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Anno V, n. 46, giugno 2011
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Letteratura contemporanea (a cura di Francesco Mattia Arcuri) . Anno V, n. 46, giugno 2011

Zoom immagine Sullo sfondo di una Milano cupa,
la vita di una giovane donna
alla riscoperta della quotidianità

di Angela Galloro
Per Falzea editore una storia comune
intrisa di memoria e di speranza


È facile capire cosa emozioni di questo nuovo romanzo di Roberto Bonfanti, autore di Un uomo a pedali e Tutto passa invano: sono i dettagli, di ogni parola, frase, riga, che dipingono, tratto dopo tratto, il personaggio. Se, come recita il retro di copertina, «questo libro è un’opera di fantasia», è pur vero che sembra contenere il vissuto dell’autore, in tutte le sue pagine. Scava, con lo sguardo, nell’animo della protagonista, una giovane donna che ci viene presentata come molto matura per la sua età, con un vissuto particolare, ma un quotidiano che risponde a tutte le regole della verosimiglianza.

Come quello di Un uomo a pedali, l’andamento è circolare: durante la lettura, l’autore ci accompagna lungo un percorso che riporta al punto di partenza, un capitolo zero, di non immediata comprensione, che si lascia scorrere senza attenzione. E non è prevedibile neanche la conclusione della storia di In fondo ai suoi occhi (Falzea editore, pp. 208, € 13,00), che non è un happy ending, e neanche una fine tragica, ma è lontana dalle aspettative del lettore di e offre uno spunto di riflessione.

 

Una fuga che si rivela ritorno

Il viaggio da Roma a Milano di Elisabetta e la fuga dalla sua ormai logorata storia d’amore, vengono presentati come una corsa improvvisa lontano dal suo ragazzo e dalla vita di lui. Ad un certo punto, arrivata a casa della nonna, la protagonista vive un vero e proprio ritorno al passato. In ogni odore, in ogni angolo della casa, in ogni anfratto di Milano scopre l’abbraccio materno di un luogo che l’ha vista crescere, o meglio del posto che ama ricordare, dal momento che il suo vero luogo di nascita si trova qualche chilometro più in là, dove la madre, vedova, continua a vivere senza rapporti con lei. La descrizione della protagonista è perfetta sotto ogni aspetto, e lo è proprio perché non pretende di essere tale. Bonfanti offre ai lettori pennellate, schizzi improvvisi, quali riceve chi intravede anziché osservare. Elisabetta è bella, in ogni dettaglio del suo corpo, tanto da aver posato da giovanissima per delle riviste di moda e da attirare gli sguardi di tutti, ovunque. Eppure non si dà peso né importanza a questo durante la narrazione, la bellezza è accessoria se tutto quello che si ha intorno è mediocre. Sin da quando la giovane lascia la capitale, niente è incredibile, stupefacente, iperbolico, tragico, tremendo, disperato. Tutto ciò che fa parte del mondo di Elisabetta, dalla casa, alle compagnie, al lavoro, alla famiglia, alle giornate, è normale, banale, mediocre, appunto. Ma è proprio la quotidianità che la ragazza riscopre con gioia, il non affannarsi per raggiungere qualcosa, il lasciare che le cose arrivino, che il tempo passi, osservando ciò che si ha intorno e cercando di prendere ciò che di buono la vita propone, o concede.

 

L’incertezza che non pesa

Voltare pagina spaventa chiunque, non sapere cosa il futuro riservi è una delle inquietudini più comuni della nostra esistenza. Elisabetta ci sorprende perché sembra che tutto ciò non la sfiori: a ben vedere, pare che venga da un altro pianeta, per l’apparente distacco che riesce a mantenere dai lutti, dalle angosce, dai litigi, dalle storie morte del passato. La sua è una solitudine leggerissima, impalpabile, che si assapora minuto per minuto e poi si dimentica, come tutto il resto. Lo percepiamo da ogni piccolo avvenimento di questa piccola vita. La giovane si ritrova a dividere un grandissimo appartamento al centro di Milano con un’altra ragazza, una persona che mai avrebbe pensato di poter frequentare: scopre di poter imparare da lei, dalla sua sfolgorante e mondana vita che squilla come la sua voce entusiasta. Elisabetta trova un lavoro modesto, fare da baby-sitter a due bambini, uno dei quali le insegna molto di più di quanto avrebbe potuto sperare.

