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A. XVIII, n. 199, aprile 2024
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Dibattiti ed eventi (a cura di Natalia Bloise)

Quando “una donna d’onore” vacilla
di Marilena Rodi
Le ammazzano il figlio e lei “sa”. Il sentimento di una madre vince sulle regole.
Dario Flaccovio editore propone un inedito excursus nella ’Ndrangheta locale


È di nuovo una donna la protagonista dell’ultimo libro di Cristina Zagaria, la giornalista di cronaca nera de la Repubblica, già artefice dell’inchiesta all’Università di Bari per illeciti sessuali nel 2003. L’osso di Dio (Dario Flaccovio editore, pp. 320, € 14,50), è stato presentato al pubblico barese, presso la Feltrinelli, lo scorso 30 novembre.

Testimone d’eccezione, Elisabetta Pugliese, magistrato della Direzione antimafia di Bari, che esordisce: «È interessante accostarsi ad una realtà per comprenderne i meccanismi e sviscerarli. È ancora più interessante sfiorare l’animo delle “donne di mafia” e percepirne lo status, la spinta criminogena che per vicissitudini storiche e personali le conduce vicine alla mafia tanto da restarne legate, e diventare quindi “donne nella mafia”». Il magistrato prosegue sottolineando quanto le vicende private tendano a regolare l’esistenza di queste donne, che accettando le regole, restano in silenzio al fianco dei compagni criminali, militando, talvolta, anche in prima persona. Qualcosa di diverso inevitabilmente si sviluppa, quando da compagne divengono madri, e a queste madri viene strappato un figlio dal “regime”. Allora lo status cambia inesorabilmente perché assumono il volto e il carattere di “donne contro la mafia”, alla cui origine vi è l’emotività, l’erudito sentimento materno.

 

L’emancipazione mafiosa

La storia della protagonista Angela Donato, vera seppur crudele, colpisce per l’intraprendenza e la “bestialità” affioranti dalle radici di una Calabria quasi per nulla abituata a manifestazioni palesi di ribellione: finora non si è verificato un solo caso di pentito di mafia.

«Tutto è nato da una coincidenza» racconta la giornalista durante la presentazione del libro. «Un collega de La Stampa mi chiamò e mi riferì che in Calabria stava accadendo “qualcosa”: una fiaccolata per un caso di lupara bianca. ‘Sono sicuro che ti interesserà’, mi disse». E il “qualcosa” trovò riscontro: la storia di Angela Donato, una madre alla quale la ‘ndrangheta aveva tolto la vita a suo figlio. Quel figlio che aveva tentato di tenere lontano dalla Calabria, spedito in Umbria a studiare, e che aveva voluto preservare dal quotidiano mafioso della sua terra d’origine. Ma la terra chiama e la sua eco è travolgente, impetuosa, e lui, Santo, il figlio, torna in “patria”.

L’autrice spiega al pubblico, come la protagonista, all’età di 17 anni, quando suo padre la voleva sposata, perché in età di donne “sistemate”, disattese le prospettive bucoliche delle tradizioni del paesello, si allontanò dalla famiglia per conquistare l’indipendenza e la raggiunse usando il regime mafioso. Prosegue raccontando di lei che fu la prima donna ad imparare a sparare e a guidare e che si fece valere nell’“ambiente” espugnando il rispetto delle famiglie potenti della zona. Diventò la compagna di Sebastiano Panzarella, dalla quale relazione nacque Santo.

La storia incalza con il legame passionale nel quale lo stesso Santo resta catturato al rientro nella terra d’origine: ama con impeto, fatalmente, la donna sbagliata: la “mantide”, ovvero, la donna del boss. Angela è al corrente della relazione, ma non parla, non si esprime, perché conosce le regole di mafia, e il terzo comandamento di quel regolamento recita: “non toccare la donna d’altri”.

Per quanti lontano dal comprendere talune situazioni, è complicato immaginare come si sia sentita Angela, quando un giorno non ha più visto rientrare suo figlio e i meccanismi che ne sono scaturiti.

 

Le regole e i sentimenti

«È per questo aspetto che ho cercato di scavare nel suo animo. Cosa è più forte per una “donna di mafia”: il dovere di stare alle regole dettate dall’organizzazione di cui lei è parte o l’amore viscerale e connaturato di una madre? Per Angela ha vinto l’amore materno per quel figlio ormai perso e il desiderio di riaverlo “per poterlo piangere”», racconta Cristina Zagaria.

La giornalista, che con Angela ha percorso le strade della zona e conosciuto i luoghi menzionati nel libro, sfiorato la realtà calabrese e sentito gli odori della terra e delle persone, si è lasciata coinvolgere dalla bestialità del sentimento della protagonista, una donna forte che non ha avuto timore di raccontare la sua storia e lanciarsi in prima persona nell’investigazione. Ha raccontato dei travestimenti che ha adoperato per ottenere informazioni utili per il recupero del corpo di Santo, fino all’osso ritrovato, unico frammento rintracciato. Angela, tecnicamente non è una pentita, ma con la sua testimonianza, è stata in grado di far avviare cinque indagini e riesumare due cadaveri.

Nasce spontaneo il parallelo con la protagonista dell’altro libro di Cristina Zagaria, Miserere. Vita e morte di Armida Miserere, servitrice dello stato (Dario Flaccovio editore, pp. 314, € 14,50); una donna con la fama da dura, direttrice del carcere di Sulmona a cui la mafia ha strappato un caro, il marito. Donna erudita, Armida, troppo forse, per poter sopravvivere al dolore e che muore suicida nel “suo” carcere. Un parallelo che svela dunque, i modus vivendi di culture in contrasto e le realtà in contrapposizione da cui interpretano il mondo.

 

Marilena Rodi

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno II, n. 6, febbraio 2008)
Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
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