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Graziana Pecora
Anno VII, n. 68, aprile 2013
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Storia (a cura di Fulvia Scopelliti) . Anno VII, n. 68, aprile 2013

Zoom immagine Il primo Novecento
in Etiopia: lingue
e tradizioni “altre”

di Irene Nicastro
Da Aracne, il punto di vista italiano
sulla cultura di una terra di conquista


Cosa c’è di meglio di un libro per tornare indietro nel tempo e riscoprire la storia del nostro paese e, in particolare, quella pagina buia del periodo coloniale? Sappiamo che il colonialismo fu una fase storica che comportò l’espansione della sovranità del Regno d’Italia nel continente africano fra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento inizialmente in Eritrea e in Somalia, poi in Libia e infine in Etiopia: dunque, nel Corno d’Africa e nel Maghreb. È proprio sull’Etiopia che si concentra la raccolta di saggi curati da Mario Bolognari, e che portano la firma di diversi ricercatori e studiosi del secolo, nei quali si tratta essenzialmente del modo in cui gli italiani si sono relazionati nel tempo al mondo etiope. Bolognari è professore di Antropologia culturale all’Università di Messina e attualmente si occupa di studi etnografici in Etiopia. È difficile annoiarsi leggendo questa raccolta di nove saggi, intitolata Tra rimozione e rimorso. Come gli italiani hanno pensato all’Etiopia (Aracne, pp. 206, € 14,00): essi spaziano in diversi ambiti di ricerca, dallo studio geografico a quello storico, da quello antropologico a quello linguistico e letterario. La presenza italiana in Etiopia fu brutale e violenta, accompagnata però da una strategia culturale interessante. Negli anni dell’occupazione molti studiosi vi si recarono e, dando il via a nuove prospettive di ricerca nei più disparati settori scientifici, furono ben accolti anche perché non nutrivano pregiudizi razziali, a differenza delle altre nazioni colonizzatrici; infatti la dominazione italiana aveva apportato una costruzione più moderna del paese, che fino ad allora si basava su antiche tradizioni feudali.

Nella raccolta di questi saggi, Mario Bolognari mette insieme diversi risultati e riflessioni sulla colonizzazione italiana in Etiopia e le sue conseguenze in epoca postcoloniale, e lo fa prefiggendosi tre obbiettivi in particolare. Anzitutto, fornire strumenti di formazione, soprattutto per i giovani interessati agli studi sui fatti sociali. Si prova infatti a dare qualche metodo di interpretazione dei fatti della storia e della società lontano da stereotipi e al riparo dai pregiudizi. Il secondo obbiettivo è quello di contrastare un andamento degli studi italiani che tendono a gerarchizzarsi rifiutando la comunicazione tra settori scientifico-disciplinari diversi. Si analizza la comunicazione tra linguisti, storici, antropologi per migliorare la qualità del prodotto di ricerca. Infine, il terzo obbiettivo ha un aspetto politico e culturale allo stesso tempo, cioè la celebrazione dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Per molti anni, come sostiene Bolognari, la nostra Repubblica per colpa dei suoi governanti e dei suoi intellettuali, ha rimosso la questione coloniale e razziale, prima impedendo che i criminali di guerra venissero processati e dopo dando una lettura edulcorata e rassicurante dell’azione coloniale nel Corno d’Africa e in Libia. Da alcuni anni si sta lavorando per cercare di colmare questa lacuna, e con il suo libro Mario Bolognari intende offrire un suo contributo affinché si recuperi il tempo, il luogo e l’azione rimossi. Momenti drammatici che possono essere rivissuti attraverso la narrazione.

