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Anno VII, n 73, settembre 2013
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Storia (a cura di Fulvia Scopelliti) . Anno VII, n 73, settembre 2013

Zoom immagine Le riviste femminili
dell’Italia giolittiana:
la guerra italo-turca
illustrata ad hoc

di Daniela Vena
Biblink editori presenta le censure
e i metodi di istruzione delle donne
nel primo decennio del Novecento


Poco più di cent’anni fa fu combattuta la guerra italo-turca, al termine della quale il nostro paese ottenne una parte considerevole della sponda africana che si affaccia sul Mediterraneo. Le riviste di inizio Novecento, su questo argomento, erano divise in gruppi: quelle che ignoravano la guerra, quelle che prendevano le distanze dal finto idealismo, di cui erano piene le narrazioni, e quelle che cercavano d’indorare la pillola parlando della consuetudine umana nel combattere le guerre. Gli scrittori e i giornalisti che confezionavano i giornali avevano come scopo ultimo descrivere l’esperienza bellica come doverosa e meritevole, gettando le basi di quell’accomodante buonismo italiano ancora serpeggiante. Corredata da un’Appendice antologica che riproduce dispense e illustrazioni tratte da periodici conservati nelle collezioni della Biblioteca di Storia moderna e contemporanea, ritratto graffiante e puntuale della società italiana nel primo decennio del Novecento, in cui dominano ipocrisie e censure che vengono riversate nell’avventato mondo dell’istruzione femminile, l’opera di Annalucia Forti Messina, La guerra spiegata alle donne. L’impresa di Libia nella stampa femminile (Biblink editori, pp. 186, € 22,00), sullo sfondo di articoli illusori e falsamente patriottici, fa scorgere alcune righe che preannunciano la secolare lotta femminile per l’affermazione e il rispetto dei propri diritti. Annalucia Forti Messina, insegnante di Lettere, è un’appassionata studiosa del Risorgimento e delle classi poco abbienti, ma si è anche dedicata, con diverse pubblicazioni, alla storia della sanità militare, delle malattie, delle epidemie e della formazione professionale dei medici in Italia, con i loro risvolti sociali e demografici.

 

La guerra presentata alle donne

Durante il difficile periodo storico del conflitto italo-turco, molti capirono che lo scontro avrebbe aperto il varco per le successive guerre che avrebbero interessato l’Europa e i Balcani. Il proposito dell’autrice in questo libro è di narrare il modo in cui tali fatti storici venivano presentati alle donne all’interno delle riviste femminili. Tutto ciò sullo sfondo di quel lungo percorso che le donne avevano intrapreso per affermare i propri diritti. Nella sua analisi l’autrice cerca di capire come venisse spiegata e presentata la guerra libica nel suo svolgersi, quale linguaggio fosse usato, cosa venisse detto o omesso.

I periodici femminili dei primi del Novecento erano un incrocio tra giornali politici, fatti essenzialmente di parole, e giornali dell’immagine, prodotti solo per essere guardati. La volontà di istruire le donne si fondava sulla necessità di costruire una nuova identità nazionale, ormai imprescindibile dopo l’Unità. Alle donne, infatti, era affidato l’onere di educare i futuri cittadini italiani, per cui, la madre, in quanto educatrice, doveva essere a sua volta obbediente e istruita.

