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Anno II, n° 5 - Gennaio 2008
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Problemi e riflessioni (a cura di Francesca Rinaldi) . Anno II, n° 5 - Gennaio 2008

Zoom immagine La storia di coraggio
di due eroi dei nostri
tempi nel Meridione
segnato dalla mafia

di Luisa Grieco e Mariangela Rotili
Le vite di Ciccio Vinci e Rocco Gatto
raccontate in un libro Città del Sole


Ci sono degli eroi che hanno fatto le loro battaglie lontani dai riflettori, lontani dalla televisione e lontani dalla memoria di tutti noi. Ciccio Vinci e Rocco Gatto sono due di questi. Due ragazzi calabresi, comunisti, che nel nome della giustizia hanno sacrificato la loro vita, tragicamente.

E il fatto che siano stati comunisti non vuol dire innalzarli come eroi di una sola parte politica, perché sono eroi di tutti noi, senza distinzioni di parte. Ma attenzione: non stiamo parlando delle battaglie nelle aule dei tribunali, fatte di testimonianze, accuse, super testimoni e scorte, stiamo parlando della vita di tutti i giorni, del solo pensiero di poter uscire di casa a testa alta, ma allo stesso tempo col cuore in gola, sapendo che quella può essere l’ultima volta.

La storia di questi due ragazzi è raccontata in un libro Il sangue dei giusti. Ciccio Vinci e Rocco Gatto due comunisti uccisi dalla ’ndrangheta (Città del Sole Edizioni, pp. 192, € 10,00) scritto da tre giornalisti calabresi, Claudio Careri, Danilo Chirico e Alessio Magro. tre ragazzi che, con questo libro pieno di sentimento e di malinconia, hanno voluto rendere omaggio a questi due uomini, assassinati dalla ‘Ndrangheta.

Un libro scritto col supporto dell’associazione “daSud Onlus”impegnata a ricostruire i tasselli della memoria civile che nasce per combatterli gli ’ndranghetisti.

 

Francesco “Ciccio” Vinci

Descrivere, in questo articolo, l’atmosfera che si respira leggendo le pagine del libro che ci accingiamo a raccontarvi è ardua cosa. Lo è perché attraverso esse si sente la gente di Cittanova parlare, sembra di vedere i volti della gente e a un tratto si apre la cameretta di Ciccio Vinci. È la madre a spingerla e nessuno ha toccato niente dopo quel maledetto 10 dicembre del 1976, quando gli spararono e lo uccisero. E sembra di essere in quella Fiat Campagnola ad assistere, impotenti, alla sparatoria.

Ciccio morì per errore, perché lui con la mafia non c’entrava niente, ma fu il destino, beffardo, a farlo trovare in quella situazione, in quella strada, a quell’ora. Il 24 marzo del 1979, arrestarono quattro criminali, uno era stato anche compagno di scuola di Ciccio. Uno scambio di persona, dicono.

Il fatto più triste è che Ciccio era (ed è, permetteteci di ricordarlo) un simbolo, una bandiera per i suoi amici, che intervengono nel libro, ci raccontano di lui, della sua passione per la musica, per le belle scarpe da calcio che aveva comprato insieme a un suo amico. Un ragazzo che faceva politica attiva, nel Partito comunista, ma che soprattutto sapeva cosa voleva dire vivere la propria quotidianità sotto il cielo cupo della mafia. Sapeva che era un male da estirpare, da combattere, facendo breccia nelle coscienze dei cittadini, in quelle di chi aveva abbassato il capo negli anni in cui la mafia cresceva, cercava nuovi mercati, si espandeva calpestando tutto quello che incontrava sul suo cammino.

Un ragazzo semplice, che sapeva trasmettere una carica incredibile ai suoi amici; un ragazzo bello e sicuro di sé, come si intuisce dalla foto in cui indossa la divisa da calcio e la fascia da capitano.

La sua vita è come quella di tanti altri ragazzi, spezzata un giorno, violentemente, dalla mafia. Un colpo duro, l’ennesimo, in una Calabria profondamente piegata al potere mafioso.

 

Rocco Gatto

Rocco Gatto era un piccolo mugnaio di Gioiosa Ionica. Nato da una famiglia povera, pian piano gli affari cominciano ad andare bene al mulino e la situazione economica migliora. Rocco è un uomo di cinquant’anni quando viene ucciso da due sicari.

La sua storia ha origini lontane, che vanno di pari passo con la crescita del potere della famiglia che ne ha voluto la morte, gli Ursini.

Il non volersi mai piegare al volere delle cosche è ancora oggi uno dei tanti, tristi esempi di come “i giusti” combattono la mafia: da soli. Senza l’appoggio di nessuno, fermi nelle loro convinzioni, arricciati in modo da proteggersi, quasi per non far vedere che di paura un po’ ce n’è, perché sapere di andare a morire fa paura. E Rocco Gatto lo sapeva; sapeva che gli Ursini gli avevano promesso la morte, che quella mattina del 12 marzo del 1977 poteva essere l’ultima volta che faceva il suo giro per raccogliere i sacchi di grano che i contadini lasciavano sul bordo della strada in modo tale che lui li potesse prendere e portare a macinare.

Una storia nella quale il coraggio è rappresentato anche dal capitano dei carabinieri Gennaro Niglio, il volto dello Stato che segna la presenza delle istituzioni in una terra martoriata e dimenticata.

Ma lo Stato si dimenticherà ancora una volta di Rocco Gatto, e lo farà nel giorno nel quale doveva farsi giustizia, il giorno nel quale un vero Stato di diritto doveva schierarsi dalla parte di Rocco, e ma così non è stato (o “Stato”, fate voi). La sentenza al processo per la sua uccisione gli Ursini e i Simonetta vengono assolti dalla Corte d’assise di Locri, e sembra di sentirlo il dolore del papà Umberto, è il 22 luglio del 1979.

Si farà vivo di nuovo solo nel 1982, quando il presidente Sandro Pertini consegnerà a Umberto Gatto la medaglia al valore civile alla memoria del figlio. Il Pci renderà la vicenda indelebile nella mente di molti stampando i manifesti che farà girare per tutta la Calabria.

 

Conclusioni, tristi conclusioni...

Sono tutti segni di qualcosa che non andava e che forse ancora non va, specchio di una realtà di altri tempi che si riesce a trovare anche ai nostri giorni.

La lotta di pochi (e soli) contro qualcosa più grande di tutti, di quella grande potenza economica che ormai è diventata la mafia.

A chiusura del libro, come firma di spessore al testo, un’intervista molto bella a don Luigi Ciotti, fondatore di “Libera”, l’associazione contro la Mafia ormai famosa in tutta Italia.

Due frasi, significative e toccanti, sintetizzano i contenuti del libro.

La prima è tratta da una bella opera di Emanuele Scoppola e troneggia sulla copertina del libro in un tratto di penna nero macchiato con inchiostro rosso: «Tutti i nodi vengono al pettine, se c’è il pettine».

La seconda, con cui si apre il libro, è una sentenza di Leonardo Sciascia: «Il nostro è un paese senza memoria e verità, ed io per questo cerco di non dimenticare».

 

Carmine De Fazio

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno II, n 5, gennaio 2008)

Redazione:
Mariangela Monaco
Collaboratori di redazione:
Alessandro Crupi, Valentina Pagano, Giusy Patera, Roberta Santoro, Andrea Vulpitta
Curatori di rubrica:
Monica Baldini, Rita Felerico, Daniela Graziotti, Luisa Grieco e Mariangela Rotili, Mariangela Monaco, Valentina Pagano, Giusy Patera
Autori:
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