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Anno VIII, n 82, giugno 2014
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Home Page (a cura di Ilenia Marrapodi) . Anno VIII, n 82, giugno 2014

Zoom immagine Al fianco di Costantino il Grande
durante la crisi del paganesimo

di Aurora Logullo
Da Città del sole, il nuovo romanzo storico di Guglielmo Colombero,
in cui la passione giovanile si lega all’epilogo dell’Impero romano


«La sua fisionomia, incorniciata da fitti capelli castani tendenti al riccioluto, rafforzava tale sensazione: un mento volitivo, lievemente bipartito nel mezzo, innestato su un collo taurino; labbra carnose, dal taglio netto; il tipico naso latino a rostro d’aquila; e le iridi castane con venature fulve, sormontate da esili sopracciglia brune, che si allungavano sulla fronte spaziosa, solcata da una frangia di ciocche ribelli»: quale grande personaggio della storia antica si nasconde dietro questa dettagliata descrizione? Agli appassionati di arte e archeologia potrà forse ritornare facilmente in mente la testa monumentale conservata presso i Musei Capitolini a Roma raffigurante Costantino il Grande. Da tribuno ventenne ad unico sovrano dell’Impero romano, è lui il protagonista indiscusso dell’ultimo libro di Guglielmo Colombero, Constantinus. La croce e il serpente (Città del sole edizioni, pp. 408, € 18,00), un insolito romanzo storico che copre gli anni dal 303 al 313 dopo Cristo, dalla decima e ultima persecuzione dei Cristiani, decretata da Diocleziano, all’Editto di Milano, emanato da Costantino, che sancisce definitivamente il principio della tolleranza religiosa in tutto l’Impero.

 

Uno scrittore che ama rievocare il passato

Colombero, ex consulente informatico che dal 2005 opera nell’ambito dell’editoria e della comunicazione come romanziere, critico letterario e cronista sportivo, non è nuovo a questo genere letterario. L’esordio risale al 2007, con Himilce. La sposa di Annibale, edito da Falzea, una ragnatela di amori e di delitti ambientata a Cartagine alla vigilia della Seconda guerra punica, dove, rompendo gli schemi consueti, il focus non punta sul celebre Annibale, ma sulla sua sposa Himilce, quasi ignorata dagli storici. Anche nel successivo Tomyris. La signora delle tigri (Falzea, 2009) lo scenario, ancora più remoto (mezzo secolo prima dell’era cristiana), è dominato da una figura femminile: Tomyris, regina guerriera del popolo caucasico dei Massagetaj, che affronta a muso duro sulle rive del Mar Caspio l’armata di invasori persiani condotta da Ciro il Grande. Terza tappa dell’itinerario storico-letterario di Colombero, Ombre a Betlemme (2012) inaugura anche il sodalizio con una nuova casa editrice, Città del Sole di Franco Arcidiaco. Stavolta il periodo di riferimento è quello della nascita di Cristo: destreggiandosi abilmente in una costruzione narrativa piuttosto complessa, l’autore fa convergere quattro gruppi di personaggi verso Betlemme, accomunati dalla ricerca del presunto Messia. Ma tutti con scopi differenti: chi vuole ucciderlo, chi incoronarlo, chi condurlo verso destinazioni lontane. Dopo sei anni e mezzo dal primo romanzo, ecco quindi Constantinus. La croce e il serpente, che rappresenta una tappa cruciale nella carriera letteraria dell’autore. Ciò che questa volta si trova davanti il lettore è, infatti, un affresco storico di ampio respiro, capace di creare suspense e accendere interesse con un crescendo di eventi drammatici e quasi sempre inattesi.

 

La scalata verso il potere di un uomo fuori dal comune

In quest’ultima opera Colombero tende alla profondità introspettiva nell’analisi comportamentale dei personaggi. Il lettore può seguire le imprese di Costantino da una posizione privilegiata, ossia attraverso lo sguardo di Sebastiano, il giovane attendente cristiano che combatte al suo fianco nel deserto della Siria, nelle paludi del Danubio, lungo le sponde del Reno, e anche al Ponte Milvio, in riva al Tevere, nello scontro decisivo contro l’usurpatore Massenzio. Nel caratterizzare questo personaggio, l’autore non ritrae soltanto un soldato fedele che segue il suo sovrano da una parte all’altra di un impero sconvolto dalle guerre civili, ma sa aprirsi a note più delicate e particolari. Sebastiano, infatti, nonostante le inclinazioni omosessuali, s’innamora di un’ambigua e fascinosa creatura dall’aspetto androgino, Salmacis, sacerdotessa pagana dell’antichissima dea Kubaba, adorata ad Antiochia. La passione che divampa fra loro trova ostacolo nella libidine maligna di Daza, uno dei rivali di Costantino, feroce persecutore dei Cristiani, che vorrebbe ingabbiare Salmacis nel serraglio delle sue concubine. Un legame quindi, quello tra Sebastiano e Salmacis, costellato da peripezie spesso dolorose, che è comunque indirettamente condizionato e legato ai grandi eventi di quegli anni, perfettamente in accordo con la migliore tradizione del romanzo storico.

