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Anno VIII, n 81, maggio 2014
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Politica ed Economia (a cura di Elisa Pirozzi) . Anno VIII, n 81, maggio 2014

Zoom immagine Il progetto
“Grande
Reggio”

di Giuseppe Licandro
Da Laruffa, l’ampliamento
fallimentare del comune
reggino tra il 1927 e il 1933


Nel febbraio del 1927 il podestà reggino Giuseppe Genoese Zerbi propose di ampliare il territorio del comune di Reggio Calabria attraverso l’aggregazione di quattordici paesi limitrofi, avanzando una richiesta formale al governo del Regno d’Italia, allora presieduto da Benito Mussolini.

Il progetto faraonico fu presto approvato e, nel luglio dello stesso anno, il regio decreto n. 1195 dispose la nascita della “Grande Reggio”, che al suo interno incluse anche gli ex comuni di «Campo di Calabria, Cannitello, Cataforio, Catona, Fiumara, Gallico, Gallina, Podargoni, Pellaro, Rosalì, Salice Calabro, Sambatello, Villa San Giovanni e Villa San Giuseppe».

Il comune di Reggio Calabria divenne così uno dei più estesi d’Italia, superando i centomila abitanti.

 

Le ragioni storiche della “Grande Reggio”

Recentemente è uscito nelle librerie il saggio La Grande Reggio. Ampliamento territoriale del Comune di Reggio Calabria (Laruffa editore, pp. 80, € 25,00), ristampa del testo La Grande Reggio. Ampliamento territoriale del Comune, edito nel 1928 dalla Società editoriale reggina e curato, insieme a Genoese Zerbi, da Nicola Putortì (allora direttore del Museo civico della città) e Angelo Rau (segretario comunale).

Il libro contiene una ricca documentazione, attraverso la quale si spiegano le ragioni che hanno indotto gli amministratori reggini a proporre l’ampliamento del territorio comunale, e i passaggi successivi che lo hanno reso possibile.

Il primo documento, datato 12 febbraio 1927, riproduce la richiesta avanzata da Genoese Zerbi, nella quale si sottolinea che «la città di Reggio, comprendente una ristrettissima linea costiera, è compressa nel suo attuale territorio da una rete di piccoli Comuni». Il podestà fa notare, in particolare, che «ad un suolo ricco, floridissimo di prodotti, di clima temperato, attualmente non corrisponde un adeguato sviluppo industriale, economico, finanziario, dei pubblici servizi e della vita civile».

Il secondo documento ripropone la relazione stilata da Putortì e Rau per sollecitare la creazione dellaGrande Reggio”. Il testo, diviso in brevi capitoli, inizia con un rapido excursus storico, dal titolo L’antico territorio di Reggio, nel quale si glorificano le origini dell’antica Rhegion () e si celebra l’espansione militare che la portò, nel V secolo a.C., sotto il governo del tiranno Anassilao, a dominare lo Stretto di Messina.

Nel testo viene successivamente menzionato il passaggio di Rhegion sotto la dominazione dei Romani, i quali in Età augustea ne mutarono il nome in Rhegium Iulium, assegnandole un vasto territorio da amministrare (compreso tra Cannitello, a nord, e il torrente Palizzi, a sud, distanti tra loro circa settantatré chilometri).

Anche dopo la caduta dell’Impero romano d’occidente, Reggio mantenne inalterata la sua importanza geopolitica, nonostante l’alternarsi di varie dominazioni (bizantina, normanna, aragonese, spagnola, borbonica). A indebolire il capoluogo, tuttavia, provvidero le incursioni saracene e il tremendo terremoto del 1783, che lo rase al suolo: delle sue difficoltà approfittarono i centri minori, che si resero pian piano autonomi, ridimensionandone le prospettive di sviluppo.

 

Le motivazioni economiche

La relazione di Putortì e Rau continua col capitolo Attuale situazione della circoscrizione territoriale del Comune di Reggio Calabria, in cui si descrive lo sviluppo demografico ed edilizio della città negli anni Venti, in verità alquanto ridotto, anche a causa del terribile terremoto del 1908 (nel 1927 era ancora in corso la ricostruzione e Reggio contava solo 65.000 abitanti).