Le sue esperienze da ventenne nella metropoli, gli incontri con gruppi di giovani dal discutibile fascino, le uscite e le nottate occasionali che non hanno seguito, uno scippo in pieno centro, non sono importanti, sembra dirci l’autore. Quello che dà significato a questa storia infatti sono i piccoli e gli ordinari momenti, fatti di quotidiane riflessioni: i pomeriggi al parco con il piccolo Davide, impegnato a disegnare tutto quello che non c’è; le passeggiate che accompagnano una sigaretta dopo l’altra, in una Milano buia e infreddolita; il ricordo delle viuzze assolate e felici della capitale e delle sue vecchie abitudini, lasciate a marcire nella memoria, insieme agli anni in cui le hanno fatto compagnia; le gocce di una doccia calda; le chiacchierate inutili con la coinquilina. L’atteggiamento sempre sereno di Elisabetta la rende una persona luminosa e semplice, nonostante si srotoli continuamente dentro di lei un libro di domande. Tutto è così consueto nella sua vita da risultare incantevole alla lettura, tutto così quotidiano che ci sembra quasi di averla conosciuta, questa ragazza dall’esistenzialismo leggero, che si aggira tra le strade anonime della città, e che potrebbe essere una studentessa, una manager, un’insegnante, una modella, un’amica, una figlia, o anche una madre.

 

Un volto solo per tante vite

È proprio questa la peculiarità di Elisabetta: sapersi adattare alle circostanze, gioiose o torbide che siano, mantenendone il giusto distacco. La ragazza studia tutto quello che ha intorno in modo rigoroso ma non accusatorio, e possiede una capacità di adattamento che non è adeguarsi, quanto mettersi in gioco, conoscere gli avvenimenti dall’interno, vivere insomma. Senza mai sapere dove certe scelte la porteranno. Tutto ciò che di inespresso giace nel pensiero della protagonista viene fuori alla fine, quando compie una delle sue scelte più strane e azzardate, sotto forma di lacrime sommesse, e non di gesti eclatanti.

Non siamo di fronte a un’eroina dall’esistenza piena di sorprese, ma a una giovane donna come tante altre, che possiede una grande carica di vita che sprigiona dai particolari, dai dettagli, che cerca qualcosa senza trovarla mai nell’ambiente provinciale in cui è cresciuta, né tantomeno in quello metropolitano che l’ha accolta.

 

La forte presenza dell’autore

Bonfanti racconta da vicino; il lettore lo vede inserirsi nella storia nei punti più importanti, in apertura, in chiusura, e in un momento onirico che si snoda nel bel mezzo del romanzo, che spiega come abbia conosciuto Elisabetta in sogno. D’altronde, sembra quasi che siano i personaggi a cercarlo, a presentarsi a lui così come sono, per intero, tutti d’un pezzo. In Bonfanti ritroviamo tutti i suoi miti letterari: un po’ della capacità di osservazione di Simenon, unita al sentimentalismo underground di John Fante e all’enigmaticità di Milan Kundera, che unite fanno di lui un abilissimo narratore. Le frasi spezzate, brevi, che ospitano poche parole dense ricordano la scrittura tipica del racconto, genere con il quale l’autore ha iniziato la sua carriera. I protagonisti delle sue storie sono antieroi, descritti nei loro aspetti grigi, nelle zone d’ombra che possono rivelarsi pregi o difetti, a seconda del contesto in cui si presentano, attraverso lunghi elenchi che regalano alla storia un crescendo di passionalità. In questo romanzo, forse più che nel precedente, il giovane scrittore punta, però, i riflettori su un animo solo, quello della protagonista, scandagliato in tutte le sue più scomode sfaccettature. Bonfanti stesso scrive in un’intervista: «Nel caso di “In fondo ai suoi occhi”, poi, ho mirato molto ad “asciugare” la trama, quasi a ridurla ai minimi termini. Su quel libro ho lavorato “per sottrazione”, cercando di togliere tutto il superfluo per far sì che tutte le luci puntassero sull’animo di Elisabetta».

In fondo ai suoi occhi, come scrive l’autore è «una storia qualsiasi. Una storia come un’altra. Nemmeno troppo originale in fondo. E senza nessuna pretesa di esserlo».

Ma che, proprio per questo, appassiona il lettore dalla prima all’ultima pagina.

 

Angela Galloro

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno V, n. 46, giugno 2011)

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