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A. IX, nn. 95/96, lug/ago 2015
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Letteratura contemporanea (a cura di Francesca Rinaldi) . A. IX, nn. 95/96, lug/ago 2015

Zoom immagine La figlia dell’imperatore
nel Meridione augusteo,
pioniera delle rivendicazioni
delle donne romane

di Vilma Formigoni
Da Città del sole, un romanzo storico
riporta alla luce una vita dimenticata


La storia di Reggio Calabria, città della Magna Grecia, si intrecciò con quella di Roma fin dal IV secolo a.C., e nei secoli successivi la città fu al centro di aspre lotte fra i popoli del Mediterraneo che aspiravano ad impadronirsi del suo territorio, assai importante dal punto di vista economico e militare. A sottolineare il legame fra il capoluogo calabrese e l’antica Roma esiste ancora oggi una delle strade più importanti intitolata a Giulia, figlia di Augusto, che, secondo la leggenda, visse nella città i suoi ultimi anni, in un esilio imposto per ragioni familiari e, soprattutto, politiche.
Fortunato Nocera, originario di San Luca (Rc), promotore della Fondazione “Corrado Alvaro”, autore di saggi su luoghi e personaggi per la fondazione medesima, conoscitore attento e sensibile della storia della sua regione, ha dedicato a questa famosa figlia dell’imperatore Augusto il libro Giulia e la luna (Città del sole edizioni, pp. 56, € 8,00), che, preceduto dall’Introduzione storica di Eleonora Delfino, propone un monologo che l’autore immagina scritto proprio da Giulia la notte prima della morte nella Torre Giulia, monumento ormai scomparso da secoli.

Il soliloquio
L’invocazione alla luna apre questa sorta di testamento-confessione di Giulia: «Selene, figlia di Teia, faro celeste, amica dei fuggiaschi, […] sei la sola che io possa implorare, a cui possa chiedere perdono per avere, in gioventù, deriso i tuoi seguaci».
A questa preghiera sembrerebbe accompagnarsi l’immagine di una donna profondamente sola e pentita per aver osato opporsi alle ferree leggi dell’opportunità politica imposte dal padre e dalla corte imperiale. In realtà, emerge il ritratto di una persona consapevole delle infedeltà coniugali, incapace di resistere alle lusinghe di quell’ars amandi che Ovidio aveva declamato in un’opera che poi gli costò l’esilio.
Circondata da una solitudine devastante, Giulia ripercorre la propria vita: «Nessuno osa avere più pietà»; i figli maschi sono morti; le figlie femmine sono lontane; il suo sposo la vuole morta e coltiva nei suoi confronti un «odio inestinguibile».
Ama profondamente il padre, Augusto, ma diventa ben presto consapevole di rappresentare «per lui solo uno strumento politico da utilizzare per la grandezza della dinastia e della Res Publica». Anche se figlia del “potere”, Giulia si ribella alla diffusa mentalità dei romani nei confronti delle donne che devono essere votate all’asservimento totale e ai sacrifici.
Giulia racconta il cinismo «senza limiti» del padre, l’assenza della madre Scribonia, ripudiata dal marito, i soprusi e la perfidia di Livia Druso, la seconda moglie, che «non fece mai mancare le vergini nel letto coniugale» perché Ottaviano Augusto, apparentemente morigerato, «era terribilmente lussurioso». Ella è donna attenta e immersa nella realtà romana, vede nella Lex Julia de adulteriis coercendis, promulgata per frenare la «dilagante immoralità coniugale», uno strumento deliberatamente maschilista teso a colpire soprattutto le mogli con la privazione dei loro beni e la condanna all’esilio.
Nella dettagliata e puntuale analisi critica della realtà imperiale, la figlia di Augusto descrive soprusi e tradimenti, violenze pubbliche e private, che la inducono a concepire «un piano scellerato: avrei condotto una vita spregiudicata, senza regole e senza freni, sicura che non avrei avuto di che temere, dato il grande amore che legava mio padre alla sua unica figlia legittima e naturale».
È una sfida aperta, quella di Giulia, che però non tiene nel dovuto conto spie, pettegolezzi e scandali, impegnata come è a dimostrare di essere, «forse inconsciamente», figlia di Augusto e a svelare la vera natura del padre.
Certamente il fascino e la suggestione del trattato di Ovidio, che canta la forza liberatrice dell’amore e del vino, hanno un ruolo importante nel comportamento della donna, ma in realtà è Livia, madre di Tiberio, adottato e designato da Augusto a succedergli, quella che ordisce le trame che porteranno Giulia ad essere allontanata definitivamente da Roma e privata di ogni mezzo. Obiettivo, ancora una volta, è il potere, maschile, gestito però da una figura femminile asservita sia alla violenta arroganza dell’uomo sia all’ambizione personale.
È una lotta, anzi, una ribellione disperata, quella di Giulia, che vorrebbe essere «pioniera delle rivendicazioni delle donne romane», le quali, invece, la disprezzano e sono indifferenti al dolore e alla dignità delle loro simili.
Tanta sofferenza, tuttavia, non priva la figlia di Augusto della grande sensibilità alla quale l’avevano educata Pindaro, Ibico, Nosside, i poeti che avevano cantato la meravigliosa natura della Magna Grecia e la dolcezza dell’amore declinato in tutte le sue sfumature.
Giulia non rinnega il passato e si abbandona al ricordo di coloro che ha amato; detesta Livia, che ritiene responsabile della distruzione della progenie di Augusto; crede negli dei e nel destino, ricorda con orgoglio di non aver mai invocato né clemenza né perdono: la splendida Selene è rimasta la sola interlocutrice alla quale chiede, «ormai vecchia e malata», di intercedere presso «Tacita Muta, dea silenziosa della morte perché venga a prendermi in una notte di plenilunio, sì che tu stessa possa assistere al momento supremo del mio trapasso».
Con questa invocazione si chiude il monologo di Giulia, una donna ferita, tradita negli affetti, coraggiosa nell’ammettere le proprie responsabilità, coerente, soprattutto, nel pretendere il rispetto del “genere femminile” in un mondo divorato dalla lotta per il potere e privo di solidarietà umana.