 

La guerra e l’esercito

La scansione cronologica, basata sull’alternarsi delle quattro stagioni di ognuno dei dieci anni ricostruiti da Colombero, garantisce al romanzo una struttura omogenea. Ma è soprattutto nell’elaborazione dei dialoghi che l’autore dimostra notevoli capacità mimetiche: essi sono frequenti ma fluidi, grazie a un lessico accuratamente “attualizzato”, capace di aprirsi ad espressioni sia crude e grossolane che raffinate e salottiere, passando dal gergo brutale dei militari alla dialettica sottile dei sofisti. La guerra è descritta in tutta la sua squassante violenza: «Finalmente Romani e Sarmati si mescolarono in un rimbombare di scudi che cozzavano e stridevano nell’impatto. Sebastiano affrontò un Sarmata dalla chioma che pareva spalmata di bitume. La lama del barbaro sibilò nell’aria, piombando dall’alto in diagonale sull’elmo di Sebastiano, ma l’orlo dello scudo smorzò il colpo, deviandone la traiettoria. Sebastiano colse l’attimo propizio per vibrare un’imboccata che trapassò il barbaro in pieno volto, penetrando in un’orbita. Sebastiano svelse la lama e allontanò il cadavere con un calcio sullo sterno».

L’autore, tuttavia, non si limita semplicemente a ricostruire con verosimiglianza il turpiloquio dei legionari o la violenza del corpo a corpo. Pur attingendo spesso alle fonti classiche, avanza un’ipotesi originale secondo la quale Costantino avrebbe fatto ricorso a sostanze psicoattive come la cannabis e la ruta siriaca per rafforzare la resistenza sua e dei suoi soldati alla fatica delle marce e alla tensione dei combattimenti. Una congettura questa che, se si considera l’eccezionalità delle sue vittorie contro forze nemiche numericamente superiori, non appare del tutto campata per aria.

 

L’Eros in cui due diversità finiscono per combaciare

Sul versante erotico, Colombero ama costruire in tutti i suoi romanzi alchimie dei sensi talvolta assai complicate: nella sua concezione, infatti, i ruoli spesso si ribaltano e si confondono. In Himilce. La sposa di Annibale, la moglie devota del condottiero punico si sente a un certo punto trascurata e finisce per innamorarsi di una donna, Teuta, regina illirica esule a Cartagine, apertamente bisessuale. In Tomyris. La signora delle tigri sboccia un ménage à trois fra la regina, il guerriero Osmydah e l’amazzone Tirghetau. Analogamente si comporta in Ombre a Betlemme Velleio, il romano epicureo che riesce a sedurre sia la schiava Najeeba che la principessa Erato. In Constantinus. La croce e il serpente la componente erotica non serve soltanto a colorire la trama, ma è utile all’autore per far emergere i contrasti e le contraddizioni che l’avvento del cristianesimo ha portato con sé. Sebastiano, come già notato, oscilla fra i due sessi, trovando infine la sintesi ideale in Salmacis. Ma anche Salmacis, fino a quel momento coinvolta in amori esclusivamente ancillari, si abbandona fra le braccia di Sebastiano, e addirittura lo trascina a scoprire piaceri che fino a quel momento gli erano ignoti. L’Eros diventa veicolo di scoperta e di conoscenza di sé, in un momento in cui il “pansessualismo dionisiaco” sta per soccombere di fronte a una nuova e più restrittiva morale.

Nietzsche, nel XX secolo, definirà questa mutazione come avvelenamento della “coppa del piacere” da parte dei perfidi Cristiani sessuofobi. Significativo in questo senso uno sfogo di Costantino nel corso di un dialogo con Sebastiano: «Ma cosa credi che sia, in realtà, la tanto celebrata compostezza apollinea? Non è altro che una finzione, escogitata dai filosofi greci per imbrigliare il fermento divorante della nostra seconda natura, quella dionisiaca. Un demone che abita in permanenza sotto la nostra pelle, e che è impossibile scacciare… Se tenti di escluderlo dai tuoi sogni, se resisti al suo richiamo ancestrale, lui si vendica trasformandosi in un incubo in grado di trascinarti alla pazzia!».

 

Aurora Logullo

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VIII, n. 82, giugno 2014)

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