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Anno IX, n 89, gennaio 2015
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Storia (a cura di Fulvia Scopelliti) . Anno IX, n 89, gennaio 2015

Zoom immagine Desaparecidos:
le lotte delle madri,
il dolore dei padri

di M. Vitalba Giudice
Da Città del sole, un testo sui crimini
avvenuti in Argentina negli anni ’70


Se si vuole conoscere l’Argentina, bisogna attraversare la sua storia e percorrere gli snodi, talvolta tragici e dolorosi, che hanno contraddistinto il paese. La storia dei desaparecidos argentini è uno di questi snodi che parte nel 1976, quando più di 30.000 dissidenti, o semplicemente sospettati tali, del governo militare vennero per l’appunto fatti sparire. L’operazione condotta dalla polizia militare si caratterizzò soprattutto per la segretezza con cui vennero compiuti gli arresti, i sequestri e le violenze rivolte alle vittime. Un silenzio, però, troppo difficile da accettare per le madri dei desaparecidos che, il 30 aprile del 1977, in modo determinato e spontaneo, compierono un gesto dal forte valore ideologico e politico: camminare in cerchio, in maniera pacifica, in Plaza de Mayo, di fronte alla Casa Rosada, sede della Presidenza della Nazione, «senza vessilli o simboli o clamori e senza coperture né fisiche né tanto meno politiche, in pieno periodo di coprifuoco e col divieto vigente, tra l’altro, di non potersi riunire in più di tre persone alla volta in qualsiasi luogo pubblico». Storie argentine (Città del sole, pp. 112, € 12,00) è un volume che raccoglie due dei racconti di un trittico di storie sull’Argentina. Il testo di Lino Gambacorta, docente di Filosofia e Storia nei licei statali, si concentra sulla storia dei desaparecidos e su come la loro scomparsa sia stata vissuta sia dalle madri sia dai padri delle vittime. Le due storie vengono raccontate attraverso due differenti approcci narrativi: la prima, interamente dedicata alle Madri di Plaza de Mayo, presenta lo stile di un saggio storico; mentre, nel secondo racconto, l’autore si ispira alla narrazione libera, concedendo ampio spazio al proprio stile.

Le Madri di Plaza de Mayo
La prima parte del testo ricostruisce, attraverso una breve ma organica ricerca storica, il vissuto delle Madri di Plaza de Mayo. L’autore percorre le tappe più significative della nascita del movimento e mette in evidenza, nel corso dell’intera narrazione, come le donne abbiano deciso, con coraggio e forza, di lottare per portare alla luce i terribili fatti di violenza e i soprusi che hanno dovuto subire i propri figli per opporsi alla dittatura del regime militare. Il simbolo che le donne utilizzano, e che diventerà riconoscibile in tutto il mondo, sarà un fazzoletto bianco, che ricorda il pannolino dei figli piccoli. Sul quel fazzoletto sarà scritto il nome e la data di nascita dei desaparecidos. L’autore traccia quindi i tratti distintivi delle donne contestualizzando la loro storia politica e sociale e mettendo in evidenza come, a prescindere dalle estrazioni sociali, l’unione e la determinazione abbiano portato al riconoscimento formale delle associazioni legate ai desaparecidos, tanto da diventare un interlocutore riconosciuto anche politicamente. Tuttavia, l’autore mette in luce come l’affermarsi della democrazia abbia portato a una nuova lettura dei processi politici, tanto da determinare nel 1986 la scissione in due gruppi del movimento: da una parte, la “Asociación Madres de Plaza de Mayo”, e dall’altra, “Madres de Plaza de Mayo – Línea Fundadora”. Nel testo vengono evidenziate anche le motivazioni che portarono alla frattura del movimento, dando spazio al forte valore ideologico che ha accompagnato e continua ad accompagnare le azioni delle madri argentine che «hanno sempre espresso un bisogno e anche un modo di essere: quello di connettere – nel duplice essenziale senso di “comprendere” e “collegare” – memoria e giustizia, diritti e bisogni, contraddizioni e sforzi, consapevolezze e apprendimenti, lacerazioni e rinascite, sofferenze ed entusiasmi, la dimensione personale con la divisione di ciò che vivo; e, tutto questo, appunto, oltre se stesse, perché la “verdad” di una lotta, di ciascuna resistenza, non si esaurisce mai nell’isolamento di una storia».

La sofferenza dei padri
La seconda storia riportata nel testo è incentrata su uno stile narrativo libero e, proprio per questo, fin dalle prime righe, si differenzia dalla prima parte del libro. Nel racconto, caratterizzato spesso da metafore, viene esposta la storia di un uomo, di un padre, della sua vita, del suo rapporto con l’Argentina e con la musica del luogo, che il protagonista vive attraverso il bandoneon, lo strumento che, più di tanti altri, è in grado di raccontare le storie e i vissuti della terra argentina.
L’autore riporta la storia del protagonista Peppino, della moglie e dei figli in terza persona, forse per marcare l’apparente distacco che l’uomo, padre di uno dei tanti desaparecidos, ha vissuto nel rapporto con il figlio, ma anche in quello con la storia dei giovani scomparsi. La maggior parte dei padri argentini, infatti, forse per troppo timore o per indotta riverenza nei confronti del regime militare, è stata meno coinvolta in prima linea nel processo di scoperta delle verità e di riscatto della storia che si celava dietro la scomparsa dei propri figli. Peppino è un padre, ma rappresenta dunque i tanti padri che «si affacciano ogni tanto anch’essi alla faccia della storia, uno alla volta e hanno nomi che dicono delle verità del mondo degli uomini».

M. Vitalba Giudice

(www.bottegascriptamanent.it, anno IX, n. 89, gennaio 2015)

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