La struttura del libro
Fortunato Nocera ha proposto in modo certamente inconsueto, quasi biografico, un personaggio dell’antica nobiltà romana, storicamente esistito, che ha avuto con Reggio Calabria un rapporto intenso e del quale sono ormai scomparse le testimonianze.
Egli ha probabilmente voluto far rivivere attraverso Giulia una parte della storia della città; infatti, in Appendice, Nocera propone un dettagliato excursus sulle vicende calabresi successive all’invasione romana.
Infine, per consentire al lettore, sia questi uno storico sia un semplice “curioso”, un dettagliato elenco dei «Personaggi attinenti alla vicenda di Giulia»: certo, il monologo è frutto dello spirito dell’autore, ma i personaggi sono storicamente reali. È una “pagina” di storia reale declinata al femminile.

Vilma Formigoni

(www.bottegascriptamanent.it, anno IX, n. 96, agosto 2015)

Redazione:
Francesca Buran, Ilenia Marrapodi, Pamela Quintieri, Francesco Rolli, Letizia Rossi
Collaboratori di redazione:
Mattia Beltramo, Roberta Brando, Valentina Burchianti, Maria Laura Capobianco, Cinzia Ceriani, Guglielmo Colombero, Gabriella De Santis, Chiara Levato, Giuseppe Licandro, Flavia Maccaronio, Irene Nicastro, Maristella Occhionero, Stefania Pipitone, Andrea Vulpitta
Curatori di rubrica:
Denise Amato, Selene Miriam Corapi, Vilma Formigoni, Mariacristiana Guglielmelli, Aurora Logullo, Rosina Madotta, Manuela Mancuso, Ilenia Marrapodi, Elisa Pirozzi, Pamela Quintieri, Francesca Rinaldi, Letizia Rossi
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