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A. XVIII, n. 199, aprile 2024
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Dibattiti ed eventi (a cura di Natalia Bloise)

Il monsignor Bregantini! Perché il trasferimento?
di Saverio Romano
Una “normale” promozione del vescovo che si batte contro la ’ndrangheta
desta allarme nell’opinione pubblica: diffidenza verso lo stato e il Vaticano


Di solito il trasferimento di un vescovo non suscita particolari reazioni nell’opinione pubblica. I motivi che lo determinano possono essere diversi, compresi il naturale avvicendamento o la carriera. Stessa cosa può dirsi per il trasferimento di un prefetto o di un magistrato. Nel caso di Giancarlo Maria Bregantini, come ci è stato autorevolmente spiegato, si è trattato di normale routine: promozione ad arcivescovo e, quindi, inevitabile l’avvicendamento. Eppure il trasferimento del vescovo di Locri-Gerace ha fatto rumore, ha sollevato un bel polverone e lasciato sgomenti tanti calabresi. Sgomenti per non averne compreso le ragioni. Sgomenti per la sensazione d’abbandono che la notizia ha suscitato nel loro animo. Sgomenti perché questo trasferimento arriva come un colpo di maglio sulla loro speranza di un futuro più dignitoso. Sgomenti perché si aggiunge alla lunga serie di provvedimenti, adottati in questi ultimi mesi, che hanno lasciato cicatrici profonde: a marzo l’avocazione dell’inchiesta “Poseidone”; a luglio il trasferimento del super prefetto antimafia, Luigi De Sena; a ottobre la richiesta di trasferimento per il pubblico ministero, Luigi De Magistris; a novembre l’avocazione dell’inchiesta “Why Not” allo stesso magistrato. Ogni singolo provvedimento ha suscitato vere e proprie bufere mediatiche, al punto che risulta difficile inquadrarli all’interno di una presunta “ordinaria amministrazione”. E la ragione di questa diffidenza è facile da intuire.
Un unico filo conduttore, sebbene da profili istituzionali diversi, ha legato l’azione di questi tre uomini: la lotta intelligente, tenace e spietata, alla ’ndrangheta e ai comitati del malaffare, che spadroneggiano sul territorio saccheggiandone le risorse. Azione che, non saprei dire se e quanto dai tre volutamente concertata, si è dimostrata proficuamente sinergica. Ci auguriamo che le scelte compiute dalle gerarchie dello stato e del Vaticano siano state dettate dall’assoluta buonafede e operate nell’interesse generale dei cittadini e dei fedeli calabresi.

Si lotta a favore o contro la criminalità organizzata?
È difficile comprendere questo succedersi di eventi a un ritmo così incalzante, non è facile capirne l’opportunità e la necessità storica. Nel momento in cui, grazie all’azione di De Sena, lo stato stava recuperando credibilità nella lotta alla ’ndrangheta, la magistratura, per merito di De Magistris, sembrava essersi finalmente decisa a scoperchiare quel “vaso di Pandora”, dove albergano gli intrallazzi del malaffare tra politica, criminalità organizzata, imprese e massonerie; la chiesa, inoltre, per mezzo di Bregantini, aveva ridato fiducia e speranza ai giovani della Locride e, più in generale, ai calabresi. Allora perché interromperne così drasticamente e quasi contemporaneamente il percorso?
Monsignor Bregantini, seppur con “fatica”, ha obbedito alla richiesta del Vaticano. Quanto dolore, che è fatica dell’anima, deve provare per essere costretto ad abbandonare l’impresa – e con essa quei ragazzi e quelle ragazze che vi hanno creduto – di contribuire alla rinascita di un territorio, qual è quello della Locride. E il suo lavoro aveva cominciato a produrre frutti concreti, tangibili. Ma si sa: le vie del Signore, quasi sempre, sono imperscrutabili per i comuni mortali.
Alcune voci, accreditate da ambienti ecclesiastici, lasciano intendere che le ragioni del trasferimento di Bregantini non siano da ricercare in una normale attività di routine e potrebbero avere una diversa chiave di lettura: il vescovo sarebbe entrato nel mirino della ’ndrangheta. Il trasferimento in un’altra regione d’Italia, in questo caso, risulterebbe doveroso e utile a salvargli la vita. Ma perché egli – che ha esercitato l’attività di vescovo di Locri-Gerace da circa quindici anni e ha sempre combattuto frontalmente la ’ndrangheta – rischierebbe la vita proprio adesso? Qual è il fatto nuovo che avrebbe indotto il Vaticano a prendere, oggi, una decisione che ha suscitato un sentimento di rabbia in tanti, fedeli e non, calabresi? Sono in tanti che hanno inteso – a torto o a ragione – il trasferimento di De Sena, la richiesta di trasferire De Magistris e le avocazioni delle inchieste “Poseidone” e “Why Not”, come segnali di arretramento dello stato nella lotta alla criminalità organizzata e ai comitati d’affari politico-imprenditoriali. È bene tener presente che la Calabria è stata ed è, tuttora, destinataria di ingenti finanziamenti comunitari e che le inchieste avocate tendevano a smascherare i sodalizi criminali, tesi ad accaparrarsi illegalmente tali risorse. Se il Vaticano, così come hanno fatto tanti cittadini, ha supposto un disimpegno dello stato sul fronte della lotta alla criminalità, allora la scelta di trasferire Bregantini avrebbe un senso compiuto e ineludibile.

La risposta dei calabresi è sempre più determinata!
Giova, adesso, ricordare l’insegnamento che ci ha lasciato Giovanni Falcone, il quale nella solitudine istituzionale in cui si era venuto a trovare, aveva letto profeticamente la propria condanna a morte per mano della mafia: «Si muore perché si è soli […], perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno».
Nonostante i recenti avvenimenti abbiano rischiato di minare, ulteriormente, la fiducia dei calabresi verso le istituzioni, si cominciano a intravedere segnali estremamente incoraggianti. Non si respira più la stessa aria di rassegnazione a un destino avverso, che condanna all’emigrazione quasi tutti i figli di questa terra.
Grazie all’attività e alla passione dei “Bregantini”, dei “De Magistris” e dei “De Sena”, tanti calabresi hanno preso coscienza di quanto già sapevano. E adesso sono disposti a battersi e scendere in piazza, a Locri come a Catanzaro, a Crotone come a Cosenza, per difendere la loro dignità di uomini liberi. Sono disposti a lottare per affrancarsi dalla schiavitù del “capobastone” di turno e del politico corrotto, cui devono mendicare quel posto di lavoro, che vuol dire pane per se stessi e per i propri figli. Adesso i calabresi sanno, al di là di verità processuali, che potrebbero non arrivare. Molto probabilmente continuerà a esserci chi cercherà di ostacolare l’iter delle inchieste e chi manovrerà nell’ombra per magistrati e investigatori troppo curiosi. Ma, ormai è troppo tardi. È come nella famosa poesia di Bertold Brecht, La scritta invincibile, che non si riesce a cancellare dal muro senza levarlo. E non potranno più abbatterlo, perchè bisognerebbe trasferire tutti i calabresi, che hanno deciso di alzare la testa e camminare con la schiena dritta. E saranno sempre di più.

Saverio Romano

(www.bottegascriptamanent.it, anno I, n. 4, dicembre 2007)
Collaboratori di redazione:
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi
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