogna riconoscere che grazie all’intensificarsi della prassi esecutiva solistica, la Percussione ora viene riconosciuta come una disciplina il cui insegnamento si svolge allo stesso titolo dell’insegnamento degli strumenti cosiddetti un tempo “nobili”» [5].

Come abbiamo già sostenuto, sembra ridicolo che questa grande famiglia di strumenti musicali, la percussione, sia stata presa in considerazione solo nel XX secolo. Se si pensa a uno strumento a percussione, automaticamente si associa il termine “percussione” al ritmo. Nel suo senso più pieno, il termine “ritmo” comprende l’insieme di qualsiasi cosa abbia a che fare con quello che viene chiamato l’“aspetto tempo” della musica [6].
Ma il termine “ritmo” si ritrova anche in altri contesti estranei – o apparentemente tali – a quello musicale: ritmo respiratorio, ritmo cardiaco, ritmo dell’andamento posturale, ecc. Il ritmo è vitale, lo è nella musica e lo è nella vita quotidiana. La percussione ora viene riconosciuta come una disciplina il cui insegnamento volge alla stessa rilevanza di quello degli strumenti un tempo detti “nobili”, ma gli strumenti a percussione esistono da sempre: l’essere umano ha iniziato a produrre “non suono” (c’è differenza con “rumore”) percuotendo su tronchi di alberi con rami o a mani nude. In tutti i libri di storia degli strumenti musicali sono citati come i primi a essere definiti tali, associati a riti religiosi o magici e considerati sacri.
Aggiungiamo un nome: Carl Orff. Lo strumentario per la sua metodologia di insegnamento prevede strumenti a percussione ritmici (tamburi, tamburelli baschi, campanacci, triangoli, piatti a due, reco reco…) e strumenti a percussione melodici (metallofoni e xilofoni). Attraverso questo metodo di insegnamento, il bambino si avvicina alla musica “facendola”, usando mezzi da lui conosciuti e venendo incoraggiato a trovare un nuovo accesso a nuove esperienze musicali, sollecitando anche la sua fantasia. Nello stesso tempo viene sviluppata la sua formazione, generale, individuale e sociale: coordinazione motoria, fantasia, senso critico, inserimento nel gruppo, confronto non competitivo.

«La creazione di queste classi corrisponde alla volontà di formare dei percussionisti la cui prospettiva musicale è quella di imparare tutte le tecniche degli strumenti a percussione occidentali classici, escluse però quelle dei tamburi orientali, africani e latino-americani, che richiedono insegnanti diversi essendo le tecniche del tutto differenti e particolari. La cosa positiva è la scomparsa del percussionista non professionista, figura incerta, capace di suonare un solo strumento che ha lasciato invece il posto ad un esecutore dotato di una formazione tecnica, in grado di suonare tutti gli strumenti in repertori classici e anche d’avanguardia» [7].

Oggi il percussionista deve dimostrare di saper suonare sufficientemente bene tutti gli strumenti classici delle percussioni, che ricordiamo essere: marimba, vibrafono, xilofono, glokenspiel, timpani, cassa, piatti, tamburo, campane tubolari, tamburello basco, triangolo, ecc. Il percussionista, visto l’attuale repertorio sinfonico, cameristico, contemporaneo, deve sollecitare e allenare la propria memoria (a lungo e breve termine) in quanto deve imparare “a memoria” intere pagine di musica in cui si trovano difficili passaggi a “solo”, su più strumenti che richiedono sviluppo dell’ingegno nella sistemazione più consona di un set up formato da più strumenti di diversa categoria, pratica percussiva, conoscenza degli strumenti con esecuzione multipla e solistica.

