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A. XVIII, n. 199, aprile 2024
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Recensioni brevi (a cura di La Redazione)

Le origini e la storia
della tazzina di caffè,
la nera bevanda
più amata al mondo

di Pamela Quintieri
Da Laruffa editore, il racconto della preparazione e della degustazione
di una delle tradizioni più radicate nella cultura italiana e non solo


Il suo aroma accompagna il nostro risveglio, il suo inconfondibile profumo allieta i momenti conclusivi dei nostri pasti. Scuro, nero, bollente… il caffè nasconde in sé il mistero fisiologico della nostra attenzione e concentrazione. D’altronde il fantastico intruglio, sin dal passato, ha occupato un posto d’onore nell’immaginario collettivo, agendo più o meno direttamente sui sensi del voglioso bevitore; non a caso risulta fin troppo eloquente il pensiero di Eduardo De Filippo che al riguardo così si esprimeva nel film Fantasmi a Roma del 1861: «Quando io morirò, tu portami il caffè, e vedrai che io resuscito come Lazzaro».
Ecco quindi che un testo sobrio ed essenziale, di rapida lettura, ne analizza l’ancestrale storia partenopea affiancandola alla cultura calabrese. Stiamo parlando di La caffettiera napoletana di Michele De Luca (Laruffa editore, pp.48, € 8,00).
Partendo dai quelli più antichi, il libro giunge ad esaminare anche i più recenti macchinari impiegati nella produzione del caffè: dalla tostatura alla macinatura fino alla preparazione dell’infuso, senza dimenticare di indugiare sulla tradizione di Parghelia o su quella della Calabria. Ogni capitolo approfondisce, con dovizia di particolari e aneddoti, le proprietà e le qualità di questa bevanda non lesinando ironia. Il tutto è apprezzabilmente corredato da fotografie di documenti e attrezzi originali.

’Na tazzulélla ’e cafè
«Se si volesse fare – per puro diletto – una graduatoria degli odori e delle fragranze più piacevoli, quelle più intense ed “inebrianti”, l’aroma del caffè risulterebbe, senza ombra di dubbio, al primo posto. Non è un caso che esso risvegli in ognuno di noi, appena percepito, un’attenzione immediata e, all’istante, si senta il desiderio di scoprirne la provenienza. Si gira il capo verso il luogo da dove viene quella piacevole fragranza, annusando come i cani da caccia la preda e, finalmente, individuato il posto, ci si sente in qualche modo appagati».
E allora come preparare il miglior caffè del mondo? Eccone svelati gli ingredienti e i segreti in accordo con la migliore tradizione popolare: acqua buona (ovvio, è assolutamente rigoroso, che provenga dalla città di Napoli), una miscela di qualità e la caffettiera napoletana: sì, certo, non basta una qualunque moka ma necessario è, invece, che essa sia prodotta nella terra del Vesuvio!
Ma dove è davvero nato il caffè e quando? Diciamo che la tradizione ci fa arrivare lontano dalla nostra amata Italia, ci fa oltrepassare i confini e ci conduce dai nostri cugini d’oltralpe: i francesi. Contrariamente a quanto si possa immaginare, il primo caffè venne bevuto a Parigi durante il periodo dell’Illuminismo, generando non poche contrastanti reazioni, che sono abilmente registrate e portate alla nostra attenzione nel libro di De Luca. Se Voltaire ne beveva 50 tazze al giorno e Balzac circa 300 durante la stesura della Commedia umana, l’abate Nisseno riteneva addirittura che la bevanda fosse stata creata dai demoni! E non mancano di certo racconti particolari e curiosità sui nostri connazionali dal Nord al Sud. «È sulla degustazione del caffè che gli Italiani si dividono in due folte schiere. I settentrionali lo bevono frettolosamente, i meridionali con una calma quasi ascetica. Una sorta di filosofia del piacere, dove lo sguardo prima, l’odore poi e il gusto, infine, impegnano i nostri sensi e si susseguono in un crescendo di percezioni».

Conclusioni
Di uso abitudinario e quotidiano, bevuto nella sua ricetta tradizionale o abbellito alla “veneziana” o “alla nocciola”, il caffè registra in sé la bellezza della compagnia che sfata la solitudine divenendo spesso, oggi come un tempo, momento di aggregazione e di educazione. Il testo in analisi si sofferma, per completezza, su questi aspetti esaminando anche le forme gergali calabresi sull’argomento di cui De Luca è gran esperto e conoscitore. «I Calabresi, invece, avevano e mantengono ancor oggi, quello che potremmo chiamare il caffè di “riguardo”, destinato agli ospiti. La parola caffè suscita in ognuno una punta di fierezza: si offre sempre volentieri e si è accolto con altrettanta soddisfazione, quando altri lo offrono! […] Il caffè, naturalmente, è nelle tradizioni calabresi il protagonista indiscusso e, pertanto, è presente in molte espressioni dialettali ed in alcune facezie pungenti legate a questa bevanda. Lungi dal registrare pedissequamente le molte voci vernacolari, ci è sembrato doveroso indicarne alcune, le più esemplari, per evidenziarne l’animo gioioso dei Calabresi».
Buona lettura allora, magari tenendo il libro in una mano e nell’altra una buona e profumata tazzina di caffè!

Pamela Quintieri

(www.bottegascriptamanent.it, anno VIII, n. 84, agosto 2014)

Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
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