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Anno VIII, n 78, febbraio 2014
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Home Page (a cura di Francesco Rolli) . Anno VIII, n 78, febbraio 2014

Zoom immagine Le intense dinamiche dell’anima
all’interno di un enigma familiare

di Annibale Bertola
Città del sole presenta il romanzo della giornalista Paola Picciocchi,
un thriller dalle tinte impressionistiche che fonde attualità e finzione


Verbo pregnante, “indagare”. Come molti termini della nostra lingua si presta alle più varie connotazioni. L’etimologia può aiutarci a scandagliare il mondo dei suoi significati, e quindi introdurci all’uso che Paola Picciocchi ne fa in questo romanzo.

Agere (agire) e indu (all’interno) ne costituiscono le due radici di base. Agire, darsi da fare, muoversi, ma con la presenza dell’antico tema indu che nell’inglese diventa into. All’interno, ma con la sfumatura per cui a questo ambiente chiuso si giunge muovendosi dall’esterno. C’è un preciso rinvio all’immagine dell’“entrare” in un contesto, in un ambito delimitato da confini che lo individuano con precisione.

Non basta. “Indagine” (connessa al verbo) implica una finalità.

Scoprire. Trovare ciò che solo si sospettava esistesse, come avviene nel caso dell’indagine interiore, e che si cerca di svelare: l’introspezione, la riflessione, la meditazione.

Scoprire, ma nel senso di trovare il colpevole nell’indagine poliziesca.

Un altro intendimento, ma con una caratteristica comune a quella del primo significato, che scopriamo se ci soffermiamo sulla preposizione: infatti “in-du” (“in-to”) rimanda a un’intenzionalità, a un movimento finalizzato.

Spetta poi a chi racconta, in questo caso all’autrice, definire l’identità del contesto (“quale” sia l’ambito in cui ci si insinua) e chiarire il senso dell’azione per cui ci si immerge nel flusso degli avvenimenti, dei fatti.

Si sarebbe tentati, quindi, di incasellare Indagine dell’anima (Città del sole edizioni, pp. 264, € 14,00) nel vasto novero dei thriller. Non sarebbe una collocazione indebita, perché di questo si tratta; ma già fin dalle prime righe appare riduttivo categorizzare così questo lavoro, senza cogliere tutte le fila e i temi che si intrecciano nella narrazione.

 

La figura di Lara tra intuizione giovanile e intesa con la madre

La vicenda si delinea all’interno di un delicato crocevia. Uno dei contesti è quello delle relazioni familiari, quel mondo costituito da eventi piccoli e quotidiani che sono il tessuto connettivo di ogni gruppo familiare. Quello in cui troviamo i ruoli di padre, di figlia, di madre, di fratello. Interessante come la figura di Lara sia la più piccola dei figli dei coniugi Orli: la figura che diventa protagonista, in un vasto campionario di personaggi. Più che protagonista, in senso esclusivo, perno della vicenda stessa, filo conduttore nel suo sorprendente dialogo con la madre coinvolta in un incidente di cui solo alla fine si capirà la dinamica. È la più piccola dei tre fratelli, dunque: ed è appena il caso di ricordare che nella letteratura di tutti i tempi, con una regolarità che spieghiamo solo con immagini archetipiche che popolano il pensiero umano, a risolvere i problemi più complessi siano proprio i più giovani. Nel mondo delle fiabe, infatti, è sempre il più piccolo che scioglie le più intricate questioni; che muove la vicenda e che con la sua freschezza e apertura verso il mondo, per lui più nuovo, è maggiormente avvezzo alle esplorazioni di quanto avvenga con i personaggi più vecchi.

Troviamo qui un’immagine fondamentale: per risolvere enigmi, tanto più la mente è fresca e aperta a soluzioni alternative, tanto più è possibile avere successo.

Lara si colloca in questa linea di pensiero, che privilegia la competenza naturale rispetto agli automatismi dati dall’esperienza: con la sua freschezza di tredicenne può svolgere un ruolo centrale perché capace di sensibilità, valorizzazione dei propri ideali, inventiva.

In questa vicenda ci si affaccia con decisione a una possibilità esplorata in tante opere letterarie, così come nelle trasmissioni televisive a caccia di sensazionalismi: la possibilità di una comunicazione telepatica, che qui intercorre tra Lara e sua madre.

Inverosimile? Il senso comune direbbe di sì. Poi si pensa a molte esperienze di dubbia interpretazione, ma riferite spesso con una sconcertante varietà di modi e di circostanze; persone che in guerra, in punto di morte, sembrano aver comunicato con i loro cari per un estremo saluto. Oppure i racconti un po’ stupiti di educatori di bambini con handicap, che riferiscono di accorgersi come i loro assistiti, che pure presentano gravi difficoltà di articolazione nel linguaggio verbale o addirittura ne sono privi, riescono comunque a comunicare sensazioni o perfino messaggi più complessi alle loro madri. O ancora, fatto che talvolta non riusciamo del tutto a capire, le sorprendenti intuizioni di chi pratica le arti marziali, disciplina in cui spesso i combattimenti diventano vere e proprie coreografie. Ciascuno degli atleti mostra di sapere in anticipo le intenzioni dell’altro, e la pratica e la competenza (ma forse soprattutto la capacità di percepire i pensieri altrui) consentono poi di parare il colpo dell’avversario. È capitato a chi scrive di assistere a sequenze affascinanti di questo gioco di percezioni nell’aikido, per esempio.

