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Anno VI, n. 61, settembre 2012
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Letteratura contemporanea (a cura di Francesco Mattia Arcuri) . Anno VI, n. 61, settembre 2012

Zoom immagine Un bambino e una canzone:
la morte e il senso di colpa
ad incatenarli per sempre

di Francesca Ielpo
Violino edizioni presenta un romanzo
incentrato sul ricordo di un’estate


La stagione dell’anima è l’estate. Il sole condensa la fluidità del tempo. Il mare frammenta lo spazio in pulviscoli luminosi e profondi, portando, colui che vi si trova immerso o colui che lo contempla, a comprendere realtà nascoste dietro un’apparente pausa dalle noiose e doverose occupazioni dell’anno.

Nonni, genitori e figli hanno approcci diversi all’estate, ma tutti, in un certo qual modo, ne subiscono il fascino. Agosto termina e con esso si pone fine ad una serie di disposizioni mentali, che non hanno fatto in tempo a trasformarsi in banale routine. Da qui, il rammarico e la nostalgia per un tempo che è sempre a metà ed è destinato a continuare solo saltuariamente, quando abbiamo voglia di gareggiare con il passato, negli anfratti della vita.

Luca Guardabascio, regista e autore per cinema e tv, nel romanzo Ancora un’estate o un’estate ancora (Violino edizioni, pp. 220, € 14,00), riporta alla ribalta i pezzi galleggianti della sua estate del 1983. In modo piuttosto autobiografico. Ma, questo, non intende specificarlo e a noi non è preteso saperlo.

 

Da Eboli a Sulciano o, da Sulciano a Eboli

“Calimero” o “Lucaz” o “Napoli”, o meglio Luca, è il protagonista. È un bambino di nove anni che con la sua famiglia, nel 1983, villeggia a Sulciano, località immaginaria. Così viene chiamata nel libro una piccola località marittima delle Marche e cioè Pedaso. Abitualmente vive ad Eboli, in provincia di Salerno (ecco spiegato il sarcastico soprannome “Napoli”).

Come ogni anno, trascorre la sua estate al casello ferroviario di proprietà familiare. Oltre ai suoi parenti, tra cui il portiere Stefano, si ritrova con i suoi amici del luogo: vigili dai motti alla portata di mano o adolescenti incalliti con spesso vari Playboy in tasca.

E ancora, le ragazze con cui sperimentare il sesso, la musica e tutto ciò che, con il passare del tempo, diventa peculiarità della giovinezza.

Si gioca, si scherza, si ride. Solo un personaggio sembra trasmettere malinconia e tristezza, tipiche di vuoti esistenziali che non si riescono a colmare. È Giovanni, il cugino abruzzese di Luca. Si fuma le canne e compone. È un drogato: per il parroco e per tutti. Luca spesso conversa con lui e sembra comprenderlo più di tutti. Più della madre e delle sorelle. Così il giovane rivela a “Calimero” le parole della sua canzone, che s’intitola: Ancora un’estate o un’estate ancora. Da qui, il romanzo prende una piega diversa e tutto sembra ricollegarsi a quel testo.

Ma si va incontro alla morte e quella canzone non verrà mai suonata. Il misfatto avviene di nascosto, quando Giovanni, Luca e Stefano decidono di avventurarsi in mare. Il compositore ha una foto che testimonia la poca bravura del calciatore (Stefano in porta intento a non parare una palla) e il reclamo violento di quella foto da parte del portiere fa affogare Giovanni, che non sa nuotare.

Il corpo viene ritrovato più tardi, e Luca e Stefano non parlano e non parleranno mai di quell’accaduto. Tutto, in un istante e oltre, si perde nell’abisso di ciò che avrebbe dovuto ricordare una semplice vacanza, una delle tante a Sulciano.

Tutto trascorre, tutto va: «La luna si allontanò in cielo degradando verso l’arancio e anche noi partimmo». Luca e la sua famiglia ritornano a Eboli, per poi ritornare lì l’estate successiva: Autunno, inverno e ancora estate, come il titolo di uno dei capitoli finali suggerisce. E ritornare ancora in Oggi o, magari domani, in cui il protagonista è ormai un anziano ex senatore. Così il contesto storico, interessante background, viene alla ribalta. Luca bambino ha visto che: «i grandi commentarono le notizie dei giornali, che non facevano altro che esaltare il nuovo capo di governo Bettino Craxi»; Luca grande, invece, si vede rivolte queste parole: «Non mi piacciono le tue idee politiche, Napoli. Quando è caduto il governo, sono stato felice soprattutto che ti abbiano fatto fuori». E continuando: «Dovevi per forza metterti con una soubrette adolescente?».

Ogni riferimento non è frutto di casualità, ed è sicuramente sintomo di ottime inventiva e capacità scrittoria.

La stessa canzone ritorna alla fine del racconto. Quel foglietto stropicciato, su cui è impresso il testo del brano, resiste alla corrosione del tempo. Il nostro politico fallito, dopo un revival delle conoscenze marchigiane, visiona un film proiettato da un vecchio proiettore del cinema del posto, quasi alla maniera di Nuovo cinema Paradiso. In realtà è immerso nella lettura di quel biglietto ingiallito che imprime beati ricordi infantili e stagnanti sensi di colpa. I suoi occhi scorrono su: «Ancora un’estate o un’estate ancora / Tra nidi di vespe e sorbetti alle more / Tra amici, amori, famiglie vaganti / Canzoni, chitarre son qui per stonare / L’estate non torna e noi andiamo avanti. / Sorpresi dal vento, dai suoni e dai canti. / Ancora un’estate o un’ estate ancora / Tra nidi di vespe e sorbetti alle more / Mi alzo al mattino con grande dolore / D’estate… / C’è sempre chi vive ma anche chi muore».

 

L’arte del ricordare

Se da una parte si legge di una canzone mai suonata, dall’altra sembra di ascoltare fino a quando non chiudiamo il libro, Vamos a la playa dei Righeira, tante le volte che viene citata.

Siamo di fronte una vera e propria resurrectio di un’estate del 1983: le sue atmosfere, la sua gente, i suoi prodotti ed eventi cult.

Una resurrectio che ha la funzione di redentio: un ricordare e un trascrivere che smussi l’acuta immagine di un evento rintracciabile in un aberrante senso di colpa.

Da sottolineare i continui riferimenti ad orari precisi (spesso coincidenti con l’arrivo di treni), che riportano a situazioni che sembrerebbero intatte, mai svanite: «Zia Melania mi guardò negli occhi con il suo leggero strabismo, che non ressi, e poco prima che sopraggiungesse il treno delle 11 del sabato mattina per Bologna, la donna guardò il figlio».

Infine, i disegni di Luca risalenti a quell’estate: la realtà traslata dall’immaginazione di un bambino. Solo dopo, macchiata dalla morte.

 

Francesca Ielpo

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VI, n. 61, settembre 2012)

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