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A. XVIII, n. 199, aprile 2024
Unione Europea:
come rilanciare
la sua centralità
di Andrea Vulpitta
Riproporre l’esprit d’Europe:
un decalogo di Paolo Savona
ci indica la strada per farlo
La storia dell’Europa degli ultimi anni è stata caratterizzata, per dirla con una cruda semplificazione, dal dualismo tra i cosiddetti “euroscettici” e i suoi convinti sostenitori. Il nostro paese, che ha conosciuto la suspence dell’ingresso sì o ingresso no nell’Unione Europea, per i noti disastrosi parametri di debito e spesa pubblica, si è diviso tra le due correnti di pensiero, spesso strumentalizzando anche le proprie posizioni politiche e di coalizione. Questa sintetica premessa per introdurre Paolo Savona ed il suo recente saggio L’esprit d’Europe. Come recuperarlo riformando le istituzioni (Rubbettino, pp. 96, € 10,00). L’autore, già ministro dell’Industria nel governo Ciampi, ha diretto il Dipartimento delle Politiche comunitarie presso
Come rilanciare lo spirito europeo
Nella premessa del saggio Savona spiega che il lavoro, nel mare delle tante pubblicazioni sull’Europa in generale, vuole segnalare una strada e suggerire delle ipotesi di attività volte a recuperare lo spirito di una grande Unione Europea e a rilanciare un ruolo politico ed economico dell’istituzione che oggi vive una difficile fase di impasse. L’autore ci ricorda nelle prime pagine del libro le varie fasi e le date più significative della nascita dell’Europa, partendo dal Trattato di Parigi del 1951 quale atto costitutivo della Ceca (Comunità europea del carbone e dell’acciaio) e arrivando fino ai Trattati di Roma del
Un decalogo per indicare la rotta del rilancio
Il secondo capitolo del libro è incentrato sulle proposte dell’autore volte a recuperare il giusto esprit d’Europe, proposte fondamentali nella comprensione anche dei capitoli che seguono; si tratta di una sorta di decalogo in cui l’autore sostiene, pronto a confrontarsi con altre tesi, i seguenti punti:
1) introdurre il libero scambio degli input di produzione, lavoro e capitale e dell’output, in particolare dei servizi e dei prodotti agricoli; 2) ampliare i compiti della Banca centrale europea e promuovere la collaborazione tra i governi dei vari stati membri; 3) affidare alla stessa Banca le competenze sui cambi; 4) agganciare i processi di liberalizzazione stabiliti in ambito Wto ad una nuova governance monetaria e procedere ad un’equiparazione degli scambi su livelli minimi di welfare; 5) armonizzare i trattamenti fiscali dei paesi membri, lasciando agli stessi la scelta di tasse aggiuntive di scopo, destinate in pratica alla realizzazione di specifici obiettivi; 6) obbligare al pareggio tra spese correnti e imposizione tributaria; 7) dotare il bilancio dell’Unione delle risorse necessarie per avviare progetti infrastrutturali e di “Ricerca&Sviluppo”; 8) stilare da parte di un gruppo di saggi un programma comune di istruzione tendente alla formazione del futuro studente europeo; 9) delegare alla Bundesbank il compito di operare sul mercato dei cambi in consultazione con
Savona aggiunge al suo personale decalogo anche un’altra importante riforma istituzionale, quella cioè della sincronizzazione dei cicli elettorali così da impedire il balletto del rinvio delle decisioni a dopo le elezioni chiesto sempre dal paese sotto votazioni. Tra le proposte, la più ostica sembra appunto quella che chiede sempre maggiori liberalizzazioni, ma questo, secondo l’autore, potrebbe essere accompagnato dall’equiparazione dei livelli minimi di welfare tale da rendere anche più convincente una simile accelerazione sui mercati. Un nuovo ruolo della Banca centrale è indispensabile per il raggiungimento della stabilità monetaria, un ruolo più vicino alla Federal Reserve degli Stati Uniti dove il massimo obiettivo è saper coniugare elevato sviluppo e bassa inflazione. Materia meno tecnica e meno ostica è quella affrontata nel capitolo dedicato al raggiungimento di livelli minimi di welfare.
Per un nuovo welfare globale
Con una coraggiosa tesi, più vicina a quella della sinistra cosiddetta radicale, l’autore sostiene che l’istituzione europea debba battersi per impedire che gli scambi internazionali avvengano in una sorta di “vendita sottocosto”, il cosiddetto social dumping che innesca automaticamente una competizione internazionale unfair (scorretta). La liberalizzazione senza regole e l’inseguimento dei paesi emergenti sul piano della concorrenza a scapito delle conquiste di civiltà, atte a garantire livelli minimi di assistenza sociale, sono una strada senza uscita che, secondo lo studioso, alimenta fenomeni di protesta come quella dei “no-global” e sentimenti antieuropei. In assenza di una soluzione alternativa Savona propone di introdurre un dazio sulle esportazioni che sia pari, e quindi da trasferire automaticamente, al costo delle prestazioni sociali minime da garantire in ciascun paese. In un periodo di incertezza e crescente precarizzazione dei rapporti di lavoro, l’attenzione al welfare rappresenta quindi una condizione essenziale per rilanciare non solo il ruolo dell’Europa, ma anche iniettare fiducia in un continente che vede sempre più difficile immaginare un futuro tranquillo, in particolar modo per le sue nuove generazioni. A giudizio dell’autore una delle maggiori cause del “mal di pancia” europeo è dovuto al rispetto del patto di stabilità e di crescita; esso rappresenta una preoccupazione per i cittadini, perché la sua applicazione significa sempre mettere in discussione i livelli raggiunti di conquiste pensionistiche e sanitarie e, d’altra parte, perché impedisce politiche di spesa a governi che si trovano in evidente difficoltà nell’assecondare i voleri dei propri rappresentati.
Armonizzazione fiscale e tasse di scopo
Secondo Savona un’armonizzazione del trattamento tributario e fiscale eviterebbe le varie fibrillazioni degli stati membri e potrebbe lasciare alla volontà dei governi la tassa di scopo, quel tipo di tributo specificatamente destinato alla realizzazione di infrastrutture e opere pubbliche. Tra i ritardi maggiori, dai quali far ripartire l’azione dell’Europa, Savona pone quello della realizzazione delle infrastrutture europee che garantiscano realmente la libera circolazione di uomini e merci e la creazione delle reti di “Ricerca&Sviluppo” tali da rendere omogenei anche i livelli minimi d’istruzione e operare per la creazione di una vera e propria scuola europea.
Ma forse per ritrovare l’esprit d’Europe, basterebbe rilanciare il Pico-Piano per gli investimenti e l’occupazione, preparato dall’Italia in attuazione della “Strategia di Lisbona”, approvato dalla Commissione europea e ratificato dal Consiglio europeo dei capi di stato nel marzo 2006 –al quale l’autore, pur non dicendolo, ha probabilmente collaborato – e che, sottolinea Savona, è stato emblematicamente ignorato dalle due coalizioni nel corso della campagna elettorale italiana per le politiche dell’aprile 2006.
Andrea Vulpitta
(www.bottegascriptamanent.it, anno II, n. 5, gennaio 2008)
Elisa Guglielmi, Ilenia Marrapodi