«Sull’esempio di Mahler e di Debussy (in particolare i Nocturnes, 1899), il linguaggio musicale del primo Novecento muove verso un impiego non solo atmosferico ma strutturale della tavolozza orchestrale. Diversamente dal gusto Romantico e Tardoromantico che tendeva a identificare una melodia con una sonorità strumentale, la preferenza va ora alla giustapposizione più che all’impasto dei timbri, anche all’interno di uno stesso arco melodico. È un capovolgimento che fu paragonato all’uso del colore nella pittura impressionista e che portò a considerare il timbro come sostitutivo di altri elementi compositivi, favorito in questo anche dall’allentamento dei vincoli armonico-tonali nella direzione di un neo-modalismo o dell’atonalità […] Un’altra tendenza importante dell’orchestra novecentesca è il potenziamento della sezione di percussione, sia per la varietà e il numero degli strumenti impiegati (vari tipi di tamburi, cimbali, gong, wood blok ecc.) sia per il peso crescente che essa viene ad assumere nel discorso musicale, sul modello della Sagra della primavera (1913) di Stravinskij. È l’apertura della musica Occidentale alle nuove frontiere del rumore (dello stesso 1913 è l’orchestra di “intonarumori” di L. Russolo) e della ritmica impulsiva pura, per cui diverrà possibile concepire orchestre interamente costituite di percussioni, come in Ionisation (1929-31) di E. Varèse o in First Construction in Metal (1939) di J. Cage» [8].

Nel secondo Novecento, il ruolo delle percussioni accresce maggiormente. Citiamo, per esempio, Le marteau sans maître di Boulez, che in organico prevede oltre a flauto, chitarra, viola, anche percussioni, vibrafono e xilomarimba (1952-54). Ma le percussioni nel Novecento, verranno inserite anche in organici cameristici.

«Una più esplicita reazione al linguaggio orchestrale Tardoromantico si ebbe nell’ambito del Neoclassicismo, orientato verso il suono puro, ottenuto in genere attraverso una ricerca di sonorità strumentali insolite e una scelta particolare dei raddoppi. Al gigantismo orchestrale viene contrapposto un nuovo concetto di Orchestra da Camera, con numero ridotto di strumenti senza (o quasi) raddoppi, che permette di dare risalto al rinato gusto contrappuntistico e, insieme, di lasciare le combinazioni strumentali alla più estrosa anarchia a fronte della crescente omogeneità delle Orchestre sinfoniche istituzionali» [9].

Emanuela Cangemi

[1] Guido Facchin (a cura di Giovanni Gioanola), Le Percussioni, Edt, Torino, 1989, p. XIII.
[2] Guido Facchin, Le Percussioni. Storia e tecnica esecutiva nella musica classica, contemporanea, etnica e d’avanguardia, Zecchini editore, Varese, 2014, p. XXIX.
[3] Ibidem.
[4] Ivi, p. XXX.
[5] Ibidem.
[6] Percy Alfred Scholes, The Oxford Companion to Music in Macdonald Critchley e Ronald Alfred Henson, La musica e il cervello. Studi sulla neurologia della musica, Piccin Nuova Libreria, Padova, 1987, p.137.
[7] G. Facchin, op. cit., p. XXX.
[8] L’Universale, in collaborazione con le Garzantine, Mondadori Printing Spa, Milano, 2005, p. 633.
[9] Ibidem.

(www.bottegascriptamanent.it, anno IX, n. 96, agosto 2015)

Redazione:
Ilenia Marrapodi, Letizia Rossi
Collaboratori di redazione:
Roberta Brando, Francesca Erica Bruzzese, Valentina Burchianti, Maria Laura Capobianco, Cinzia Ceriani, Guglielmo Colombero, Chiara Levato, Giuseppe Licandro, Flavia Maccaronio, Irene Nicastro, Maristella Occhionero, Stefania Pipitone, Andrea Vulpitta
Curatori di rubrica:
Denise Amato, Selene Miriam Corapi, Mariacristiana Guglielmelli, Aurora Logullo, Rosina Madotta, Manuela Mancuso, Ilenia Marrapodi, Elisa Pirozzi, Francesca Rinaldi, Letizia Rossi
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