Tornando a Indagine dell’anima, proprio l’eccezionalità di questa possibile comunicazione subliminale introduce una puntualizzazione sulla trama dell’opera, la cui ouverture respira la più consueta quotidianità familiare.

Una famigliola che d’estate, come sono soliti fare gli appartenenti alla middle class italiana, parte per tornare nel paese d’origine a visitare i nonni, ritemprarsi nelle vacanze, rinverdire il contatto con le proprie radici.

Ma la brutalità dei fatti eccezionali prevaricherà l’ordinario.

 

L’attualità irrompe nell’immaginario

Miriam, la sorella maggiore, viene coinvolta in un omicidio. Per l’esattezza, viene accusata di avere assassinato un giovane boss della malavita locale, rampollo della principale dinastia mafiosa della zona.

Le circostanze l’accusano, senza ombra di dubbio. E quello che avrebbe dovuto essere un tranquillo periodo estivo di vacanza e di gioia familiare diventa un incubo che solo a fatica, e con l’aiuto di pochi intenzionati a contrastare la schiacciante negatività del “male” camorristico, forse si potrà sciogliere.

Teniamo lontano il demone dello spoiler: Il recensore è tenuto a lasciare al lettore la scoperta dell’intreccio. Limitiamoci ad osservare come il contesto esterno aiuti ad entrare nello spirito dell’indagine.

Lo scenario è quello di un immaginario paese campano, Agentemo. È il palcoscenico in cui si squaderna l’esplorazione del mondo intimo condiviso fra la madre e Lara; ed è in questo ambiente che l’universo interiore della comunicazione familiare si incontra con quello esterno. Non solo il mondo fantastico, inventato del romanzo, ma anche quello descritto dalla cronaca reale. È qui che emerge in prima battuta la capacità dell’autrice di “bagnare” di realtà la finzione narrativa, travalicandone i confini per intrecciarsi con tenaci legami alla cruda, spiacevole realtà del nostro tempo.

Proprio nei giorni in cui veniva presentato il romanzo a Roma, un pentito di camorra, con le sue dichiarazioni, permetteva di ottenere riscontri oggettivi alla triste realtà che tutti già conoscevano, che molti fingevano di ignorare, e che ha segnato forse in modo irreparabile la qualità di vita di intere province della nostra penisola.

In questo caso, tramite l’invenzione letteraria ci riferiamo ad eventi storici purtroppo molto, troppo reali. A loro rimanda la cronaca. È lo smaltimento illegale dei rifiuti nelle terre del Mezzogiorno, con il suo spaventoso corollario di abbattimento della qualità di vita degli abitanti di quelle zone e la comparsa di malattie gravissime dovute proprio alla ferita ecologica che questa attività criminale ha causato.

Sorprendente come da questo problema sociale il romanzo riesca, senza appesantimenti, a riferirsi ad altri eventi che affliggono la società d’oggi: ne è esempio il teppismo dei sassi gettati dal cavalcavia.

 

Un equilibrio costruito sulla sincronicità degli eventi

Un gioco di rimandi talora appena accennati nel romanzo, talaltra approfonditi nei suoi episodi, ma sempre scorrevoli nell’evoluzione della trama. Essi la arricchiscono regalandole un notevole spessore, in un alternarsi di temi vecchi quanto la specie umana e altri riferiti con stringente attualità a fatti di oggi. Si passa, quindi, dalla rivalità fra giovani al confronto fra il bene e il male, dalle tinte fosche dell’attività malavitosa alla possibilità di alleanze, ravvedimenti, generosità inaspettate.

In questo senso, perfino la cruda legge della sopravvivenza, presente nello scontro fra bande rivali, trova un contrappeso nel personaggio del giovane Giuseppe. Costui incarna la solidità preziosa del bravo ragazzo che osa affrontare l’onda impetuosa della mentalità criminale e sa costruire una proficua alleanza con i fratelli travolti dalla tragedia.

Leggendo l’opera con gli occhi dello psicologo, si indugia tra avvenimenti e personaggi come Carlo il professore, Nicoletta, Margherita. Tutti a modo loro interpreti della straordinaria banalità di ogni esistenza, perennemente in bilico fra soddisfazione, gioia, realizzazione ed eventi tragici, drammi umani, sconvolgimenti della salute. Questi ultimi costantemente in agguato data la precarietà di ogni specie, compresa (o soprattutto) la nostra.

