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Anno V, n. 52, dicembre 2011
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Problemi e riflessioni (a cura di Angela Galloro) . Anno V, n. 52, dicembre 2011

Zoom immagine Speranze in viaggio:
i sogni e le illusioni
dei migranti africani
narrati nell’incontro

di Daniela Malagnino
Da Minimum fax l’inchiesta itinerante:
distanza delle responsabilità umane


Di fronte a scenari che con frequenza mostrano immigrati provenienti dall’Africa sbarcare sulle coste italiane (e più in generale europee), noi cittadini dell’Unione, riveliamo una sorta di inerte assuefazione, che in alcuni periodi lascia il posto a un inappropriato allarmismo, o ci limitiamo a esprimere commenti riduttivi che tradiscono una grave disconoscenza di un fenomeno tanto complesso quanto grave. Questa è una delle prime considerazioni che si potrebbero fare dopo la lettura di A sud di Lampedusa. Cinque anni di viaggi sulle rotte dei migranti (Minimum fax, pp. 224, € 15) di Stefano Liberti, giornalista che da anni pubblica reportage di politica internazionale e che, con questo lavoro, stampato per la prima volta nell’aprile del 2008 e riedito a distanza di due anni, vuole «mostrare l’emigrazione dall’Africa al di là dei luoghi comuni, far vedere l’universo dei viaggiatori per quello che è, con il suo portato di speranze, con le sue grettezze e le sue grandiosità».

Per produrre questo lavoro il giornalista ha deciso di ripercorre le tappe dei «viaggi della disperazione»; tale girovagare lo ha portato in tutti i paesi del Nord Africa e ancora più a sud, nel Sahel, sulle tracce dei viaggiatori che con tenace follia sognano l’Europa.

Il libro raccoglie in dodici capitoli gli incontri più significativi a cui Liberti ha preso parte durante i suoi lunghi itinerari e che gli hanno permesso di rivedere le sue posizioni sulla questione dell’immigrazione africana e lo hanno costretto a interrogarsi anche sul suo ruolo di giornalista europeo e sul modo attraverso cui i media stessi trattano tale argomento.

Il libro è un prezioso documento, ricco di testimonianze e dati raccolti sui territori oggetto dell’indagine, che invita a una profonda riflessione sul ruolo che l’Unione Europea ha in questa faccenda così delicata e urgente.

Facilmente il lettore si immedesima nel narratore e con semplicità immagina i volti dei migranti segnati dalla stanchezza, dalle estenuanti attese, e spesso dalla delusione, ma ancora accomunati da un ardore che li spinge a sperare in un futuro migliore per se stessi e per le proprie famiglie.

 

Sulle tracce dei migranti africani nei luoghi di transito

L’esplorazione sulle rotte è cominciata in Marocco nell’estate del 2002, ed è proseguita in una lunga serie di viaggi che hanno portato il giornalista sempre più a sud, nelle città di transito: importanti crocevia che spesso si rivelano per i migranti un vero e proprio limbo, nel disperato tentativo di raggiungere l’Europa. Una di queste città è Mbour, un tempo il cuore della produzione ittica senegalese: da qui ogni giorno partono numerosi viaggiatori diretti verso le Canarie e poi verso la Spagna. Nella città l’autore incontra Dauda che, con i suoi compagni, ha sperimentato le conseguenze del patto di rimpatrio tra Spagna e Senegal. Un accordo politico che Madrid, dopo aver esercitato pressioni sul Marocco per impedire gli sbarchi sulle coste atlantiche e mediterranee, ha firmato con i paesi di partenza più a sud (Guinea Bissau, Guinea Conakry, Mauritania e Senegal).

La realtà che al giornalista si va gradualmente svelando è molto lontana da quella presentata dai governi europei e dalle organizzazioni internazionali: non ci sono − per lo meno non sempre e ovunque − reti mafiose di scafisti e trafficanti senza scrupoli che lucrano sulle traversate, ma forme di organizzazione con regole ben precise che la comunità dei viaggiatori in transito ha creato con uno spirito di grande solidarietà. Così lo scrittore scopre che forum e siti senegalesi fornivano indicazioni e consigli su come organizzare la traversata.

Come Dauda anche Mousa, Abdou e altre centinaia di persone provenienti dall’area subsahariana, hanno condiviso lo stesso destino ai crocevia delle rotte dell’emigrazione e che si sono scoperti, poi, vittime destinate alle chiusure europee: «Sognavano l’Europa e si sono risvegliati su qualche aereo con le manette ai polsi. O in mezzo al deserto senza un soldo in tasca».

Un folto gruppo di migranti dell’area a sud del Sahara, prima di raccogliere il denaro necessario per partire verso l’Europa e spinti dall’impulso di una situazione lavorativa che non offre prospettive, si spinge di là del deserto. Molti si fermano in Libia, svolgono quei lavori che i locali non farebbero: panettieri, macellai, operai, spazzini. Il tessuto sociale delle regioni settentrionali del Niger è fortemente segnato da quest’emigrazione transfrontaliera.