 

Le lingue etiopi e l’istruzione

Il testo è ricco di dati e documentazioni, molti dei quali trattano del ruolo che gli studiosi italiani hanno ricoperto nella formazione e nello sviluppo degli studi linguistici, filologici e letterari in Etiopia. Il saggio dedicato allo studio dell’espansione linguistica in Etiopia fornisce elementi di base evidenziando la situazione attuale e le sue possibili evoluzioni. Vi è un’attenta descrizione della lingua etiope e dei numerosi dialetti parlati nelle comunità. Gran parte del saggio è dedicata all’analisi delle lingue etiopico-semitiche, cuscitiche, delle lingue omotiche e nilo-sahariane. Alcuni degli idiomi presenti in Etiopia sud-occidentale – come l’ongota, lo shabo e il gumuz – sfuggono a qualsiasi classificazione. Possiamo, quindi, notare l’esistenza, anche se generica, di un’approssimativa suddivisione geografica linguistica: al Nord vi è una prevalenza delle lingue etiopico-semitiche, mentre il Sud è occupato dal resto delle lingue. Queste, vengono tramandate in due diversi modi: scritto e non scritto. La tradizione scritta affonda le sue radici nella storia antica, nello studio dei manoscritti ge’ez e dei testi antichi, e infine nelle letture moderne in lingue etico-semitiche, mentre i protagonisti della tradizione non scritta sono i ricercatori che raccolgono e analizzano dati, attirati da una letteratura orale molto ricca.

L’inizio degli studi sulla lingua etiope risale alla fine dell’Ottocento e ne fu pioniere Ignazio Guidi, il primo a ricercare minuziosamente le fonti scritte riguardanti la storia, le lingue e le civiltà etiopiche. Altri dopo di lui hanno condotto numerose ricerche. Tra questi troviamo i nomi dei linguisti Lanfranco Ricci e Annarita Puglielli, autrice dei primi dizionari italiano-somalo e somalo-italiano, e somalo monolingua.

Un aspetto molto interessante in Etiopia è l’istruzione. Questa, assieme ai diritti dell’infanzia, è uno degli obbiettivi di sviluppo sanciti nel 2000 dall’Assemblea generale dell’Onu. Da studi recenti si evince come l’efficacia di ogni tentativo di ridurre la povertà, rafforzare l’economia e migliorare la qualità della vita dipendono dalla maggiore o minore attenzione verso l’istruzione. Infatti, molti paesi hanno raggiunto una crescita economica in concomitanza ad un aumento della popolazione alfabetizzata. Purtroppo, però, ancora oggi in Etiopia l’istruzione detiene una posizione piuttosto ambigua tra le priorità dello sviluppo: stando ad alcuni dati vediamo che poco più della metà della popolazione è alfabetizzata. Il sistema scolastico etiope garantisce scuole governative gestite dagli enti educativi regionali, dal Ministero dell’Istruzione e dalle università. Queste, per impostare i propri progetti, fanno riferimento ai testi del curriculum scolastico elaborato dai membri regionali del centro di formazione, garantendo così la loro adeguatezza alle diverse culture presenti in Etiopia. Nel territorio sono presenti anche scuole pubbliche gestite dalla popolazione locale, finanziate da studenti e scuole fondate dai missionari religiosi e dirette dalla Chiesa ortodossa.

Nell’ultimo decennio il governo etiope si è molto impegnato per lo sviluppo dell’istruzione. Nel 1994 ha formulato una nuova politica che ha creato un programma di sviluppo per il settore dell’istruzione: esso mira a raggiungere l’istruzione primaria universale entro il 2015. Il programma ha una durata di venti anni e si divide in quattro fasi, ognuna della durata di cinque anni: 1) l’espansione dell’accesso all’istruzione ponendo l’enfasi nelle zone rurali; 2) l’ubicazione delle scuole in zone poco servite; 3) la riduzione della disparità tra i sessi nei tassi d’iscrizione e di completamento degli studi; 4) l’aumento dei finanziamenti per l’istruzione. Attenendosi ai dati di un recente sondaggio si vede come nella scuola primaria la frequenza delle bambine è minore rispetto a quella dei bambini, un dato che si ripete anche tra gli studenti delle scuole secondarie. Nella comunità etiope esistono molte difficoltà che i bambini devono affrontare per ricevere un’istruzione, e le più penalizzate sono le ragazze. Ciò accade per forti pregiudizi culturali e grandi distanze tra le abitazioni e le scuole. Per una famiglia che ha scarse possibilità economiche ogni figlio che va a scuola è una fonte di reddito sottratta al bilancio famigliare: frequentemente accade che i genitori dedichino le poche risorse disponibili per l’istruzione al figlio maschio. Si nota, però, che le donne istruite nella comunità hanno più successo nelle attività economiche, sviluppano capacità di contrattazione e sono più preparate per la prevenzione e la cura di possibili malattie che potrebbero contrarre durante il parto.

