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Anno VII, n 73, settembre 2013
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Letteratura contemporanea (a cura di Francesca Rinaldi) . Anno VII, n 73, settembre 2013

Zoom immagine Terra d’origine
e ricerca
di un’identità

di Federica Lento
Da La lepre, un romanzo
sui sentimenti contrastanti
di chi parte e poi ritorna


Quello del ritorno al paese natale è il tema che apre il romanzo di Giovanna Grignaffini, esordio letterario accompagnato da un dignitoso debutto al Premio “Strega”. Nel ritornare a casa, la protagonista ritrova il suo passato fatto di volti, parole e profumi familiari, quelli di una generazione delusa di sognatori dai forti ideali, che quotidianamente si cimentavano in discussioni sui temi della pace, della morte, della solitudine. Si tratta della generazione vissuta negli anni Sessanta, accompagnata dalle canzoni di Caterina Caselli, dei Beatles, di Patty Pravo e dei Doors come colonna sonora e dalle immagini dei film di Bertolucci e Peter Weir. La partenza da quello stesso paese natale chiude il testo Però un paese ci vuole. Storie di nebbie e contentezza (La lepre edizioni, pp. 400, € 18,00) e definisce il viaggio verso se stessa della protagonista.

 

Il viaggio, la fuga e il ritorno come scoperta

Francesca, quarantenne, critica d’arte, viaggiatrice o, forse meglio, girovaga, torna al suo paese d’origine, Fontanellato, e va a stare dalla zia; ancora una volta, come vent’anni prima, fugge da sua madre. Le sensazioni di alienazione, perché ormai lontana da tempo, e di riconoscimento, perché comunque le radici rimangono, la turbano, lei che già vive nel mistero di quelle buste gialle e vuote che riceve periodicamente e che l’hanno riportata a casa. Crede che a inviargliele sia qualcuno legato al suo passato, alle sue origini, che vuole comunicarle qualcosa di misterioso. Probabilmente Francesca legge in questo un segno che il proprio subconscio collega alle sue radici, probabilmente perché sente il bisogno di tornare, mossa tra curiosità e paura.

Intanto Fontanellato sembra essersi cristallizzato nel tempo: la piazza, luogo di ritrovo di vecchi rassegnati e giovani annoiati, la chiesa, la biblioteca, gli amici d’infanzia della protagonista che eroicamente hanno deciso di restare, tutto sembra immutato. C’è ad esempio Silvia, l’amica che non ha completato gli studi, quella un po’ confusa, quella della gravidanza inaspettata; e poi c’è lui, Carlo, bibliotecario filosofo, primo amore di Francesca, che è sempre rimasto a Fontanellato a osservare e fotografare la sua piccola realtà in maniera saggia e disincantata. Sarà lui a dare il titolo al romanzo quando, in maniera lucida, esprime che in fondo «bisogna andarsene, però “un paese ci vuole”», citando il Cesare Pavese de La luna e i falò («Un paese ci vuole sempre, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti»).

Carlo è l’emblema di una filosofia semplice, colui che elogia la “nobile arte della conversazione” che porta a farci delle domande e mette in discussione l’Io confrontandolo col mondo. Fuggire nelle città, “non luoghi” fatti di cemento che diventano “isole isolanti”, dove ci si trasforma in “non umani”, equivale a fuggire dalle proprie origini, metafora di un viaggio alla scoperta di se stessi, richiamandosi al leopardiano concetto di “natìo borgo selvaggio” che imprigiona la libertà individuale e al mito del viaggio di Ulisse inteso come sete di conoscenza.

 

Il sentimento ambivalente di appartenenza ed esclusione

Si sente esclusa Francesca, pur essendo tornata a casa. Si sente in difficoltà, perché non appartiene più a quella calma e oziosa vita di provincia, si sente quasi superiore e aliena ma nello stesso tempo invidia la salubrità di quella vita che, per quanto ci si sforzi di portarsi dietro, inevitabilmente si perde lungo la strada. La metafora è quella della nebbia, tipica del territorio della bassa parmense a cui appartiene il paese di Francesca e nello stesso tempo simbolo di una vita in costante ricerca della limpidezza. Si è annebbiati quando si decide di andare via per cercare un nuovo destino, si è annebbiati quando si ritorna e tutto sembra così estraneo, avvolto dalla coltre del ricordo. La tematica del “ritorno a casa” e del “fare i conti con il passato” ci scaraventa verso destinazioni che ci dividono, scindono la nostra anima nel quesito costante dell’“avrò fatto bene a partire?” e della constatazione “nel frattempo mi sono perso”, rincuorandoci allo stesso tempo perché in fondo si stava cercando se stessi e che l’impulso di fuggire probabilmente era dettato da un non riconoscimento di sé nel luogo natìo.

Eppure le radici sono importanti: ci consentono di mantenere ben saldi i piedi a terra e misurare il mondo secondo il nostro punto di vista, ma contemporaneamente ci rendono consapevoli che da quelle radici bisogna anche separarsi, continuando a camminare, a cercare, a esplorare e a essere in movimento. Il passato non deve essere cancellato, bisogna però congedarsi da questo, infatti nell’ultimo capitolo del romanzo, che ha appunto il titolo Congedi, si respira l’atmosfera di una separazione che non è definitiva ma diventa presa di spazio da colmare con esperienze e consapevolezza.

 

Federica Lento

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VII, n. 73, settembre 2013)

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