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Anno VII, n. 65, gennaio 2013
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Problemi e riflessioni (a cura di Angela Galloro) . Anno VII, n. 65, gennaio 2013

Zoom immagine Diversi ma uguali:
vivere e percepire
bene le disabilità
proprie e altrui

di Rossella Michienzi
Testimonianze sui diversamente abili:
un saggio edificante di Ferrari editore


All’estero se ne parla già da un po’, nel mondo anglosassone da parecchio tempo. In Italia, invece, i “Disability studies” costituiscono ancora un terreno poco esplorato ma, di certo, in rapida ascesa. Cosa significa essere disabili? Ma, soprattutto, cosa significa essere disabili in una società come la nostra, spesso incline ad accentuare i disagi, purtroppo evidenti? Perché si tende ad emarginare o, peggio, considerare “diverse” le persone che per un motivo o per l’altro hanno delle disfunzioni fisiche o psichiche? Di certo, c’è una stretta relazione tra la condizione di disabilità del soggetto e quelle che sono, invece, le sue percezioni rispetto all’esterno. «Pensiamo… che purtroppo persiste la paura del diverso e che, molto spesso, nelle situazioni quotidiane noi trasmettiamo questa paura. La discriminazione può essere vissuta come una forma di violenza». Queste, le veritiere parole di Monica Zaulovic, parole toccanti che invitano alla riflessione i lettori di Io… voglio capire! (Ferrari editore, pp. 96, € 12,00), un libro di notevole interesse socioculturale che affronta la disabilità a 360°. Come l’autrice più volte sottolinea, la discriminazione viene inevitabilmente percepita da chi è, per così dire, “diverso”. Tanti disabili (portatori di handicap, affetti da disfunzioni cerebrali o fisiche) avvertono in maniera forte, pressante, lo sguardo altrui. In Inghilterra qualche tempo fa veniva trasmesso uno spot televisivo volto alla sensibilizzazione del pubblico: improvvisamente veniva “lanciata” l’immagine di un bambino senza gambe né braccia, occhi pieni di lacrime e accanto alla sua foto un’affermazione agghiacciante: «their eyes are like acid on my skin», gli occhi di coloro che si posavano sul corpicino di quel bambino erano da lui percepiti come acido sulla pelle, come qualcosa di distruttivo, lacerante. Ecco, il libro di Monica Zaulovic, donna poliedrica, scrittrice, curatrice e critica d’arte oltre che operatrice socioeducativa, guida i lettori attraverso un percorso fatto di riflessioni, in cui chi legge impara a confrontarsi con temi quali l’educazione, il timore della discriminazione, l’accettazione dell’esistenza e, ovviamente, della disabilità.

 

Il coraggio di guardare in maniera “differente”

Monica Zaulovic racchiude nei tredici capitoletti del suo saggio quello che potrebbe essere definito come “il suo sentire”: qui si fondono l’irrefrenabile passione per la scrittura e una grande sensibilità che caratterizza l’autrice sia in quanto operatrice socioeducativa che, naturalmente, in quanto persona.

Il suo originale lavoro si presenta come un efficace vademecum emozionale e relazionale. Zaulovic mette insieme svariate e reali esperienze, si pone dei quesiti, cerca delle risposte e intanto tenta di guidare il lettore attraverso le difficoltà dell’handicap per quanto attiene alla sua forma, all’accettazione dell’esistenza e a quegli aspetti che, spesso, sembrano avere un’importanza minore, come ad esempio l’ignoranza della presenza di vari Canali speciali (riprendendo il titolo di una sezione del saggio), non solo di comunicazione, che hanno i diversamente abili, ed il loro ed il nostro utilizzo di questi. Sostanzialmente, si tratta di una specie di “collage” di tutte le possibili implicazioni, discriminazioni incluse, relazionate a delle etichette e ad una categoria precisa: quella dei diversamente abili.

L’obiettivo del testo? Dare dei validi input su come rapportarsi con le persone che vivono dei disagi e sull’importanza dell’eliminazione della paura e dell’ostentato buonismo all’interno di una società che, consapevolmente o inconsapevolmente, rigetta la “diversità”. A questo punto c’è da chiedersi: è un disagio, una malformazione a fare di una persona un diversamente abile o è la società a farlo sentire tale? Domande che nascono spontaneamente man mano che l’occhio scorre le pagine dell’interessante lavoro di Monica Zaulovic. Come sottolinea anche Susan Wendell, nota studiosa contemporanea, nel suo saggio The social construction of disability, la disabilità spesso è il prodotto di vere e proprie costruzioni sociali.