 

Il matrimonio: una questione di esigenze comunitarie

Nella civiltà etiope è radicato un forte senso della comunità, che influisce sulla regolazione del potere sociale. Questo potere è costituito da tre aspetti fondamentali: il controllo della riproduzione, il controllo sulla distribuzione del cibo e il controllo dei processi di ricomposizione dei conflitti. Questi tre aspetti si reggono su un complesso rito cerimoniale fatto di doni, basato su strutture tradizionali ma generato dagli attuali costumi matrimoniali e sessuali.

È importante sottolineare, per esempio, che la popolazione degli Oromo Arsi è divisa in gosa, cioè in clan esogamici costituiti da discendenti in linea paterna. Ogni otto anni, a turno, un gosa attribuisce il comando ad un altro. Regola fondamentale che vige all’interno di ciascun gosa è quella di svolgere una trattativa tra famiglie che le vede tutte coinvolte in un futuro matrimonio. Solitamente le due famiglie che si uniscono si affidano a un soggetto, considerato esperto, seguono una lunga e complessa trattativa nella quale si esaminano le condizioni economiche di entrambe le famiglie, lo stato di salute dei giovani e dei loro consanguinei. In questa trattativa l’obbiettivo da raggiungere è mantenere e incrementare il patrimonio per assicurare alla comunità un equilibrio economico. Si stabilisce la porzione del patrimonio che il padre della sposa deve sottrarre all’eredità che spetta ai figli maschi per costituire la dote della ragazza. Se la dote superasse le reali possibilità del padre, questo ricorrerà alla solidarietà del parentado e del gosa. I matrimoni vengono celebrati con grandi festeggiamenti, inclusi banchetti in cui il cibo viene distribuito rispettando un ordine gerarchico. Prima viene offerto agli uomini, poi alle donne e solo alla fine ai bambini. Questo modo di distribuire il cibo è anche un modo per mantenere il controllo sulle risorse disponibili: inoltre, evidenzia il potere degli uomini sulle donne e sui bambini. All’interno di una comunità etiope una ragazza può amare chi vuole, ma la creazione di una famiglia deve essere sottoposta al giudizio della comunità, affinché la prole abbia una collocazione di clan adeguata e leggibile per tutti. La distribuzione del cibo, durante la festa, è una metafora delle risorse disponibili all’interno del villaggio alle quali tutti hanno contribuito.

 

Uno sguardo agli altri aspetti

Il contributo offerto da Mario Bolognari al fine di recuperare tutto ciò che è stato rimosso fino ad ora spazia in vari ambiti culturali. Nei precedenti paragrafi abbiamo visto gli studi che sono stati condotti in ambito antropologico, linguistico e letterario, ma nella raccolta di saggi ve ne sono anche alcuni che parlano dell’aspetto geografico e storico. Ad esempio, si illustrano le conquiste geografiche italiane nel periodo coloniale e negli anni del Fascismo. La guerra italiana in Etiopia viene descritta come un conflitto che ha coinvolto tutta la nazione, come una delle più grandi imprese coloniali intraprese da una potenza europea nel XX secolo. Questa impostazione nella concezione delle operazioni belliche rimase inalterata fino ai primi mesi di occupazione, poi, raggiunti gli obbiettivi di regime e propagandistici, avviati i rimpatri e compresse le spese, la repressione sistematica contro la guerriglia raggiunse un notevole grado di efferatezza, trasformando quella che era nata come una guerra nazionale in una spietata campagna di occupazione.

 

Irene Nicastro

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VII, n. 68, aprile 2013)

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