Leggendo il libro si scopre l’esistenza di figure tanto diverse quanto significative nell’universo delle rotte migratorie: gli intermediari e i dissuasori, ad esempio. I primi «costituiscono insieme agli autisti che fisicamente si sobbarcano il viaggio, ai proprietari dei veicoli e ai gestori delle agenzie, una società parallela in cui ognuno ha un ruolo e un guadagno definiti», rappresentano cioè importanti anelli di congiunzione tra chi fornisce il servizio di viaggio e chi ne vuole usufruire. Quello del dissuasore, invece, «è un mestiere nuovo che si sta diffondendo in modo discreto in tutti i luoghi di transito. Attratti dalle scintillanti prospettive di fondi europei, diversi responsabili di organizzazioni non governative si sono lanciati nel settore», il loro compito è scoraggiare i migranti a intraprendere pericolosi viaggi verso l’Europa.

Il libro documenta, con acume, una realtà estremamente diversificata di cui i migranti sono protagonisti e tra questi sono numerosi coloro che vivono per molto tempo nella condizione di “intrappolati”: «Dal Marocco all’Algeria, dal Mali alla Mauritania, fino alla Libia sono decine di migliaia a condividere questo destino di viaggiatori ricostretti alla stanzialità. Non possono andare avanti perché sono a corto di soldi. Non possono tornare a casa perché la loro famiglia si è indebitata per sostenere le spese di viaggio […] bramano l’Europa, afferrano ogni barlume di informazione che possa sostenere il loro miraggio».

Lampedusa, l’isola più a sud dell’Europa, è stata la tappa conclusiva (dopo il Senegal, il Niger, la Mauritania, l’Algeria, il Marocco e la Turchia), del viaggio del giornalista sulle tracce dei migranti. L’immagine che emerge dal suo libro − e dalle testimonianze raccolte − è quella di un territorio «deliberatamente destinato a “centro di concentramento e smistamento” di tutti i flussi migratori che nel Mediterraneo interessavano l’Italia. […] Tutte le barche che erano dirette verso le coste siciliane, anche quelle fuori rotta, venivano fatte confluire su Lampedusa, che era così eletta a “luogo d’arrivo”[…] Dopo aver delegato ai paesi terzi la gestione dei flussi, l’Europa delegava ancora: non più agli stati del Nord Africa, ma al suo avamposto estremo, il suo remoto luogo di frontiera».

 

Le responsabilità nascoste dell’Europa

Leggendo le pagine di questo libro l’immagine dell’Europa, come continente aperto all’accoglienza e al sostegno di chi è in difficoltà, comincia a sbiadire e a lasciare intravedere responsabilità che, con molta probabilità, noi cittadini non abbiamo il coraggio di assumerci. Così molti migranti riconoscono una grande ambiguità nel comportamento europeo: ha bisogno del loro lavoro nei campi, nei cantieri edili, nei ristoranti, ma fa di tutto per non farli entrare.

Verrebbe da chiedersi se il fenomeno dell’emigrazione non sia l’effetto di politiche sbagliate: quelle che per molti anni hanno portato i nostri paesi a fare sleale concorrenza ai prodotti africani, a spogliare questi territori delle loro ricchezze e a non sostenere gli impegni assunti al momento della decolonizzazione.

Agli occhi dei migranti l’Europa sembra assumere «una duplice e opposta valenza»: sogno e incubo, passato violento ma anche futuro carico di prospettive. Così in tanti − se non tutti − sperano di arricchirsi qui per poi dare un futuro alla propria nazione, e intanto l’Unione Europea continua a promettere aiuti e fondi ai paesi prefontiera con i quali firma accordi di vario tipo chiedendo di bloccare i flussi e respingere gli immigrati con ogni mezzo. In merito a ciò è significativo menzionare l’accordo (strutturatosi tra il 2002 e il 2003) tra la Libia e l’Italia risoltosi in una sorta di do ut des: Roma intercede presso l’Unione europea affinché venga revocato l’embargo di Tripoli, Gheddafi ha promesso maggiore impegno e cooperazione nel contrasto all’immigrazione clandestina, e l’Italia approva la fornitura di materiali per potenziare il controllo dei confini e si preoccupa di far costruire in terra libica un centro di permanenza temporanea.

E così l’Europa non può che «apparire vecchia, impaurita e senza prospettive, perdendo ancora una volta la sfida per creare un autentico spazio di collaborazione e di scambio nel Mediterraneo con i poteri democratici che – ci si augura – sorgeranno dalle rivoluzioni in atto».

 

Daniela Malagnino

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno V, n. 52, dicembre 2011)

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