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Anno VI, n. 53, gennaio 2012
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Problemi e riflessioni (a cura di Angela Galloro) . Anno VI, n. 53, gennaio 2012

Zoom immagine Storia di coraggio:
la denuncia contro
la ’ndrangheta
e la sopraffazione

di Simona Gerace
Pino Masciari: uomo in esilio forzato
dall’amata terra natia. Da Add editore


Organizzare il coraggio: questa la necessità di un imprenditore calabrese che, dopo aver denunciato il malaffare e la ’ndrangheta, ha trascorso dodici anni in regime di protezione. Protagonista della storia è Pino Masciari, fino a qualche tempo fa uno dei più importanti imprenditori edili della Calabria il quale, non avendo accettato le intromissioni della malavita nel proprio lavoro, è stato portato al fallimento professionale.

Da qui inizia la storia di un uomo e di una famiglia che, decidendo di denunciare un sistema prettamente mafioso, si trova a combattere contro le storture di un programma di protezione spesso assente, di una classe politica talvolta corrotta e di rappresentanti delle forze dell’ordine dalla dubbia integrità morale. Di questo, della sofferenza e delle rinunce quotidiane, oltre che delle innumerevoli difficoltà che è costretto a subire chi vive in un regime di protezione, l’imprenditore ha parlato in un saggio, intitolato Organizzare il coraggio. La nostra vita contro la ’ndrangheta, (Add editore, pp. 272, € 15,00). L’opera ha avuto diversi scopi. L’insieme di notizie, fatti e testimonianze, messe insieme da Pino Masciari e dalla moglie Marisa per non dimenticare nemmeno i particolari più piccoli e insignificanti di questa scelta che ha sconvolto la vita di un intero nucleo familiare diventa poi una personale valvola di sfogo, fino a trasformarsi, in seguito, con la pubblicazione, in un’esigenza quasi pedagogica.

 

L’accerchiamento da parte della malavita

L’opera, che ripercorre i tempi dal presente al passato, racconta di un uomo, Pino Masciari, che dopo aver terminato gli studi ed essere entrato a far parte dell’impresa edile di famiglia, decide di renderla più produttiva e di farla crescere sul territorio. Per questo punta non solo sugli appalti privati, ma soprattutto sui bandi delle pubbliche amministrazioni. Con il tempo l’azienda si aggiudica importanti lavori, cresce e riesce a ritagliarsi un posto di rilievo nel settore edile calabrese, fino a quando il malaffare, percependo che l’impresa va a gonfie vele, non decide di intervenire, influenzare il risultato dei bandi pubblici e pretendere gran parte dei guadagni. «Si partiva dalla richiesta di assumere un manovale piuttosto che un altro, così, come un atto dovuto per aiutare un parente, un amico in difficoltà, – è precisato nel racconto-testimonianza – per passare a richieste più pesanti: la scelta di un fornitore, per esempio, che sembrava un semplice consiglio, ma che un consiglio non era». Da qui il passaggio a richieste più significative è davvero breve: la costruzione di case e immobili a titolo gratuito, il pagamento in contanti per la ripresa di lavori bloccati all’interno di enti pubblici, la spartizione totale dei guadagni. Tutte pretese che danno all’autore la percezione di essere proprietario solo sulla carta e non in maniera concreta della propria azienda.

 

La consapevolezza di una scelta impopolare: la denuncia

Per riprendersi il proprio lavoro e la propria vita, a questo punto, l’imprenditore, inconsapevole del proprio futuro ma convinto della vicinanza dello Stato, decide di denunciare il sistema. La denuncia è, per lui, l’unico modo per combattere un’organizzazione di titani che, da quanto scoprirà, ha affiliati anche all’interno delle istituzioni pubbliche. A tutto questo Pino Masciari e la sua famiglia decidono di ribellarsi. Matura, quindi, l’idea di farsi proteggere. Ma la strada è lunga e, anche solo trovare qualcuno pronto ad accogliere la denuncia, diventa un’impresa. «Fai attenzione, hai una famiglia. Se ti succede qualcosa poi che fai?». Queste le parole che più volte si è sentito dire Masciari quando, in via informale, segnalava i soprusi ricevuti. Queste le parole che, nell’intento di chi le pronunciava, avrebbero dovuto scoraggiarlo, farlo desistere ma che, invece, hanno spinto questo piccolo “Davide” a combattere la sua battaglia di libertà, dignità e giustizia contro i tanti “Golia” inglobati nel sistema. Poi la denuncia. La famiglia, frastornata e al contempo all’oscuro di tutto quello che sarebbe accaduto in futuro ma consapevole di aver fatto la scelta giusta, entra a far parte di un programma di protezione che la porta per ben dodici anni ad allontanarsi dalla propria casa e dai propri affetti, a perdere il lavoro, le vecchie abitudini e tutto ciò a cui era precedentemente legata. Purtroppo non tutto va per il verso giusto: i nomi fatti dall’imprenditore calabrese nelle sue denunce sono di grande rilievo; addirittura qualche foglio in cui si parla di alcune personalità politiche viene fatto scomparire e si perdono con esso anche testimonianze rilevanti che avrebbero potuto portare in galera importanti uomini politici.