Forti Messina esamina anzitutto come le riviste “apolitiche” presentassero la guerra. Tra il 1911 e il 1912 Il bazar. Rivista illustrata di mode e lavori per famiglie era il periodico più diffuso e, nonostante il suo taglio prettamente femminile, raccontava lo svolgimento della guerra italo-turca nel suo divenire. Le notizie riportate ponevano l’accento sull’importanza di una buona informazione quale base per la futura educazione. Un intenso cordoglio era riservato alle madri che avevano perso i figli in battaglia. A queste donne, generatrici di eroi della patria, era rivolto l’invito a non piangere ma a sentirsi orgogliose del sacrificio dei figli. All’interno della rivista La gran moda, era esplicita l’importanza attribuita ai diritti femminili, riportando il discorso della signora Irma Melany Scodnik al Congresso nazionale delle donne, dove fu ribadito che l’istituzione del suffragio universale non avrebbe distratto le elettrici dai loro doveri di mogli. Il settimanale diretto da Ottorino Giussani Bareggi, La stella e l’aurora, come la maggior parte dei periodici, più che di sermoni politici era intriso di «divagazioni letterarie, tutte tese a nutrire e rinforzare il sentimento patriottico di chi legge». Un altro settimanale appartenente al gruppo Verri, Il trionfo della moda, affrontava, con velata ironia, la condizione femminile di quel tempo. Fra le sue pagine Giovanni Pascoli scrisse parole piene di patriottismo, che scossero gli animi delle lettrici. In antitesi alle parole del Pascoli si leggono poi quelle dell’anarchico Libero Tancredi, che offrono alle donne un altro punto di vista. Tra i giornali dell’editore Emilio Treves, Margherita, rivista per il ceto abbiente, dedicò ampio spazio alla politica e al femminismo. Il periodico offriva anche «notizie sulle associazioni di donne e sulle battaglie dei movimenti femminili per l’istruzione, l’inserimento nelle professioni, il diritto di voto». In Margherita, soprattutto, non mancano le nuove e gratificanti imprese femminili. Il giornale era un periodico illustrato, che seguiva l’andamento dello scontro. Tra le sue pagine, a partire dal gennaio 1912, comparve la rubrica Dal teatro della guerra, in cui erano pubblicate diverse lettere che i soldati avevano scritto in Africa. Erano righe dense di ardore patriottico, di pensieri per amori lontani, di nostalgia di casa. Questa rubrica prenderà poi il nome di Il corriere dei combattimenti, in cui le madri, le mogli e le sorelle, usufruendo delle pagine del giornale, potevano mandare un messaggio ai lori cari: iniziò una sorta di scambio epistolare costante, anche perché era difficile mandare la corrispondenza quando gli indirizzi risultavano errati o irreperibili. Nel novembre 1912, quando le sorti della guerra libica volsero a nostro favore, sulla sua copertina campeggiava una raffigurazione allegorica dell’Italia trionfante. Ne La cronaca d’oro Giuseppe Molteni e Filippo Meda sottolineavano come l’Italia fosse stata animata, nell’impresa di conquistare Tripoli, non da una superficiale materialità quanto da una profonda coscienza civile, che ridiede smalto alla sua forza, alla sua dignità e alla sua potenza in campo internazionale. Da questa vittoria, poi, uscì rafforzato il prestigio sia dell’Esercito che della Marina.

Dall’esame che l’autrice fa dell’editoria “cattolica” si deduce che la visione cristiana cedeva, di fronte allo slancio patriottico, all’esaltazione del massacro in nome della fedeltà alla nazione, offuscando qualsiasi remora spirituale. Il corriere delle maestre presentava la guerra italo-turca come doppia: una combattuta contro quelle terre misere ed arretrate, la Libia e la Cirenaica, che con la conquista italiana avrebbero conseguito il riscatto; l’altra finalizzata alla sconfitta dell’analfabetismo. Il continuo richiamo che legava l’amor patrio e l’educazione, e che spiega la fonte del valore dei nostri giovani soldati in guerra, derivava dal costante e sincero impegno delle maestre e dei maestri che seminarono il germe del patriottismo nei loro alunni. Ne La difesa delle lavoratrici Margherita Sarfatti firmava un articolo in cui manifestava tutto il proprio disappunto nei confronti della guerra libica. La giornalista sosteneva che l’avventura bellica, che aveva soltanto il sapore della carneficina, delle violenze e del sacrificio di centinaia di giovani soldati, avrebbe causato la povertà degli operai e dei contadini. Sarfatti denunciava, inoltre, la totale e ingiustificata assenza delle donne in politica, “condannate” alla sofferenza o, peggio ancora, al lutto dei cari e ignorate per il mancato sostentamento. Nel 1907 Adelaide Albani fondava Fede nuova, dichiarando la propria contrarietà alla guerra libica. Albani sosteneva che la decisione di conquistare Tripoli era derivata dalle pressioni della Triplice Alleanza, non dalla reale necessità di difendere la libertà della nazione. Nelle conclusioni Forti Messina afferma come dalle sue ricerche sia emerso che, nonostante vi siano stati esempi di riviste che hanno espresso parere negativo sul conflitto in corso, la maggior parte della stampa femminile di quell’anno era uno strumento di mobilitazione dell’opinione pubblica, uno slogan a sostegno del patriottismo nazionale, di cui l’educazione delle donne era intrisa.

 

Daniela Vena

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VII, n. 73, settembre 2013)

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