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Anno VI, n. 60, agosto 2012
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Letteratura contemporanea (a cura di Francesco Mattia Arcuri) . Anno VI, n. 60, agosto 2012

Zoom immagine La droga e la vita: crescere,
scappare, ritornare, amare,
alla scoperta dell’essenza

di Francesca Ielpo
Da Ferrari editore un romanzo
sulla fatica di vivere e ricominciare


Le menti più platoniche ricercano libri in cui l’essenza si nasconde dietro al vacuo, e questo, così imponente, definisce vite che appaiono tristi e solitarie. In realtà, sono fiumi in piena, dilaganti di emozioni, di pensieri fluidi inafferrabili che ricoprono l’anima.

L’essenza delle cose prevale sugli accadimenti del quotidiano. Quante volte su un autobus colmo di gente, ci stupiamo del nostro senso di nausea per un’estraneità e un disagio incombenti. Che disordinano il nostro mini sistema. Questa, un’interpretazione dell’essenza. Sulla stessa scia, Anna Maria Fabiano riporta nel suo libro, Immagina una piazza (Ferrari editore, pp. 160, € 15,00), una possibile interpretazione della vita. La parte più essente, per l’appunto, più difficile da cogliere. Lo fa, attraverso il vissuto di una ragazza. Donna persa e perdente. Ama la vita eppure costantemente se ne allontana. Eroina dell’attualità ed antieroina della letteratura. Ma se dentro le pagine che leggiamo troviamo vissuti inespressi e succubi di immaginari desiderati, annusati e poi lasciati, allora i personaggi inventati sono l’espressione metafisica di una realtà deformata. Letteratura e vita si aggrovigliano, come secondo la migliore tradizione scrittoria.

 

Alla volta di sentenze introspettive: metafisica e metaletteratura

«Non saranno spiegazioni ordinate, miei signori della corte, non credo di averne la forza né la voglia. Non sono lucida, eppure lo sono. Lucida e stanca, come quando a notte fonda, mentre una luna intera occupa gran parte del cielo, ci si perde a contemplarla e si prova un assurdo sentimento di impotenza». L’intento della protagonista è farsi conoscere, forse per conoscersi. La sua piena consapevolezza di essere dà frutto ad una trama, dal sapore esistenziale. In cui le ampie riflessioni della protagonista si intrecciano a pochi, ma sconvolgenti e densi, accadimenti.

Lei è vittima della droga. Ma per prima del suo disagio a stare nel mondo. Cerca appigli e soluzioni. Si avvicina alternativamente a chi la distrugge e a chi la salva.

«Non ho ancora un archivio e non posso consultare una teoria di idee lunghe o sistemate in antologie precise»: la confusione, il ricadere nel buio per poi correre di nuovo verso la luce, a tratti perennemente ombrosa e poco chiara, è causa di un dialogare in prima persona e costituito da continue apostrofi a giudici, avvocati, lettori immaginari e altri personaggi chiave, che, spolverati dall’inspiegabilità e palesemente chiari e presenti, offrono pace.

Uno di questi è Madame, che la cura e la porta con sé, allontanandola da quella piazza, dove era solita bucarsi: «Supponi quella piazza, e Madame con me…».

Con i suoi tratti misogini, la protagonista odia ciò che è convenzionale e ovvio. Ha bisogno di spiegazioni e nello stesso tempo di un caos che si generi da solo e involontariamente. Si arrende più volte ma poi ricomincia la sua battaglia.

Dalla metropoli caotica si sposta in campagna. Sembra assuefarsi alla natura.

L’autrice stessa, portatrice di una sensibilità quasi sovraumana, ricalca ancora di più lo stile contemplativo, presente già dal principio: elementi naturali si avvicinano all’anima e rendono la protagonista un elemento aereo. Lei è l’aria che respira, il vento che la scuote e il mare che osserva, i colori che la circondano (il verde o l’azzurro dei maglioni, il bianco candido di una pagina vuota, o il bianco unto di una camicia sporca: particolari che si appellano alla logicità dei pensieri più nascosti).

L’autrice dell’opera conosce bene il suo mestiere e sa che scrivere è il dare vita ad un’altra vita. Si tratta di un parto letterario, dove gli immaginari neonati volgono lo sguardo al mondo, si nascondono dalla luce del sole e godono di quella lunare, spesso come chi li ha partoriti. Così, la protagonista scrive. Dentro se stessa o su pagine poi fatte a pezzetti.

La scrittura parla di essa, all’interno di Immagina una piazza. La stessa suddivisione in capitoli rivela la consapevolezza da parte della ragazza, non solo di rivolgersi a terzi (lettori, avvocati, giudici), ma di scrivere una storia, che come tale deve far fronte a delle esigenze scrittorie, per un buon andamento e funzionamento del racconto (a proposito delle sue esperienze, in questo caso). Dal profondo sentimentale ci troviamo immersi nel profondo grottesco (quasi a sottolineare quanto l’atto dello scrivere, istintivo per natura, debba asservirsi, paradossalmente, a delle regole), attraverso titolazioni, come: E siamo ancora a pagina tre… che vuoi che faccia?. O interi passi: «E chi la vuole l’anima. Avere un’anima costa. Ma questo è un altro discorsetto, forse da pagina cinque o da pagina dieci o mille. O da pagina zero».

 

Presenze romanzesche e musicali

Vi è una dolce e vecchia doppia presenza in lei data da Jane Eyre, protagonista dell’omonimo romanzo di Charlotte Bronte. Al perché di quest’immagine, Anna Maria Fabiano così risponde nelle note: «l’indipendenza e la passionalità della protagonista sono un continuo parallelo con l’anelito, purtroppo mai realizzato, della mia protagonista di salvarsi dalla paura di vivere».

Continui i riferimenti anche alle canzoni di Renato Zero: in particolar modo ritorna più volte Manichini, che offre un’immagine-emblema atta a rappresentare il vuoto interno di esseri viventi che si affannano nella ricerca di un’anima.

La fatica di vivere altro non è, se non questo? «Perché avere un’anima costa».

La donna che ci ha parlato finora, pagherà e si batterà per farlo. Pur di vivere, e poi morire. A noi lettori non resta che immaginare quella piazza, quella vita, quella donna, per riconoscerci in quello stesso assordante vuoto. «Ma proverò. Sì, dai, ci proverò. Chissà mai che non trovi quella disumana umanità che si è dimenticata di procedere e che si è persa nelle note a margine di mille filosofie distratte. Bella espressione, vero? Ti piace, mia Madame? Chissà mai. Niente è più bello del niente che sa di niente. Niente è più tutto di niente. Vedi. Ho inventato un percorso».

Bisogna fare di chi ha rifiutato di assurgere e imparare nozioni di vita, metodiche e superficiali, degli esempi da seguire, e con loro si possono immaginare piazze, per contemplare le vite altrui.

 

Francesca Ielpo

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VI, n. 60, agosto 2012)

Redazione:
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