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Anno VIII, n 80, aprile 2014
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Editoria varia (a cura di Manuela Mancuso) . Anno VIII, n 80, aprile 2014

Zoom immagine Il gusto dei racconti:
quando la culinaria
si fonde abilmente
a storia e letteratura

di Daniela Vena
Aneddoti e ricette da assaporare,
in un libro di Dario Flaccovio editore


Che cos’hanno in comune una poltrona, un gelo di mellone, Maria Carolina regina di Napoli, un vecchio calepino e l’amore per la cucina? Sono alcuni degli elementi portanti di una raccolta di racconti e ricette, scritta a quattro mani da Licia Cardillo Di Prima ed Elvira Romeo, in cui arte culinaria e narrativa si fondono. Il filo conduttore è la sicilianità, espressa tanto nelle storie quanto nelle ricette, ricche di memorie, profumi e suggestioni.

Licia Cardillo Di Prima, proprietaria della Cantina Di Prima, vive a Sambuca di Sicilia. Vincitrice di svariati premi tra cui “Erice”, “Parnaso” e “De Jacobis”, ha anche collaborato con la Repubblica di Palermo e con Il Mediterraneo. Vanta altre pubblicazioni, tra le più importanti: La pelle di cristallo (Rubbettino) ed Eufrosina (Dario Flaccovio editore).

Elvira Romeo invece vive a Marsala dove, sposata e con figli, svolge l’attività di avvocato. Dalla sua passione per le ricette e la cucina deriva la collaborazione con la rivista La voce di Sambuca.

 

La nobiltà di una poltrona

Il primo racconto de La poltrona di Maria Carolina e il gelo di mellone (Dario Flaccovio editore, pp. 138, € 12,00) ha per protagonista un barone e il suo palazzo cinquecentesco. Appartenente alla sua famiglia da tempo immemorabile, l’edificio è incastonato in un quartiere ormai popolato da numerosi extracomunitari verso i quali il barone nutre un profondo odio fino al punto da definire la sua residenza «infernale». Ogni mattina uscendo per strada li incontra, li sente parlare o gridare e il sangue gli bolle in corpo, tanto da desiderarne la sparizione totale e fulminea. Il suo orgoglio, insieme al prestigio di nobiltà, però, gli impediscono di cambiare ubicazione, poiché questo cambiamento testimonierebbe la sua debolezza e, peggio ancora, la sconfitta. Così, ad ogni occasione, il nobile non manca di lamentarsi con la moglie e con i condomini. Prima dell’affollamento degli stranieri la vita del barone scorreva lenta tra inviti e cene durante le quali mostrava il cimelio di famiglia: la poltrona di Maria Carolina, ereditata dalla zia Matilde. Proprio quest’ultima, cuoca provetta, aveva avuto l’onore di ospitare in una delle sue innumerevoli cene, re Ferdinando di Napoli e la regina Maria Carolina. Re Ferdinando, esperto cacciatore e grande estimatore di selvaggina, era stato conquistato dal ragù di cinghiale di zia Matilde, la quale, mentre gli svelava i segreti culinari, esprimeva anche la sua grande carica seduttiva. Intanto la regina si era accomodata su una poltrona che, in seguito, avrebbe preso il suo nome e sarebbe diventata lo stemma della famiglia. Nella convivialità della serata la regina fu ammaliata dalla bontà del gelo di mellone, che aveva gustato ad occhi chiusi e di cui aveva chiesto una seconda porzione. Nei momenti di rappresentanza o di sconforto il barone guardava la vecchia poltrona con riverenza e l’alone di una macchia, che il gelo di mellone scappato dalla bocca della regina aveva lasciato, gli permetteva di raccontare, per la milionesima volta, quella cena con dovizia di particolari ai suoi ospiti, ai quali, su quella poltrona, non sempre era concesso di sedersi. Oltre alla poltrona, zia Matilde aveva lasciato in eredità alle sole donne di casa un calepino pieno di ricette e segreti per conquistare gli uomini, chiuso da un lucchetto per volontà della stessa zia, perché i segreti venissero tramandati e mai perduti. Il calepino in questione era custodito dalla moglie del barone che lo seguiva e venerava al pari di un vangelo. Un giorno, il povero barone subì un furto, e tra le svariate ricchezze dovette rinunciare all’amata poltrona. Quell’evento tanto funesto e ingiusto gli fece scoprire una verità che sconvolse tutte le sue certezze…

Il terzo racconto ha come protagonisti il sindaco di Palermo, Don Mimì, due vicini di casa e il gallo Napoleone. Durante un giorno d’estate, uno di quelli in cui il sole è rovente, Don Mimì era seduto sulla poltrona di Maria Carolina che aveva comprato da un rigattiere. Come di consueto una pila di lettere copriva la sua scrivania, ne aprì una sventolandosi con la busta, ne lesse alcune righe e poi, come preso da un pesante torpore, chiuse gli occhi. Quella era un’abitudine più che consolidata, tanto che il suo usciere, Nardo, aveva l’ordine quotidiano di non far entrare nessuno nel suo gabinetto. Quel giorno però, la porta dell’ufficio si aprì involontariamente, e un assessore sorprese Don Mimì sonnecchiare. Entrando cominciò a ridere e il sindaco si svegliò di soprassalto. L’assessore lo informò che se avesse voluto mantenere la sua carica avrebbe dovuto leggere, con molta attenzione, la lettera su cui stava dormendo. Il mittente dell’esposto era il professor Pizzo, che si lamentava per il fastidio che Napoleone, il gallo del suo vicino, il dottor Rini, gli procurava. Per risolvere il caso Don Mimì convocò prima il dottor Rini e poi il professor Pizzo. Il racconto assume dei contorni comici e allo stesso tempo paradossali, culminando con l’ordinanza del sindaco, secondo cui Napoleone doveva morire.

Queste sono due delle sei storie che Licia Cardillo Di Prima racconta con uno stile ricco e completo, riuscendo ad esprimere quella bellezza, quella molteplicità di situazioni e quella veracità tipicamente meridionali. La seconda parte del testo invece è composta dalle ricette di Elvira Romeo in cui antipasti, primi, secondi e dolci stuzzicano l’acquolina del lettore.

Anche il più volte citato gelo di mellone trova il suo posto: ottenuto con il succo d’anguria, lo zucchero, l’amido, il cioccolato fondente, i pistacchi e il gelsomino, sembra racchiudere le tradizioni e la cultura siciliana, risultato di più di tredici dominazioni.

L’arte della cucina è un sistema variegato e complesso, una risorsa di grande valore che, tra le sue molteplici qualità, ha anche quella d’influenzare positivamente e in vari modi la quotidianità dell’intera umanità. Il testo, che si legge con facilità e piacere, presenta alla fine alcune pagine vuote dove poter appuntare le proprie ricette, rendendolo ancor più familiare.

 

Daniela Vena

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VIII, n. 80, aprile 2014)

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