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Anno VII, n. 65, gennaio 2013
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Comunicazione e Sociologia (a cura di Ilenia Marrapodi) . Anno VII, n. 65, gennaio 2013

Zoom immagine Usi e costumi
in rime e note

di Maria Rosaria Stefanelli
Da Qualecultura,
ritrovare un’identità
tra antiche melodie


«I canti popolari sono gli archivi del popolo, il tesoro della sua scienza, della sua religione, della vita dei suoi padri, dei fasti della sua storia, l’espressione del cuore, l’immagine del suo interno, nella gioia e nel pianto, presso il letto della sposa ed accanto al sepolcro». Con queste parole, il filosofo e teologo tedesco Johann Gottfried Herder ha spiegato l’importanza dei canti popolari, non semplici espressioni di una porzione di società umile e retrograda, ma molto spesso l’insospettato ricettacolo della più antica cultura di un popolo e delle sue radici.

Il crescente interesse per la musica e le tradizioni popolari a cui stiamo assistendo negli ultimi anni è un importante segnale di come si stia diffondendo l’intuizione che esse siano un validissimo strumento per conoscere un’etnia e studiarla da un punto di vista antropologico ed etnomusicologico. Sempre secondo Herder, «quanto più è selvaggio, cioè vivo e liberamente operante un popolo, tanto più selvaggi, cioè vivi, liberi, sensibili e liricamente operanti devono essere i suoi canti».

Il lavoro di ricerca di Vittoria Schiavello è stato guidato da simili intenti: recuperare la più antica identità di un popolo, nella fattispecie di quello vibonese, cui la studiosa appartiene. Risultato di questa ricerca è stato il volume Linguaggio e musica nei canti popolari. Una ricerca nel Vibonese (Qualecultura, pp. 185, € 18,00), un viaggio attraverso le tradizioni più arcaiche del vibonese che vengono ripercorse seguendo due grandi filoni tematici: quello religioso, che occupa la prima parte del libro (la più consistente), e quello propriamente non religioso.

 

Tra sacro e profano

Il segmento testuale dedicato ai canti sacri si presenta come un unico grande capitolo, i Canti religiosi, articolandosi così: preghiere della sera, canti in onore della Madonna (con relative sottosezioni dedicate, nell’ordine, alla Madonna del Carmine, alla Madonna delle Grazie, alla Madonna Addolorata), canti e orazioni sulla passione di Cristo, canti in onore dei Santi (S. Nicola e S. Rocco), canti dialettali della vita dei Santi (S. Marina, S. Brigida, S. Rosalia) e, infine, i canti di Natale. La sezione relativa al filone profano si presenta, invece, suddivisa in quattro capitoli: Canti d’amore, Canti di sdegno, Canti di sventura, Canti faceti, stornelli, in cui si susseguono tutte queste tipologie di componimenti; seguono poi Ninne nanne, filastrocche e canzoncine, Canti di tonnara e, infine, Orazioni sul giudizio universale.

Gli studi sono stati condotti nella città di Vibo Valentia ma anche nel suo comprensorio, precisamente nei paesi di Badia di Caroni (Limbadi), Maierato, Pizzo Calabro, San Gregorio d’Ippona e Stefanaconi.

I canti, suddivisi per argomento, vengono raggruppati mettendo in evidenza le varianti locali, spesso minime. Il canto di riferimento è accompagnato dallo spartito (ottenuto a partire dalle registrazioni effettuate con l’aiuto del programma musicale Finale), le varianti, invece, sono riportate con il solo testo, poiché la partitura musicale è pressoché identica.

La Schiavello ha iniziato la sua ricerca prendendo le mosse da testi già editi, in particolare dai lavori di Domenico Antonio Famà e di Raffaele Lombardi Satriani, opere che hanno il merito di dare grande risalto allo studio e all’esegesi dei testi. La particolarità del lavoro della Schiavello è, invece, quella di essersi concentrata sulla parte musicale, spesso trascurata perché la comune tendenza è porre l’accento sulla parte testuale. Per compiere quest’operazione ha attinto a fonti molto dirette: le persone anziane, vivi testimoni di un patrimonio in via di estinzione ma ancora ben chiaro nei loro ricordi d’infanzia e giovinezza.

