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A. IX, nn. 97/98, set/ott 2015
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Problemi e riflessioni (a cura di Mariacristiana Guglielmelli) . A. IX, nn. 97/98, set/ott 2015

Zoom immagine Colture biologiche:
un nuovo percorso
tra uomo e terra

di Luciana De Palma
Da Ponte alle Grazie, un contributo
per migliorare la qualità della vita


L’esperienza tattile di una mano che sfiora il tronco di un albero da frutto, riscaldato dal sole, nutrito dalla pioggia, accarezzato dalla luce, protetto dalla notte e, infine, coltivato con amore da un uomo o da una donna, non ha eguali tra le esperienze umane: essa è il fondamentale riferimento di ogni anima e di ogni mente che intendano percepire se stesse all’interno del meraviglioso quanto indicibilmente misterioso ciclo della vita.
Nell’attesa che un frutto maturi, trascorre un tempo infinito fatto di pazienza e di devozione, di speranza e di paura: non c’è altra esperienza più spirituale e intimamente coinvolgente di quella che si coltiva attendendo alla cura, generosa e attenta, di una pianta da frutto.
Ogni pensiero, ogni respiro, ogni sogno, ogni parola, ogni sguardo si nutrono dei numerosi attimi che sinuosamente s’infilano, uno dopo l’altro, sulla lunga scia che unisce il seme, piantato nella terra fertile e accogliente, al primo stelo che dopo mesi spunta tra le morbide zolle e s’affaccia alla luce, temerario quanto può esserlo un ideale rivoluzionario, arrivando al primo germoglio contro cui si frange la brezza primaverile, fino al frutto maturo e lucido che non attende altro che d’essere colto.
Nel saggio I semi di mille rivoluzioni. Alce Nero: storie di ulivi, uomini e api (Ponte alle Grazie, pp. 144, € 13,50), il presidente di Alce Nero, Luca Cavazzoni, coadiuvato da Gaia de Pascale, racconta, oltre alla sua personale esperienza, quella di uomini e di donne che, appassionatamente guidati dalla visione di un’agricoltura sana e rispettosa delle energie e dei tesori della terra, hanno votato le loro coscienze alla medicazione della profonda ferita nel rapporto tra gli esseri umani e la terra che da millenni, muta e maltrattata, li nutre e li accoglie.

