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Anno VIII, n 77, gennaio 2014
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Letteratura contemporanea (a cura di Francesca Rinaldi) . Anno VIII, n 77, gennaio 2014

Zoom immagine Fiabe di oggi:
il male infuria
sui bambini

di Pamela Quintieri
Da Fazi, un thriller brutale
narra storie di giovani vittime
e di un oscuro giocattolaio


Il mondo dei bambini dovrebbe essere paragonato alle fiabe, quelle più dolci e tenere, quelle serene ed educative, dovrebbe essere un mondo di sogni e propositi incantati e costruttivi. Sappiamo invece bene che spesso può anche tingersi di inquietudine, di angoscia e finanche di orrori e di gravissime brutalità: ai piccoli esseri non resta che cercare di difendersi con la flebile forza che possiedono o chiudersi per sempre nella incomunicabilità di un trauma che è uno degli ultimi stadi della sofferenza del cuore. E sappiamo ancora altrettanto bene che spesso il trauma trasforma la vittima in carnefice, autore di altre atrocità, propagando una malvagia spirale.

I canali d’informazione ci tengono al corrente di queste circostanze deprecabili e sempre più spesso ci raccontano di gravissimi episodi di violenze che coinvolgono minori, tanto che ne rimaniamo addolorati e disgustati, nonché profondamente colpiti nell’intimo. Allora l’universo dei grandi e quello dei piccoli si mescolano, laddove il limite viene superato, e la delicatezza dei sogni si confonde con la crudeltà della realtà.

Uno spaccato di periferia dove adulti e bambini convivono, tra la superficialità e la noncuranza, mentre la vita di tutti giorni scorre con apparente serenità: è questo il palcoscenico narrativo del romanzo Il giocattolaio di Stefano Pastor (Fazi, pp. 398, € 9,90).

 

La trama

«Massimo sta zitto. È la cosa che sa fare meglio, sono undici anni che ci si dedica: restare immobile, scomparire, confondersi con la tappezzeria. Finché nessuno si accorge di lui, la sua battaglia contro il mondo non può considerarsi persa. Aspetta che siano usciti tutti e che torni lo zio. Per Massimo è terribile essere al centro dell’attenzione, ma inevitabile. Perché questa volta non ha scelta, non c’è modo di nascondersi, è di lui che stanno parlando, della sua vita, del suo destino. E lui, naturalmente, non ha voce in capitolo».

Massimo è uno dei giovani protagonisti di questo thriller dalle venature horror, è un adolescente che, rimasto orfano, si trasferisce a coabitare con lo zio, suo unico parente ancora in vita. Nella nuova località Massimo fa la conoscenza di altri piccoli abitanti, ad esempio della intraprendente Mina, cresciuta troppo in fretta a causa dell’indifferenza della sua famiglia e del peso della ricerca del fratellino Pietro, misteriosamente sparito nel nulla. Sì, perché in questo quartiere i bambini, anziché essere felici, spariscono, e sono in molti a fare questa fine.

Dal ritrovamento del primo cadavere di uno dei piccoli scomparsi si comprende meglio che i bambini scomparsi non vanno via di loro volontà, ma vengono rapiti, torturati e poi brutalmente assassinati da un maniaco.

«Illumina la spazzatura e si avvicina. Il corpo. […] Lo guarda attentamente, con un coraggio che nemmeno lui sa di avere. È proprio un bambino come lui. La pelle ha un colore orribile. Il volto è anche peggio. […] Spegne la torcia perché non sopporta più di guardarlo, ma il buio lo fa stare solo peggio. È un mondo di forme che si fondono, si muovono, e la sensazione è quella opprimente di chi si scopre circondato. La riaccende subito, indietreggia e corre verso la strada».

