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A. IX, nn. 97/98, set/ott 2015
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Home Page (a cura di Ilenia Marrapodi) . A. IX, nn. 97/98, set/ott 2015

Zoom immagine Fra spregiudicatezza e rigore:
la lezione di giornalismo de L’Ora

di Orazio Barrese
Da Mohicani edizioni, le battaglie civili del quotidiano palermitano
rivivono nell’incalzante e documentato saggio di Stefania Pipitone


Nella puntuale Prefazione di Franco Nicastro al saggio di Stefania Pipitone “L’Ora” delle battaglie. L’indole ribelle di un piccolo quotidiano che cambiò il modo di fare giornalismo (Mohicani edizioni, pp. 164, € 12,00), lo spirito del lavoro nell’ormai mitico giornale palermitano, scomparso nel 1992, è sintetizzato in una breve frase: «Comunicare la notizia, ma anche l’emozione». Ciò poteva accadere persino per una foto, o per un titolo che marcava un particolare “intrigante”, ma se questo era indice delle capacità e del gusto della redazione, la vera forza stava nelle iniziative culturali, politiche, sociali, di denuncia che lasciavano il segno, come ricordano le pagine di questo bel libro.

Il coraggio degli irregolari
Gli ospedali erano lazzaretti o comunque non erano in grado di far fronte alle esigenze sanitarie? Un redattore, fingendosi ammalato, si faceva ricoverare, divenendo testimone diretto della condizione dei degenti. I successivi approfondimenti e le conclusioni costringevano politici ed amministratori ad intraprendere azioni di risanamento.
Avveniva poi, e tutt’altro che raramente, la pubblicazione di scottanti dossier, come il famoso rapporto del prefetto Bevivino sul sacco di Palermo tra il 1958 e il 1963 – responsabili il sindaco Salvo Lima e l’assessore ai lavori pubblici Vito Ciancimino. Il disastroso sconvolgimento del regolamento edilizio appare in tutta la sua drammaticità già da un dettaglio per niente marginale: la quasi totalità delle oltre quattromila licenze di costruzione venne assegnata in breve tempo a prestanomi di boss mafiosi, come peraltro era chiaro dalla dichiarata condizione non già di impresari edili, bensì di “venditore di legna e carbone” o “muri-fabbro” di questi ultimi.
E c’erano ancora i temi – e i problemi – derivanti dalla sopravvivenza di credenze e di costumi arcaici, di modelli di vita inconcepibili in una società moderna, da incrostazioni famigliari primitive, che incontravano il silenzio, ma più spesso il consenso dei giornali dell’isola. Di qui le battaglie de L’Ora contro il delitto d’onore, e il sostegno caloroso a quanti si impegnavano contro la barbarie dell’aborto clandestino o del matrimonio riparatore (l’esempio più clamoroso è quello di Franca Viola che, prima tra le donne siciliane, rifiutò di sposare il giovane che l’aveva rapita e stuprata). E poi le inchieste di fuoco, come la prima sulla mafia, del 1958, che oltre a rendere nota la pericolosità di giovani boss come Luciano Liggio, e a mettere in luce una serie di inquietanti collusioni col potere politico, avrebbe avuto una funzione decisiva per l’istituzione della Commissione parlamentare d’inchiesta.
Ma tutto questo, nonostante di eccezionale importanza, sarebbe stato ben poca cosa senza la qualità del lavoro quotidiano. Una notizia veniva vagliata, radiografata e verificata in ogni risvolto, per necessità oltre che per scrupolo professionale. Il giornale, infatti, per la sua collocazione politica era bersagliato di querele, una forma di intimidazione che si poteva solo contrastare con la verità e la precisione. E c’erano ancora, come se non bastasse, gli attentati dinamitardi contro la tipografia e la sede del giornale; l’uccisione di Cosimo Cristina nel 1960, di Mauro De Mauro nel 1970, di Giovanni Spampinato nel 1972; le minacce di morte a vari redattori, quasi a dimostrare, per paradosso, la forza e la caparbietà di quel giornale che si voleva far tacere.
Va precisato che L’Ora, pur essendo dal 1954 di proprietà del Partito comunista, aveva voluto e saputo mantenere una forte autonomia di giudizio. Basti ricordare che tra i suoi redattori c’erano Angelo Arisco, segretario provinciale del Partito liberale, Vittorio Lo Bianco, esponente di primo piano del Partito socialista, Mauro De Mauro che proprio nell’Ora aveva scoperto i valori e il gusto della democrazia, dopo l’avventura repubblichina.

