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Anno VI, n. 57, maggio 2012
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Problemi e riflessioni (a cura di Angela Galloro) . Anno VI, n. 57, maggio 2012

Zoom immagine L’omosessualità:
storie del Dopoguerra

di Sara Meddi
Per il Saggiatore, una realtà taciuta
prima della rivoluzione sessuale


Finalmente una storia dell’omosessualità in Italia, e sugli omosessuali italiani, quelli nati e cresciuti prima dei movimenti di liberazione sessuale. Quelli che, volgarmente, venivano chiamati “froci”. Il libro di Andrea Pini, Quando eravamo froci (il Saggiatore, pp. 384, € 25,00), descrive nero su bianco l’evoluzione dell’omosessualità dal Dopoguerra a oggi, raccontata con garbo e ironia e, soprattutto, ben supportata da un’abbondanza di documentazione di vario genere, dalle interviste alle cronache giudiziarie. Fa sorridere la Prefazione di Natalia Aspesi, e non possiamo non provare un moto di solidarietà per le giovani ragazze del suo tempo, ancora più castrate degli omosessuali stessi. Ragazze che s’invaghivano dei “fidanzati migliori”, quelli che erano i preferiti dalle mamme, che sapevano apprezzare un nuovo taglio di capelli o una mise diversa. Questi erano ragazzoni simpatici, dall’aspetto virile, a volte farfalloni, che proprio non ne volevano saperne di legarsi a qualche ragazza. Ragazze non educate agli uomini, che si accontentavano perché non sapevano che cosa si dovevano aspettare. Incupite dagli approcci vaghi, dai baci sfuggenti e mai, ma proprio mai, un tentativo di corpo a corpo dal quale doversi difendere. Queste ragazze sono l’altra faccia della medaglia di una società che non pensava, e non lasciava pensare, che potesse esistere qualcosa oltre il matrimonio. In chiesa, ovvio. Ci viene un po’ di tenerezza per quelle ragazze che se lo sono pure sposato “il fidanzato migliore”. Con grande pena per la coppia, ci è dato immaginare.

 

Come nasce un movimento

È un buon lavoro quello di Pini, che ha la capacità di scandagliare, anno per anno, dal 1951 al 1972, gli avvenimenti piccoli e grandi che hanno contribuito in qualche modo alla nascita del “movimento gay” o, più precisamente, della consapevolezza di un’identità sessuale propria e distinta. Ed è ancora più apprezzabile la scelta di collocare questi eventi nel più ampio panorama della società italiana. Sono soprattutto notizie di processi, di scandali, di uomini un attimo prima rispettabili e, un attimo dopo, messi alla berlina dai giornali. Per esempio è interessante sapere che nel 1963, anno in cui il Partito socialista compie sessant’anni e Gino Paoli incide la famosa Sapore di sale, inizia la persecuzione giudiziaria nei confronti di Pasolini. Quell’anno, l’intellettuale romano viene denunciato a seguito dell’uscita dei suoi film Mamma Roma e La Ricotta. Pasolini passerà quattro mesi in carcere per vilipendio alla religione, alla fine l’intellettuale verrà prosciolto e scagionato, ma il suo rapporto conflittuale con la giustizia sarà lungo e segnato da numerose censure.

Il movimento nasce anche sull’onda delle nuove possibilità di espressione culturale. Nel 1965 viene inaugurato a Roma il Piper, che non diventerà mai un locale “gay”, ma verrà da questi sempre molto amato per la sua capacità di proporre musica controcorrente. Nel 1968, anno passato alla memoria per la nascita delle contestazioni, non esiste ancora un “movimento gay” ma sempre più di frequente si parla di omosessualità, anche se con toni non lusinghieri. Le cronache locali vengono sconvolte, proprio quell’anno, da un processo storico per la storia dell’omosessualità in Italia. Aldo Braibanti viene condannato dal Tribunale di Roma a nove anni di reclusione (successivamente scontati a quattro) per aver «soggiogato e assoggettato alle sue immonde voglie due studenti». Braibanti, che proveniva da una famiglia conservatrice, era stato già rapito dalla famiglia e internato in un manicomio dove subì una serie di elettroshock per curare i suoi comportamenti contro natura.

 

Vivere, e sopravvivere, tra pubblico e privato
È interessante scoprire come, tra le tante difficoltà dell’epoca, e nonostante l’ostilità concreta della chiesa, della polizia, della magistratura (arresti, denunce, condanne, diffamazione sulla stampa, delazione, ricatti, ecc.) i giovani gay degli anni Quaranta, Cinquanta e Sessanta siano riusciti a vivere la loro sessualità con intensità e con divertimento. Infatti, al di là delle cronache giudiziarie, viene fuori il ritratto di una cultura omosessuale sommersa ma molto libera, proprio lì dove si manteneva invisibile alla società benpensante; dove il sesso viene vissuto con grande libertà e facilità, e praticato con disinvoltura nei limiti di spazio e discrezione della pubblica decenza. Di questa facilità di approccio ne beneficiano gli omosessuali, naturalmente, ma anche gli stessi eterosessuali, che “vanno a uomini” quasi come un rito di passaggio, come una valvola per sfogare la propria sessualità senza intaccare i confini della verginità delle loro fidanzate. Le relazioni, le “storie d’amore”, erano assolutamente un tabù. Non poteva esistere l’idea di un progetto, di un futuro a due, e così sarà ancora per molto tempo, ma il sesso si poteva trovare praticamente ovunque. I cinema della parrocchia, le brande dei militari di leva, le feste ma soprattutto certi giardini e certe strade ben note erano facili luoghi di cosiddetto “rimorchio”. Anche le marchette erano diffusissime, un espediente tollerato, facile e veloce per guadagnare qualche soldo.

 

Le storie degli uomini che furono

Particolarmente degna di nota è l’ultima parte. Andrea Pini ha condotto numerose interviste ad omosessuali anziani. È un universo che emerge raramente e con molta fatica, ed è veramente un’opportunità preziosa poter leggere le storie di questi uomini. In ognuna delle venti interviste emergono ricordi storicamente e umanamente importanti. Sono confessioni poetiche, commoventi, a volte drammatiche o anche erotiche.

Sono testimonianze dirette di un’epoca ad oggi scomparsa e, a suo tempo anche “sommersa”, un’epoca che riemerge e diventa finalmente memoria collettiva. Tra gli intervistati Maurizio Bellotti, Elio Pecora, Paolo Poli, Gilberto Severini, Giò Stajano.

Un applauso a tutti loro e ad Andrea Pini per l’eccellente lavoro. Un’unica mancanza si sente in questo libro. Quella delle donne omosessuali. Viene da sperare che Pini, o chi per lui, decida di recuperare anche questo pezzo di memoria.

 

Sara Meddi

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VI, n. 57, maggio 2012)

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