Il miele, il vino, il pane nell’avventura biologica
Con il rifiuto di ogni intervento chimico nell’impegno quotidiano con cui ci si occupa dei campi e degli alveari, degli alberi e delle spighe che, mature, biondeggiano sotto il sole dell’estate, alcuni uomini e alcune donne hanno definitivamente dichiarato la loro eterna e continua appartenenza ad una filosofia di vita che si definisce in termini di amore e di rispetto per la terra. L’autore si è a lungo occupato di miele e di apicoltura in anni in cui fondare il mestiere di apicoltore su presupposti biologici non era né moda né considerato saggio. La conoscenza di ciò che serviva per produrre miele, partendo dalla scelta dei campi fioriti in cui portare le api, affinché succhiassero quel particolare tipo di polline piuttosto che un altro, gli è derivata dal professore di disegno Aldrovandi: questi, illuminato da una profonda devozione per tutto ciò che era naturale e genuino, ha trasmesso, insieme ai suoi insegnamenti tecnici e pratici, la sua sconfinata premura per il mondo delicato e incredibilmente affascinante delle api. Negli anni delle sue primissime avventure nel campo dell’apicoltura, l’autore ha scoperto la magnificenza di un tempo che, perdendo le connotazioni rigidamente determinate da una meccanicità frenetica, diveniva sempre più luogo del recupero di un legame solido e profondo con i ritmi della terra, del cielo, delle stagioni che si susseguono, delle api che producono qualcosa che l’uomo ancora, fortunatamente, non è riuscito a imitare.
Altro prodotto che più di ogni altro è sinonimo di vita e di cibo è il pane: prodotto, così come la pasta, dai chicchi sazi e pieni di spighe che sono cresciute nel vento e nel sole, nel caldo e nella frescura serale delle notti estive. Il pane è tanto più genuino quanto più inonda le nostre narici degli odori della terra che ha nutrito le spighe dai cui chicchi è stato generato, quanto più delizia il nostro palato con la consistenza autentica della crosta fragrante e della mollica morbida, quanto più imprime nei nostri occhi la coloritura dorata che sfuma in riflessi pastello di ocra e marrone.
E poi il vino, che già gli uomini e le donne del Neolitico conoscevano, che i Greci chiamavano “nettare degli dèi” e che i Romani consumavano in quantità smisurate nei loro lussureggianti banchetti passati alla storia, che è fonte di ogni memoria storica perché capace di lasciare tracce indelebili in ogni epoca e in ogni generazione, in ogni passaggio che traghetta uomini e donne da un’era a un’altra.
In tutte le pagine del saggio sono continuamente sottolineati, riportando alla fine di ogni capitolo singole esperienze di agricoltura biologica vissuta e applicata, il valore della corresponsabilità tra la vita dei singoli esseri umani e il suolo, il senso di scelte radicali che, pur nella fatica dei tempi e nella durezza dei modi, sono portate avanti con determinazione infinita e ostinata; infine la sensazione che la battaglia a favore di un’agricoltura biologica possa ripristinare, nel corpo e nella mente, quell’entusiasmo e quel desiderio di bellezza che, invece, ogni altro tipo di agricoltura svaluta e degrada.
Naturalmente non mancano i momenti in cui le divergenze si fanno acute e la ricerca di possibili soluzioni che tengano conto delle ragioni e delle convinzioni di chi opera in questo settore accentra attorno a sé nevralgiche questioni. Nel saggio, ad esempio, si affronta il tema della commercializzazione dei prodotti derivati dall’agricoltura biologica: è meglio affidarsi alle grandi catene di distribuzione oppure procedere a piccoli passi, seguendo i sentieri che si snodano tra i negozi dei paesi di provincia?
Inoltre, quanto può incidere nell’esistenza di uomini e di donne, che vivono in realtà sociali degradate e corrotte da sistemi mafiosi, la consegna nelle loro mani di terreni confiscati ai boss che abitano quelle stesse realtà e che essi conoscono personalmente?

«Podere al popolo!»
Con quest’esortazione, Carlo Petrini, fondatore dell’Associazione Slow Food, ha inteso scuotere le coscienze per promuovere la campagna di riappropriazione di tutto ciò che è sano perché naturale, di ciò che è naturale perché rispettoso dei tempi e dei luoghi in cui i prodotti della terra vengono alla luce. L’attenzione alla salute deve trovare il suo corrispettivo nell’attenzione alle forme di vita che popolano il nostro pianeta: non può esserci rispetto e vita senza l’equilibrio, precario, ma meraviglioso proprio perché precario, tra ogni nostro respiro e il respiro del suolo, tra ogni nostro cambiamento e il cambiamento miracoloso che si avvicenda sui rami, tra le foglie, sui terreni, nell’aria, nei mari, mutando le stagioni e passando gli anni.
In questo processo complesso e dinamico in cui lo scambio deve essere costante e votato a criteri di armoniosa convivenza, anche la morte ha il suo posto, il suo significato, giacché preludio e causa di rinascita e di rinnovamento perenni. In uno dei tanti racconti presenti nel testo, Alessandro, giovane figlio di due coltivatori di Ostuni, discutendo a proposito della morte con suo padre che gli aveva appena indicato la sistemazione finale di un corpo disposto dentro la cassa funebre, esclamò: «Ma certo, lo seminano!».

Luciana De Palma

(www.bottegascriptamanent.it, anno IX, n. 98, ottobre 2015)

Redazione:
Ilenia Marrapodi, Letizia Rossi
Collaboratori di redazione:
Roberta Brando, Francesca Erica Bruzzese, Valentina Burchianti, Maria Laura Capobianco, Cinzia Ceriani, Guglielmo Colombero, Chiara Levato, Giuseppe Licandro, Flavia Maccaronio, Irene Nicastro, Maristella Occhionero, Stefania Pipitone, Andrea Vulpitta
Curatori di rubrica:
Denise Amato, Selene Miriam Corapi, Mariacristiana Guglielmelli, Aurora Logullo, Rosina Madotta, Manuela Mancuso, Ilenia Marrapodi, Elisa Pirozzi, Francesca Rinaldi, Letizia Rossi
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