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A. XVIII, n. 198, marzo 2024
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Dibattiti ed eventi (a cura di Giulia De Concilio)

Tra amore e odio, libertà
e riscatto: il poeta civile
dal “cuore cantastorie”
al Piccolo Teatro Unical

di Emanuela Pugliese
Sul modo di essere liberi: studio teatrale ispirato e dedicato alla poesia
di Franco Costabile, reinterpretata da Ernesto Orrico ed Emilia Brandi


Libertà! Libertà è l’unica parola che si riesce a pronunciare dopo aver assistito allo spettacolo teatrale Sul modo di essere liberi, interamente ispirato e dedicato alla poesia di Franco Costabile (Sambiase, 1924-1965), rappresentato al Piccolo Teatro Unical (Cs), all’interno del programma La parola reincarnata. Drammaturgie possibili in Calabria voluto dall’Associazione culturale “Zahir”.

Chi conosce la poesia di quest’autore sa bene che, da essa, emerge tanto amore e un senso di profondo rispetto per la propria terra d’origine, la Calabria e, al contempo, sentimenti di rabbia e di odio da parte di chi comprende che l’unico riscatto possibile sia la fuga. L’emigrazione.

Ernesto Orrico, attore, autore e regista cosentino, ha riproposto questo tema – già ampiamente affrontato in un monologo da lui firmato ’A Calabria è morta – in una sua rivisitazione drammaturgica delle poesie di Costabile, insieme all’attrice e cantante Emilia Brandi.

Poesia di forte denuncia sociale e politica, quella di Franco Costabile riesce ancora a stupire per l’amara attualità dei suoi versi, per la graffiante verità delle sue parole. Morto suicida, a soli 41 anni, il poeta ha lasciato in eredità alla sua gente due libri di poesie – La via degli ulivi (1950) e La rosa nel bicchiere (1961) – in cui denuncia aspramente l’incapacità di un popolo di reagire alla condizione di subalternità e di emarginazione, alla quale è stato condannato a vivere dalle istituzioni politiche, locali e nazionali, nel corso delle varie epoche fino ai nostri giorni.

Con la poesia Rosa si apre il sipario: Rosa è una donna forte e bella, un tempo corteggiata e desiderata da tutti e, come tutti, non ha il coraggio di ribellarsi. Rosa è come la Calabria: costretta a subire le angherie e i soprusi del padrone. Quel che resta di lei, ora, è solo il silenzio e una misera culla per allevare il suo bambino.

Donne, risate sull’aia, colpi di fucile fanno da sfondo alla poesia di Costabile; li ritroviamo qui, abilmente rappresentati, con arte e maestria, sulla scena. Prendono vita nel teatro e, in esso, trovano uno strumento di denuncia e di indignazione per ricordare al mondo e ai Calabresi la propria esistenza.

Ed ecco allora emergere l’ingiustizia, la miseria, la delusione, la speranza di un popolo che vuole reagire. Ma anche amore, soprattutto quello per la Calabria, terra intesa come madre, da cui è difficile staccarsi. E, quasi come una ninna nanna, è il canto per il proprio Sud. Quasi una nenia tra i canti delle cicale e i torrenti di primavera.

Il Sud quindi come un bimbo da cullare ma anche come un soggetto da maledire…

Costabile è interprete dei nostri tempi, dell’anima calabrese e di tutte le sue traversie. Così come negli anni ’50 in cui visse il poeta, la Calabria è afflitta dalla piaga dell’emigrazione, oggi più di allora. Vale la pena dunque soffermarsi per riflettere sui suoi versi poiché essi ci appartengono, rappresentano la nostra quotidianità, ne siamo profondamente colpiti. Per cui guardare indietro nel tempo, non sarà solo uno sterile vizio degli intellettuali ma, come sempre, uno strumento per capire il presente.

Denunciare, reagire, accusare ma soprattutto urlare al mondo intero che la Calabria può e deve esistere nel panorama storico, politico e culturale dell’Europa.

Proprio all’urlo della California siamo pervasi da un sentimento di rinascita, vorremmo fuggire ma allo stesso tempo restare, vedere finalmente realizzarsi il sogno di una terra rinnovata: «la California, certo!», utopia di una Eldorado del Sud, dove non manca mai la luce elettrica e il pane bianco, i vigneti in ordine e i corsi d’acqua. «La California, come no!»: l’ennesima promessa del politicante di turno. Ed ecco riemergere lo sconforto, l’alienazione, l’impossibilità di vedere una luce, un barlume di salvezza per la Calabria e per i Calabresi.

Costabile non ce l’ha fatta: ha preferito arrendersi di fronte all’ineluttabilità del presente. Per questo ora viene ricordato come un “poeta maledetto”, al pari di altri poeti calabresi come Lorenzo Calogero, Leonida Rèpaci, Michele Rio.

Amato dalla maggior parte dei critici, dei poeti e degli scrittori italiani a lui contemporanei, Ungaretti gli dedicò i versi più belli che ora sono impressi sulla sua lapide: «“Con questo cuore troppo cantastorie”/ dicevi ponendo una rosa nel bicchiere/ e la rosa s'è spenta a poco a poco/ come il tuo cuore, si è spenta per cantare/ una storia tragica per sempre». La rosa nel bicchiere è la Calabria ma anche il poeta con i suoi sentimenti contrastanti, di uomo e di cittadino.

Con Il canto dei nuovi emigranti si chiude il sipario. Struggente il finale e il commiato dalla propria terra che il poeta ha pagato con la propria vita, purtroppo!

Alla luce di quanto osservato, è necessario rileggere e reinterpretare la sua poesia: per non arrendersi! E far sì che, un giorno, qualcosa possa realmente cambiare! Allora, e solo allora, forse, sarà possibile trovare la libertà agognata, sentirsi realmente affrancati senza dover scappare… perché la vera forza è resistere.

 

Emanuela Pugliese

(www.bottegascriptamanent.it, anno VI, n. 53, gennaio 2012)

Collaboratori di redazione:
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