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Anno V, n. 45, maggio 2011
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Civiltà letteraria (a cura di Angela Galloro) . Anno V, n. 45, maggio 2011

Zoom immagine Una raccolta di cibi
per la gola e l’anima
risveglia i ricordi
della giovinezza

di Sara Moretti
Un diario gastronomico di ricette
per i sentimenti. Proposta EdiGiò


La cucina come spunto per raccontare e raccontarsi. Il cibo come veicolo di ricordi immutabili nel tempo. Così, tra un piatto di spaghetti alla carbonara e una crostata di mele, Rosa Gargiulo ci accompagna e ci guida attraverso la sua terra e i suoi affetti, raccontando con freschezza e originalità le tradizioni di un territorio che pare sospeso nel tempo e sottolineando come il cibo sia in grado di creare legami indissolubili: «Natale, Pasqua, compleanni, matrimoni; nascite e lutti; arrivi e partenze. Non c’è festa, avvenimento o sofferenza che non passi dalla cucina, lasciando una traccia di sé: un sapore che ci riporterà per sempre a quel giorno, e non ad un altro, in un viaggio a ritroso nel nostro calendario personale; un profumo che ci farà ritrovare una persona, proprio quella lì e non un’altra, perché quell’altra vive in un sapore diverso, in un profumo che non è lo stesso». In Chiacchiere e Ragù. Diario gastronomico sentimentale (EdiGiò, pp. 134, € 13,75) siamo di fronte a un vero e proprio diario, un’opera autobiografica che esprime i sentimenti e le emozioni di una donna che ha saputo lottare e reagire di fronte alle difficoltà e che, guardandosi indietro, è riuscita a riassaporare i ricordi della sua infanzia, l’amore per la sua terra, per le persone che ci sono state e ora non fanno più parte della vita quotidiana e per quelle che sono rimaste.

In un’intervista pubblicata su www.vicoequenseonline.blogspot.com, l’ex insegnante di scuola elementare e ora affermata autrice, Rosa Gargiulo, racconta le sue iniziali perplessità riguardo la forte matrice territoriale della sua opera per poi affermare come sia invece importante far conoscere e diffondere le proprie origini dal momento che «i sentimenti non hanno radici». Aggiunge infatti che «le ricette sono un pretesto per parlare di valori che sono fondamentali nella sua esistenza: la famiglia, l’amicizia, l’amore nel senso più ampio del termine». L’intento è quello di portare i lettori a riflessioni più serie rispetto all’apparente approccio leggero del suo scritto. Il cibo unisce ed è chiaro come qualsiasi argomento possa essere più piacevolmente affrontato davanti a un buon piatto di pasta. «L’aspetto più gratificante del mio percorso di autrice è rappresentato dall’incontro con la gente: autori come me, lettori (reali e potenziali), librai… ho sperimentato che la mia idea della scrittura come opportunità di incontro e confronto è invece una realtà bellissima».

 

La struttura del testo

Nelle pagine introduttive al testo sono inserite alcune citazioni riguardanti il cibo. Una piacevole sorpresa, per tutti i lettori che inseguono il mito di William Shakespeare, è sicuramente il richiamo al IV atto, scena II, di Romeo e Giulietta quando un servo di casa Capuleti esprime a modo suo il rapporto col cibo: «Per la madonna, signore, cattivo cuoco è colui che non sa leccarsi le dita». Un’immagine che raccoglie in sé una moltitudine di significati e l’autrice coglie nel segno buttandoci davanti agli occhi tale ironico riferimento letterario.

Il testo è strutturato in dieci capitoli, ognuno dei quali si apre con la descrizione di un significativo momento culinario fermo nella memoria della scrittrice: «Nella cucina ampia e luminosa troneggiava un grande tavolo rettangolare, dalle robuste gambe tornite che assomigliavano a quelle di ballerine in equilibrio sulle punte. Tra mucchietti di farina e precarie piramidi di uova fresche riposavano le sfoglie sottili che presto avrebbero rivestito teglie lucide di burro profumato… a partire dalla vigilia della domenica delle palme fino al giovedì santo la cucina di zia Filomena si trasformava in una vera pasticceria, dove si sfornavano pastiere per tutti i membri della famiglia» racconta l’autrice, per poi arricchire questa sua chiacchierata privata con cenni descrittivi sul paese in cui è cresciuta e vive tuttora, sulla sua storia e sul suo folklore. Spunti storici e geografici che aiutano a conoscere la sua terra e a immaginare in modo vivido un passato ancora così presente nella sua mente: «Il Natale della mia infanzia non era molto diverso da quello che festeggio oggi e, probabilmente, non lo è per nessun napoletano. Le tradizioni si tramandano, pressoché immutate, creando una magica continuità temporale tra il passato il presente e il futuro».

A chiudere ogni sezione, la ricetta di famiglia, descritta in modo semplice e pratico, indicando dosi, tempi e modi di cottura.

 

Una storia personale fatta di ricette e tradizioni

Le pagine autobiografiche di questo libro si possono considerare da un lato un vero e proprio ricettario da tenere sulla mensola in cucina a portata di mano, dall’altro un tuffo nella memoria dell’autrice e negli usi e costumi della comunità di Vico Equense, incantevole borgo di tufo affacciato sul mare tra il golfo di Napoli e la penisola sorrentina. È impossibile non rimanere coinvolti dalle vivide descrizioni del territorio e della sua storia, dalle tradizioni che sopravvivono nonostante il trascorrere degli anni.

Dieci ricette in tutto, che racchiudono i momenti più belli, i ricordi più intensi, i sentimenti ancora vivi.

La carta è impregnata di profumi di cucina casalinga… pasta e fagioli, chiacchiere di carnevale, ragù. E il lettore si lascia prendere per mano per essere condotto in questo viaggio gastronomico che racchiude in sé molti significati.

L’autrice campana racconta il cibo come metafora di tutte le vite che si intrecciano per poi un giorno slacciarsi l’una dall’altra e i suoi ingredienti come elementi indispensabili non solo per dar loro sapore, ma per garantirne la continuità. Il tutto condito da una calda situazione familiare. Pagina dopo pagina, si assiste alla creazione di un legame solidissimo tra il cibo, la memoria personale e il territorio. Il risultato è un’opera dal gusto forte e unico che diventa spunto di riflessione sul percorso che ognuno di noi lettori ha deciso di intraprendere.

«Sughi, pasta, vini, briciole di pane sono l’inchiostro con cui la storia viene quotidianamente scritta: spesso i sapori sono aspri, amari, ma c’è sempre pronto un boccone dolce per dimenticare e andare avanti […] la cucina è il luogo in cui tornare per piangere fingendo di affettare una cipolla; o sorridere contenti ascoltando lo scoppiettare dei pop-corn nella vecchia padella della nonna; o dove litigare – anche solo con se stessi – battendo rabbiosamente innocenti bistecche. E intanto intorno palpita la casa, con le stanze che s’affacciano curiose sulle strade per lasciare entrare dai balconi spalancati le vite degli altri coi loro rumori, le voci, i colori, le lacrime, e i sapori!».

 

Sara Moretti

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno V, n. 45, maggio 2011)

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