Un’avvincente ricostruzione degli “anni ruggenti”
Ho citato l’appassionata Prefazione di Nicastro, perché stavolta a trasmettermi emozioni anche intense è il saggio di Stefania Pipitone. Certo influisce il fatto che, sin dai primi anni Sessanta del secolo scorso, chi scrive ha lavorato a L’Ora per ben ventisei anni – sei da inviato speciale, venti da capo della redazione romana –, ma ad avvincere e commuovere, oltre alla scrittura sapiente e alla serrata documentazione, è stata la ricostruzione di anni di forsennata ma esaltante fatica nel quale erano immersi tutti, redattori, tipografi, amministrativi. E non per scelta, ma perché, a partire dall’ultimo dopoguerra, e in particolare nei ventun anni dalla direzione di Vittorio Nisticò dal 1955 al 1975, con una redazione striminzita, e senza adeguate capacità di spesa, era quella – la fatica – la risorsa fondamentale per andare avanti.
E si è andati avanti anche dopo la direzione di Nisticò, ma grazie al suo straordinario supporto editoriale, fino a quando nel 1992 non vi fu l’insensata decisione della proprietà di porre fine a un’esaltante avventura.
Geniale, nevrotico, vulcanico, Nisticò era infaticabile. Non riuscendo a dormire a causa delle mille idee che gli frullavano in testa, telefonava alle due o alle tre di notte a qualcuno dei suoi redattori per chiedergli o suggerirgli un servizio o un’inchiesta. Cosa che avrebbe potuto ben fare l’indomani senza guastare il sonno a un giornalista già esausto, che qualche volta perdeva la pazienza e lo mandava beatamente al diavolo. Talora capitava che un inviato, concluso un faticoso viaggio di lavoro e pregustando il ritorno a casa, venisse raggiunto in un aeroporto di transito da una sua telefonata e dirottato verso un’altra destinazione. Insomma, un personaggio alla Walter Matthau del film Prima pagina, dispotico ma altruista, pronto a scusarsi per i suoi eccessi ma a ricominciare un istante dopo.
Eppure, nonostante i borbottii espressi anche ad alta voce, tutta la redazione era legata a lui da un intenso rapporto di affetto, oltre che di stima incondizionata. Non a caso ancora fino a una dozzina di anni fa, ossia a distanza di oltre un quarto di secolo da quando aveva lasciato la direzione de L’Ora, alle soglie dell’estate molti dei suoi ex allievi si davano appuntamento a Roma per festeggiarlo. C’erano Marcello Sorgi, direttore de La Stampa che veniva da Torino, e da Genova Tanino Rizzuto, direttore de Il Secolo XIX, da Tel Aviv il corrispondente de la Repubblica Alberto Stabile, da Milano Antonio Calabrò, vice direttore de Il Sole 24 Ore, oltre ai “romani”, primo tra tutti Peppino Cerasa, capocronista de Ia Repubblica, organizzatore dell’incontro, una “rimpatriata” che sottolineava un’appartenenza e che si concludeva con un sontuoso e raffinato banchetto in un grande ristorante.
A parte la cordialità sincera e amicale, pur se innestata in un carattere bizzoso, Nisticò era riuscito a conquistare tutta la redazione, usando come collanti la lealtà, l’impegno civile e lo spirito laico. E fu questa impostazione, assieme alla strenua difesa dei valori autonomistici, a far confluire attorno al giornale il meglio della cultura italiana, a cominciare da Leonardo Sciascia, e a farne un punto di riferimento per i giornalisti italiani e stranieri che arrivavano in Sicilia.

Sangue calabrese: il fil rouge di un secolo di storia
In fondo, con le differenze dovute ai cambiamenti di mezzo secolo, a due guerre, al fascismo, erano per molti versi le stesse connotazioni che aveva avuto L’Ora, sin dal giorno della sua nascita, il 22 aprile 1900. Solo che il fondatore Ignazio Florio, che si era impegnato in un’avventura editoriale per difendere certo i suoi interessi di imprenditore, ma anche per contrastare gli indirizzi e le scelte antimeridionalistiche dei governi dell’epoca, non aveva lesinato mezzi ed aveva fatto de L’Ora un giornale di respiro europeo con corrispondenti da Tokyo, Vienna, Berlino e accordi per lo scambio di servizi col parigino Le Matin, il londinese Times, il New York Sun, e con le firme più prestigiose dell’epoca, da Giovanni Verga a Luigi Capuana, da Edoardo Scarfoglio a Matilde Serao. Insomma, pur senza i mezzi di cui disponeva L’Ora di Florio, il giornale di Nisticò aveva mantenuto un legame con un grande passato, e con pagine di storia del ’900 che Stefania Pipitone ha sapientemente rivisitato e riproposto.
Vorrei concludere con un curiosità. I Florio erano di origine calabrese, e così il primo direttore de L’Ora, il famosissimo Rastignac, pseudonimo di Vincenzo Morello. E calabrese era Vittorio Nisticò, che ci è venuto a mancare nel giugno di sei anni fa.

Orazio Barrese

(www.bottegascriptamanent.it, anno IX, n. 94 giugno 2015)

Redazione:
Ilenia Marrapodi, Letizia Rossi
Collaboratori di redazione:
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