 

Dalla poesia omerica a quella popolare

Munita di un registratore digitale, la studiosa ha convinto – vincendone il pudore e la diffidenza – le persone incontrate a cantare o a recitare lunghe filastrocche: il risultato è stato la creazione di un cd, composto da ben cinquantacinque tracce, che accompagna il libro e costituisce la parte più importante ed interessante del presente lavoro. Si tratta, molto spesso, di testi notevolmente lunghi, ed è sorprendente constatare come essi siano ancora così nitidi nella mente degli intervistati. I canti presi in esame sono caratterizzati da una evidente ripetitività e presentano delle strutture quasi sempre identiche, che costituiscono un grande ausilio per la memoria (nell’Introduzione al testo l’autrice definisce questo processo come «variazione dell’identico»). È lo stesso principio alla base della tecnica formulare proposta dal rivoluzionario linguista Milman Parry all’inizio del ʼ900, il quale aveva osservato i cantori analfabeti della Jugoslavia notando che, pur non sapendo leggere né scrivere, erano in grado di memorizzare lunghissimi canti e tramandarli esclusivamente per via orale. Il segreto era, appunto, la frequenza di espressioni, frasi, epiteti, circonlocuzioni che si ripetevano in forma identica o molto simile consentendo al cantore di avere un repertorio a cui attingere prontamente nelle proprie esecuzioni. Questa teoria costituì una grande innovazione per gli studiosi della cosiddetta “questione omerica”, in quanto anche nell’Iliade e nell’Odissea sono presenti numerosissime formule fisse, perciò, se l’intuizione di Parry aveva la sua valenza a proposito dei cantori jugoslavi, lo stesso discorso poteva essere applicato ai poemi omerici. Ciò può essere parimente valido per i canti tradizionali dialettali: come spiegare, altrimenti, l’abilità mnemonica degli anziani analfabeti o semianalfabeti, depositari di immensi patrimoni tramandati, da intere generazioni, in forma esclusivamente orale? Si trovano continue conferme di ciò sfogliando le pagine del testo della Schiavello, ma soprattutto ascoltando i brani contenuti nel cd. Il carattere formulare è evidente dalla struttura dei versi e dal modo in cui essi vengono eseguiti: il verso più comune delle canzoni è l’ottonario, uno dei versi più “popolari” della metrica italiana, dall’andatura molto cantilenante che, anche in assenza di un accompagnamento musicale, suona quasi come un canto. È la struttura dei versi, sempre uguale a se stessa, a fornire agli esecutori una sorta di “motivetto” ideale su cui imbastire la recitazione della filastrocca, le cui sillabe vengono scandite da accenti che sembrano musicali, non intensivi, esattamente come nell’esametro omerico.

Per tale ragione, le numerose strofe delle lunghe nenie non costituiscono un ostacolo per la memoria ma vengono assimilate senza troppe difficoltà.

Particolare interesse suscita, oltre alle canzoni o alle filastrocche in sé, il racconto che le accompagna: gli anziani intervistati, immensi pozzi di ricordi sopiti, si illuminano di fronte alla possibilità di condividere il proprio passato con persone disposte ad ascoltarle, non annoiate dalle loro “chiacchiere” ma anzi interessate e partecipi. Essere ascoltati è un immenso dono che consente loro di compiere un viaggio a ritroso in un passato che si fa presente grazie all’incontenibile gioia della condivisione. La voce delle persone intervistate tradisce questi stati d’animo e molti altri, caricando il presente lavoro di una sana, genuina umanità.

 

Maria Rosaria Stefanelli

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VII, n. 65, gennaio 2013)

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