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Anno V, n. 45, maggio 2011
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Comunicazione e Sociologia (a cura di Giovanna Russo) . Anno V, n. 45, maggio 2011

Zoom immagine Svelare i retroscena occulti
individuando bugie e verità
nelle vicende dell’ascesa
del leader Barack Obama

di Laura Verta
Da Rubbettino un saggio che rivela
il “volto umano” del Messia nero


Dal 2008 ad oggi le case editrici italiane hanno dato alla stampa 61 titoli su Barack Obama. Si tratta per lo più di biografie, raccolte di citazioni, traduzioni di discorsi con testo a fronte e altre opere che vedono come autore l’attuale presidente degli Stati Uniti d’America. Particolarità di questa enorme mole di materiale, messa a disposizione dei lettori, è che, malgrado i litri di inchiostro spesi, noi poveri mortali, «di Obama non sappiamo assolutamente nulla». È questo che sostengono Martino Cervo, caporedattore del quotidiano Libero, e Mattia Ferraresi, corrispondente da Washington per Il Foglio, tentando l’impresa di dare un volto umano all’uomo più potente del mondo. Cervo e Ferraresi cercano di raggiungere questo arduo obiettivo nel saggio Obama, l’irresistibile ascesa di un'illusione (Rubbettino editore, pp. 120, € 10,00), smascherando quello che è stato definito da molti come l’Uomo nuovo, il Messia nero, mostrandoci, invece, la sua reale essenza, le sue debolezze.

Palese è che i due autori non credono più di tanto all’aura messianica che ha concesso al candidato perfetto di diventare l’inquilino della Casa Bianca. Astuto e magistralmente documentato è il modo in cui, nel loro testo, dimostrano la fondatezza di una bufala che è attecchita perché verosimile.

 

Il Messia nero che viene dalle Hawaii

Partiamo dal principio: cosa sappiamo di Obama? Si chiedono i due autori. Sappiamo per certo che è un mix di culture. Hawaiano di nascita, cresciuto in Indonesia, trapiantato nel Midwest ma, oltre a ciò, quel che effettivamente lo ha reso ancor più “appetibile" e accettabile quale esempio di rinnovamento e rivalsa per la multietnica popolazione americana è il fatto che il suo primo nome sia ebraico (Barack), il secondo islamico (Hussein), che si professi cattolico e sia di colore. Una persona in cui tutti possono, quindi, facilmente riconoscersi.

Ecco tutto quello che c’è dato sapere su di lui. Non un’altra parola, posto che non sia interessante il modo in cui cammini o indossi gli abiti.

A questo punto viene spontaneo chiedersi cosa lo abbia portato alla vittoria nella corsa alla presidenza.

La risposta al quesito è, inutile dirlo, ancora una volta la sua figura; se – come ha sostenuto lo stesso candidato – all’epoca era «abbastanza nuovo sulla scena politica» risulta da sé la necessità di catapultare l’attenzione dei mezzi di comunicazione di massa sulla propria immagine. Quale carta giocare? Quale capacità migliore dell'eloquenza? Quale asso poteva tirar fuori dalla manica se non l’abilità di cogliere il meglio e il buono, da ogni cultura, da ogni religione, per poter fare promesse citando, con il tono tipico di un sermone, passi della Bibbia o del Corano, inseriti ad arte nei discorsi a seconda dell'occasione, del target di ascoltatori?

È stata questa la vera forza di Barack Obama, la capacità di dire proprio ciò che ognuno voleva sentire, di parlare a tutti da “cittadino del mondo” includendo, nella sfida impossibile del cambiamento, l’intera popolazione votante perché, come ha sostenuto egli stesso nel discorso proferito prima delle primarie, «il popolo che ama il suo Paese può cambiarlo».

Ed ecco che, finalmente, lo slogan più idealista che potesse essere coniato prende piede, forma. Grazie a Yes we can, grazie soprattutto al plurale we, “noi”, ogni singolo cittadino si è sentito parte integrante di un progetto ambizioso volto al cambiamento, al rinnovamento della propria società.

Parte di un progetto che poteva aiutare a buttarsi alle spalle anni e anni di politica sterile, non più condivisibile.

Ed eccole roteare impazzite come mulinelli quelle promesse tanto attese: «manderemo via i soldati dall’Afghanistan»; «chiuderemo Guantanamo»; «miglioreremo la condizione di ognuno»; «supereremo la crisi a testa alta».

Impegni che alimentano le speranze dei cittadini facendo balzare in testa ai sondaggi il ragazzo di colore che, per favella e non solo, tanto ricorda Malcom X e Martin Luther King.