A modo suo lo scorrere della trama, però, si sofferma impietosamente su quale sia la nostra personale responsabilità nella costruzione dell’infelicità. Se non ci pensa il singolo individuo a causare eventi dolorosi, provvedono le brute dinamiche sociali, comprese quelle oggetto della sociologia criminale.

Tornando alla singolare circostanza della confessione del pentito di cui si è detto, sottolineiamo come questo sia un punto a favore della competenza dell’autrice, che, al di fuori dall’attività letteraria, è una giornalista de Il Sole 24 ore. Sarebbe interessante, dato che uno degli elementi del romanzo è proprio la superiorità della percezione intuitiva (come si è visto: addirittura telepatica), vedervi un esempio di “sincronicità” junghiana.

Da questo punto di vista, il romanzo è una stimolante fonte di riflessione. Nel ritmo serrato di una vicenda piena di sentimenti ed emozioni si riconosce che oggi qualunque vicenda privata/privatissima, come una semplice vacanza, non può non confrontarsi con quello che la storia del nostro tempo ci pone come problematica emergente.

Può trattarsi, come in questo caso, di una fatalità che matura in un contesto storico che condiziona la persona, come realmente fa la malavita organizzata. Ben venga quindi incontrare la presenza rassicurante di un maresciallo dei carabinieri, come in realtà molti nell’Arma, che lavora per arginare il malaffare, con sensibilità e passione.

Una nota di ottimismo che almeno nella narrazione crea un sano bilanciamento fra criminali, bravi ragazzi, tragedie ecologiche e dedizione oltre che senso del dovere.

 

Essenza ed essenzialità del romanzo

Un romanzo dunque sorprendente, in cui niente è quello che sembra di primo acchito.

È qui che il gusto del narrare dell’autrice – che contagia il lettore – si fa quasi didascalico.

Mi spiego. Sappiamo che non è una buona cosa ricercare ad ogni costo una morale o una indicazione in un’opera che forse vuole solo intrattenere o divertire: ma riteniamo che ogni autore, anche il più disincantato, interpreti la realtà ricorrendo alle modalità che gli vengono fornite dalla sua cultura e “dallo spirito del tempo” che agisce in lui.

Possiamo anche scomodare l’inconscio collettivo, dato che ci siamo già riferiti a suggestioni junghiane.

Sembra che Paola Picciocchi voglia dire che ci sia possibilità di recupero, di riscatto anche dalle peggiori nefandezze, come quella di avere avvelenato un’intera area geografica.

È utile prendere coscienza dell’errore connaturato al crimine, e schierarsi attivamente attraverso un vero e proprio cammino di conversione. È quanto rappresenta il personaggio di Nicoletta, che farà un suo percorso personale di ravvedimento, in un gesto quasi sacrificale che contribuisce alla vicenda dando un senso alla sua conclusione.

Non è dato qui anticiparla, trattandosi di un’opera che tra le altre sfaccettature presenta anche quella tipica del thriller; tuttavia sembra che per delineare il senso complessivo si possa concludere che solo chi si è guardato al suo interno può operare perché anche le dinamiche della storia prendano una direzione più umana.

Una nota sullo stile: uno dei pregi del romanzo è la ricchezza dei personaggi, mille sfaccettature di un’umanità che vengono definite, ciascuna, in poche, essenziali pennellate impressionistiche.

Questa essenzialità si rispecchia nella galleria di persone che il lettore via via conosce, e tuttavia evita il rischio di cadere in caratteri stereotipati: ad esempio il giovane carabiniere non è tetragono al limite dell’ottusità come vorrebbe l’immaginario delle barzellette; i figli saranno pur sempre “piezze ’e core” ma sono anche soggetti capaci di iniziativa e di comportamenti coraggiosi, spinti dall’amore per la famiglia e autori di iniziative risolutive.

Lo stile, dicevamo. Una lettura facilitata proprio da uno stile scorrevole eppure evocativo. Dato che di forti sentimenti, di forti avvenimenti e di forti emozioni qui si tratta, si perdona volentieri anche una certa sovrabbondanza di punti esclamativi, che forse distraggono il lettore dal seguire le tinte del racconto, già molto forti per loro stessa natura.

Non a caso questo è ambientato nel contesto di una terra generosa e piena di sentimenti come la Campania.

Ma vorremmo concludere ricordando un’immagine che fa da sfondo al testo e che la stessa autrice ha mostrato costruendo un “promo” della sua opera.

Quella del mare.

La distesa marina del cortometraggio proiettato nel corso della presentazione è connessa a brani del romanzo, e suscita nel lettore echi di un’interiorità di cui talora non siamo consapevoli.

Si sa che il mare è una delle più frequentate metafore dell’inconscio, indescrivibile per definizione. Ma sappiamo anche che esso accomuna gli esseri umani e pure li distingue, spingendoli ad individuarsi proprio nella costruzione del loro essere, diversi nel momento in cui scoprono un comune destino.

 

Annibale Bertola

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VIII, n. 78, febbraio 2014)

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