Ma se ciò che è chiaro è l’evidenza, in questo testo invece niente rispecchia l’aspettativa del lettore e l’idea che egli si fa degli accadimenti; ancor meglio chi analizza la vicenda è sempre messo di fronte a quel qualcosa al quale ancora non aveva proprio pensato. L’attesa e la disattesa divengono quindi quel procedere e indietreggiare costantemente tra gli elementi base della trama che avvincono pienamente e favoriscono con forte interesse la partecipazione emotiva alla storia. Questo costruire il racconto con sapienza di intenti e di modi che ben sanno rivelarsi avvincenti è di certo una delle caratteristiche più apprezzabili del testo. Un libro che quindi si legge velocemente anche perché la buona suspense ben si lega alla sintassi snella, tutta giocata su periodi brevi e scarni ridotti al necessario: il ritmo che ne deriva è eccellente.

 

Perché Il giocattolaio?

«Guarda. Entra. Scegli. E spera che non ti costi troppo».

L’atmosfera di questo noir è costruita tutta su un’ambientazione convincente, resa con poche essenziali pennellate che sanno arrivare dritte all’intimo dello spettatore, dove i personaggi non sono solo introdotti alla visione dell’io narrante ma vengono anche proposti nella versione che gli altri protagonisti ne hanno. Questa originalità narrativa riesce ancor più a coinvolgere perché, invece che dire, lascia immaginare e, più che indirizzare, innesca la riflessione personale su un argomento estremamente attuale.

E ci sconvolge pensare che proprio un negoziante di balocchi, la persona che più di tutte conosce l’universo dei piccoli e lavora per renderlo edulcorato, possa accentrare su di sé i principali sospetti. Può davvero essere lui il pericoloso serial killer di bambini? Nel giallo di Pastor, sembra proprio lui il principale indiziato, solo la giovanissima, scaltra e avveduta Mina pare volere difenderlo.

La figura del giocattolaio è qui tinteggiata con superbia nella sua personalità, si tratta di un disadattato, un “diverso” da cui tutti sanno trarre profitto, data la sua psicologia rimasta ferma all’infanzia, tanto da essere chiamato teneramente da Mina “Peter Pan”.

Una favola moderna quindi, una favola oscura dove i piccolini devono difendersi da soli e cercare di vincere il male senza poter contare sull’aiuto degli adulti e peggio ancora della propria famiglia.

 

L’autore

Stefano Pastor dichiara di scrivere solo per passione senza l’assillo di cercare di pubblicare le sue opere. La scrittura è quasi un mezzo di piacere personale, al quale lo scrittore si è avvicinato intorno ai cinquant’anni. Ma proposte le sue opere a diversi concorsi letterari, dietro suggerimento di un’amica, lettrice dei suoi lavori, Pastor è riuscito a vincerne un paio e in altri casi è arrivato finalista. Queste conquiste personali hanno spinto l’autore verso la pubblicazione dei suoi dattiloscritti regalandogli la fama.

La sua fonte d’ispirazione, quella per l’incipit o per la creazione di un personaggio di un libro, può scaturire da qualunque cosa. Spesso il pretesto può essere la lettura di un semplice testo o la visione di un film; allora dentro di lui nasce una scena e lo scrittore immagina subito l’inizio e il finale del suo lavoro letterario e da lì riesce a costruire tutto intorno, scrivendo circa venti pagine al giorno: Il giocattolaio è la sua prima fatica.

Appassionato del lavoro dello scrittore Howard Phillips Lovecraft, Pastor sostiene di averne in comune l’emotività che pervade lo stile narrativo, ma a differenza dello scrittore statunitense, egli non ama perdersi in artificiose descrizioni per concentrarsi piuttosto sull’essenziale: il lettore deve immaginare e la storia deve coinvolgere e sorprendere rivelando quello che non ci si aspetta. Definisce le sue opere «favole dei nostri tempi», generalmente a lieto fine. E in un certo senso anche Il giocattolaio ne prevede, a suo modo, forse uno: quello della lotta alla sopravvivenza, propria dell’essere umano che, a prescindere dall’età anagrafica, combatte per non perire inutilmente di fronte a ogni sorta di difficoltà.

 

Pamela Quintieri

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VIII, n. 77, gennaio 2014)

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