 

La solitudine, le difficoltà, le paure di un testimone di giustizia. I dubbi

Con l’entrata nel programma di protezione per Pino Masciari e la sua famiglia inizia un calvario di spostamenti, senza documenti né identità. Più volte l’uomo denuncia nel suo racconto di essere rimasto senza scorta a compiere i viaggi per i processi o di essere stato lasciato solo in uno o nell’altro residence calabrese dove chiunque, soprattutto loro, i nemici, avrebbero potuto trovarlo. Più volte denuncia le ingiustizie e le incongruenze subite anche dalle forze dell’ordine, che spesso lo accomunavano a un qualsiasi pentito. «Chiedevo di poter essere un imprenditore libero e invece mi trovavo a essere in fuga, a scappare di nascosto da casa mia come se il criminale fossi io». E poi, ancora, la scelta difficile di rinunciare a tutto. Una scelta che dev’essere confermata giorno per giorno, ma che spesso vacilla quando si ha la percezione di essere stati abbandonati di fronte ai nemici, abbandonati di fronte al mondo e, soprattutto, di non essere abbastanza protetti dalle forze dell’ordine che, purtroppo, hanno limiti umani e materiali, ma che, in qualche occasione, hanno compiuto un vero e proprio abuso di potere. «Capitò che un maresciallo dei carabinieri», è precisato nel saggio, «la persona che avrebbe dovuto organizzare i miei spostamenti, in realtà li ostacolasse contro la mia volontà, non permettendomi di recarmi alle convocazioni, procurando certificati sanitari non reali perché non andassi a deporre». Questi ostacoli uniti alla solitudine, all’impossibilità di comunicare con i propri familiari e con i propri conoscenti, per paura di andare incontro a qualche rischio, portano a un certo punto Masciari a mettere in discussione la propria scelta. È normale, di fronte all’assenteismo e all’apatia e di fronte alla solitudine totale, chiedersi se si sta facendo la cosa giusta. «Io non ero un pentito» ha scritto Masciari «ero un testimone di giustizia, ero la parte lesa della storia, la parte che lo Stato doveva tutelare. Il mio sfogo sembrava inutile, mi sentivo come qualcuno che viene punito, era una situazione paradossale. Venivo trattato e considerato come un delinquente».

Ad accentuare i dubbi sul programma di protezione, contribuiscono la mancanza di documenti di copertura, il doversi spostare continuamente da una città all’altra, l’impossibilità di riaffermarsi come professionisti, i figli, Francesco e Ottavia, troppo maturi (anche se ancora bambini) per fare i capricci, ma forse anche troppo piccoli per poter capire cosa stava succedendo al loro papà e perché la loro famiglia non poteva essere uguale a tutte le altre. E la solitudine, quella solitudine talmente disperata che porta la famiglia, dopo una settimana di totale isolamento, a decidere di trascorrere il week end mescolandosi tra la folla di un qualunque centro commerciale. Poi, l’inizio dei processi, il periodo più brutto della vita di Masciari.

 

La rete dei rapporti e la certezza di trovarsi dalla parte giusta

Costretto continuamente a spostarsi da una città all’altra per assistere e testimoniare alle udienze, l’imprenditore calabrese deve fare i conti con una protezione solo formale e sempre meno concreta da parte delle forze dell’ordine. Per fortuna, però, a un certo punto del suo cammino, Masciari ha la felice coincidenza di incontrare don Ciotti, i ragazzi di “Libera”, l’associazione che si batte per la lotta alla mafia e per la formazione alla legalità e quelli che sono vicini a Beppe Grillo. Questi giovani sono per giorni e giorni la sua scorta, i suoi amici, i suoi legami. Gli stessi fondano il gruppo “Gli amici di Pino Masciari”, e creano un blog, www.pinomasciari.org, per far capire che la società civile deve scegliere da che parte schierarsi. Grazie anche a questi giovani, Pino Masciari oggi ha una nuova vita, lontana dalla Calabria, tanti nuovi amici e, soprattutto, una casa. Una casa in cui ora ha definitivamente svuotato gli scatoloni carichi di ricordi e di oggetti, consapevole che da essa non dovrà più, a meno che non sia lui stesso a volerlo, allontanarsi.

 

Simona Gerace

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno VI, n. 53, gennaio 2012)

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