I relatori fanno notare come il sisma del 1908 abbia fortemente penalizzato la città, determinando sul piano amministrativo «un disavanzo che costituisce ora non più la conseguenza di un fenomeno straordinario, ma un fatto permanente, normale della finanza del Comune».

Infatti, per far fronte ai bisogni della cittadinanza, lo stato fu costretto a versare all’amministrazione comunale «un contributo annuo integrativo normale, compreso il caro-vivere del personale, di lire 3.091.247,00», mentre i servizi pubblici lasciavano a desiderare e i reggini erano costretti a pagare l’acqua «in ragione di L. 1,00 al metro cubo (prezzo superiore a quello di qualunque altra città italiana)».

La causa principale del disavanzo comunale e dei cattivi servizi pubblici viene individuata dai due relatori nelle limitate capacità esattoriali del comune, dovute soprattutto al numero ridotto di abitanti e alle loro non floride condizioni economiche.

Viene successivamente presa in esame la situazione dei «quattordici piccoli centri comunali» che circondano Reggio, auspicando, nelle conclusioni, che sia al più presto superato il frazionamento territoriale e si giunga alla formazione di «un centro comunale di oltre 120.000 abitanti, che si estenderà lungo la zona occidentale dello Stretto di Messina per circa 30 km», consentendo così «lo sviluppo industriale e commerciale di tutta la zona dello Stretto».

 

Il fallimento del progetto

Nel saggio viene poi riportata la relazione Considerazioni del Prefetto della Provincia, redatta dal prefetto reggino Francesco Benigni, il quale, evidenziando l’elevato deficit di bilancio del comune reggino (circa 4 milioni annui di lire), esprime il suo parere favorevole «alla proposta di ampliamento territoriale della città di Reggio».

La parte conclusiva de La Grande Reggio contiene altri interessanti documenti: il telegramma con cui Mussolini annuncia a Benigni di aver accolto la proposta per la «aggregazione al Capoluogo dei quattordici Comuni contermini»; un manifesto fatto affiggere da Genoese Zerbi, in data 6 luglio 1927, nel quale si annuncia la nascita del nuovo comune; la pagina della Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia con la pubblicazione del regio decreto n. 1195 del 7 luglio 1927; il resoconto dei festeggiamenti per l’ampliamento del territorio di Reggio, riportato sulla stampa locale.

L’atteso decollo economico della città, tuttavia, non ci sarà. Infatti, come rammenta la scheda introduttiva del libro, curata dall’editore Laruffa, si registrerà «nei successivi decenni la crescita demografica e anche il relativo ampliamento dello stato sociale e del terziariato, ma niente di più».

La “Grande Reggio” rimarrà in vita per sei anni, finché nel 1933 Villa San Giovanni riacquisterà la propria autonomia amministrativa e incorporerà all’interno del proprio territorio anche Campo, Cannitello e Fiumara, dimezzando così l’estensione territoriale del capoluogo.

Le ragioni del fallimento del progetto sono state acutamente indicate da Agazio Trombetta che, nel saggio Quegli anni da non dimenticare. Reggio Calabria (1920-1946), anch’esso edito da Laruffa, ha messo soprattutto in rilievo l’incapacità di gestire idoneamente il vasto territorio comunale: «da tanta miseria, da tanta faciloneria, da tanto disinteresse successivo e da un’economia “di rapina” non poteva certamente nascere una città come Genova, Torino, Milano».

La piaga della cattiva amministrazione ha continuato a penalizzare fino ai nostri giorni la città della Fata Morgana, che di rado ha saputo esprimere una classe dirigente all’altezza del suo compito. Reggio, purtroppo, ha finito per dissipare le sue potenzialità economiche e culturali nei mille rivoli del clientelismo, diventando facile preda della criminalità organizzata che ancora oggi ne condiziona la crescita civile e sociale.

 

Giuseppe Licandro

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VIII, n. 81, maggio 2014)

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