 

La disabilità in una società affetta da una “psicosi della perfezione”

Monica Zaulovic lancia ai suoi lettori tanti piccoli segnali, ripercorrendo storie, episodi, leggende, crea una guida alla riflessione che ognuno può interpretare come meglio crede. Luigi, affetto dalla sindrome di Angelman caratterizzata da dismorfismi facciali, un grave ritardo mentale e diversi disturbi del linguaggio; Sara, affetta da disturbi mentali ed autistici; tante esperienze si intrecciano in questo piccolo saggio fino ad arrivare a Nicoletta, una ragazzina colpita da una rara patologia che le permette una funzionalità cerebrale molto limitata sia nell’elaborazione dei pensieri e che nella mobilità di arti e lingua. Nicoletta passa le sue giornate a riflettere. «Io sinceramente non mi sento handicappata, disabile… o altro […]. Il mio handicap è il prodotto degli altri», questi i suoi pensieri: che non sia proprio così?

La società odierna sembra effettivamente ossessionata da un ideale supremo di bellezza e di perfezione, dal quale viene escluso tutto ciò che può ritenersi debole, brutto, disabile. L’essere umano contemporaneo, che vive nell’era del trionfo della chirurgia estetica (attenzione: estetica, non plastica, che è cosa ben diversa), tende a rifiutare ciò che non rientra nella sua idea di perfezione e ciò che potrebbe apparire “contaminante”. Sembra quasi che si riproponga un modello di “neoeugenetica”. L’eugenetica è quella disciplina che si occupa del miglioramento della razza umana attraverso la manipolazione dei suoi geni o attraverso l’incrocio selettivo delle razze migliori. Tale disciplina, che ne La Repubblica di Platone e nel sistema spartano era invece intesa come strumento di miglioramento generale delle condizioni di vita, è oggi molto contrastata, in quanto il suo intento implicherebbe risvolti razzistici. Per sopravvivere bisogna essere forti, in salute e belli. Una nuova “legge della sopravvivenza”? Bisogna contrastare quest’atteggiamento di paura rispetto all’“altro”, atteggiamento che ha, tra l’altro, radici ben profonde in filosofie passate. Si ricordi, per esempio, la tradizionale distinzione classica che si faceva tra l’anima ed il corpo: Platone considerava il corpo come il principale elemento di disturbo per lo spirito, la sua prigione. Chiunque guardi ad un modello di “perfezione” percepisce una profonda divisione tra il proprio corpo e la propria anima, e qui, come in molte altre cose, i disabili possono aiutarci a guardare al di là delle apparenze. I disabili hanno un vantaggio: al contrario delle persone “abili”, finiscono con l’accettare il proprio corpo, mentre queste ultime, rincorrendo l’ideale della perfezione e rifiutando la propria esteriorità rischiano di smettere di essere se stesse per assomigliare a qualcuno che in realtà non esiste! La diversità non può essere considerata come una minaccia, ma piuttosto come una preziosa fonte di ricchezza.

Il saggio di Zaulovic offre validi spunti su diverse problematiche, quelli qui proposti vogliono essere dei piccoli input interpretativi. Una lettura scorrevole, un linguaggio semplice impreziosito da interessanti “aneddoti educativi”. Non può che rimanere impressa la leggenda del tagliapietre descritta dall’autrice: un tagliapietre insoddisfatto della sua condizione socioeconomica vuole diventare un ricco mercante, e con suo grande stupore all’improvviso vi si tramuta; poi vede un alto ufficiale e desidera diventare come lui, e anche stavolta ci riesce; poi vede il sole e inizia a desiderare di brillare in cielo, però, assetato di potere, vuole trasformarsi in una nuvola per non esserne offuscato ma per offuscare; poi ancora sogna di essere il vento per non esser spazzato via, ed infine una pietra che il vento non riesce a spostare. La pietra non può però sopravvivere al martellino del tagliapietre. Morale: ognuno di noi svolge un ruolo fondamentale nella società, nessuno è inutile o superfluo, abile o disabile che sia, solo lo sguardo altrui può far sprofondare in una condizione psicologica di disagio.

 

Rossella Michienzi

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VII, n. 65, gennaio 2013)

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