Improvvisamente l’attenzione dell’opinione pubblica si catalizza su di lui ed analizza qualsiasi cosa lo riguardi, dalle movenze da rapper al rapporto con la propria famiglia, presentando l’immagine di una persona qualunque che gioca a basket, mangia hotdog per strada e accompagna le figlie a scuola. È questo che fa di lui una star: la quotidianità, coadiuvata alla trasparenza che gli fa ammettere di aver commesso degli errori, delle “ragazzate al college”.

Così facendo crea il suo personaggio e i giornali intessono con lui una vera e propria storia d’amore. Una storia che l’America, gli Stati Uniti d’America seguono con trepidazione, come una folla adorante in preda ad «un'infatuazione colossale» per un uomo in cui tutti si identificano perché vi vedono “il nuovo assoluto” che, a questo punto, risponde al nome di normalità.

Ma se Barack Obama è un uomo perfettamente “normale” dove si nasconde quella bufala? Perché gli autori parlano di lui come un’illusione?

 

Un falso storico fa da ponte tra la Casa Bianca e il Sud Italia

Per analizzare questo concetto bisogna tornare indietro di due anni, precisamente al 28 agosto 2008, data importante perché ha messo in subbuglio la Calabria suscitando l’invidia dell'Italia.

Secondo l’agenzia Adnkronos, Obama, nei suoi discorsi, si sarebbe ispirato al mistico cosentino Gioacchino da Fiore.

Nell’incessante susseguirsi di articoli pubblicati da quel giorno in poi, si rende noto che il presidente in carica, non solo si sarebbe ispirato al teorico della terza età del mondo ma l’avrebbe addirittura citato, per ben tre volte, nei suoi discorsi.

Innumerevoli le pagine di giornale dedicate a questa strana coincidenza. Immediati il plauso, la contentezza, le dimostrazioni di gratitudine da parte della classe dirigente cosentina nei riguardi dell'americano: si passa dalla lettera/invito del sindaco di San Giovanni in Fiore alla proposta di cittadinanza onoraria del paese silano. Dalla dichiarazione di un membro del suo staff, l'italoamericano Aldo Civico che sostiene: «conosco questi riferimenti ma non sono stato io ad avergli fatto conoscere Gioacchino da Fiore [...] è stata una scoperta autonoma» [1], fino ad arrivare addirittura al carteggio tra Obama e Micheal A. Oliverio ex deputato del West Virginia nel quale si parlava proprio di Gioacchino.

Ora, per quanto verosimile possa sembrare questa storia, immaginare che il liberal Obama –  in campagna elettorale – trascorresse il suo tempo dilettandosi con le teorie di un abate tacciato di eresia nel 1200, pare cosa abbastanza strana a Cervo e Ferraresi. La seconda parte del loro testo è incentrata sui rimandi alle notizie dell' Adnkronos e non solo. Si tratta di richiami che, se letti con attenzione, dimostrano l'incongruenza dei fatti. Insomma, per quanto ben documentata questa bufala, alla fine, nei discorsi incriminati non c’è proprio traccia di citazioni riguardanti il dantesco «calabrese di spirito profetico dotato».

Ma allora perché mettere in piedi un “falso storico” così semplice da smontare?

Secondo gli autori «qualche cronista aveva colto una citazione densa di significato […] le dichiarazioni si erano confuse, sovrapponendosi in quella bolgia woodstockiana».

Una cattiva interpretazione, dunque, di sicuro una notizia da prima pagina per gli esponenti politici cosentini che, sentendosi anch’essi parte del nuovo progetto americano, già intravedevano – imbrogliati a loro volta – nuovi orizzonti di collaborazione.

Siamo sicuri però che i politici calabresi siano stati gli unici a prendere un granchio? A quanto sostengono gli autori del libro in questione, assolutamente no.

Secondo loro e, visto come stanno andando le cose, anche secondo buona parte dell'opinione pubblica, in realtà, l’illusione è incarnata proprio dall’attuale presidente americano che, giocando d’astuzia, è riuscito ad incantare con il suo charme, con la sua eloquenza, un’intera nazione.

Se solo un paio d'anni fa, la folla lo acclamava presidente prima del tempo, oggi a meno di un mese dalle elezioni del mid-term e con gran parte delle aspettative deluse, ancora attende – non si sa per quanto – di vedere diventare realtà le mille promesse fatte in campagna elettorale.

Obama, l’irresistibile ascesa di un’illusione è un saggio, un’inchiesta che si discosta da tutte le pubblicazioni edite finora. Un testo che cattura l’attenzione del lettore perché intriga e raggiunge il suo intento primario: presentare l’uomo più potente del mondo come una persona qualunque, una persona semplicemente umana e che, per questo, non sempre riesce a mantenere le promesse fatte.

 

[1] http://www.calabrianotizie.it/2008/08/28/obama-si-ispira-a-gioacchino-da-fiore-la-citta-di-san-giovanni-in-fiore-pronta-ad-accogliere-il-candidato-alla-casa-bianca/

 

Laura Verta

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno V, n. 45, maggio 2011)

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