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Anno I, n° 4 - Dicembre 2007
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Biografie (a cura di Luisa Grieco e Mariangela Rotili) . Anno I, n° 4 - Dicembre 2007

Zoom immagine Riccardo Lombardi:
biografia politica.
Pensieri antifascisti
ma pure acomunisti

di C. De Fazio e M. Gulino
Socialismo e riformismo rivoluzionario:
temi del nuovo testo edito da Il Lunario


Oggi la figura di Riccardo Lombardi, grazie alla sua opera politica, può essere attuale e di esempio a molti giovani che credono nei valori di cui egli fu portatore, come riformatore del socialismo scientifico e come combattente della resistenza italiana. Lombardi, discepolo di don Luigi Sturzo, svolse  un’intensa attività clandestina antifascista. Una curiosità, che allo stesso tempo è segno della violenza del regime, è rappresentata dal fatto che un giorno il giovane Lombardi venne sorpreso a fare volantinaggio davanti ad una fabbrica: fu arrestato da una squadra fascista e picchiato con sacchi pieni di sabbia. Gli lesionarono un polmone, un problema di salute che si portò dietro per tutta la vita.

Militò in “Giustizia e Liberta” e fu, in seguito, prefetto di Milano dopo la Liberazione. Fu uno dei fondatori, nel 1942, in Italia, del Partito d’azione e, dopo la Costituente, aderì al Partito socialista italiano, di cui fu successivamente prestigioso dirigente nazionale. Dopo una serie di lotte sociali, politiche e sindacali che impegnarono la politica italiana del Dopoguerra, propugnò alcune “riforme di struttura”, la maggiore delle quali fu la nazionalizzazione, nel 1962, dell’energia elettrica (Enel).

La nostra attenzione è rivolta all’idea di riforma di Lombardi, dunque, e all’idea secondo la quale si dovevano riportare le rivendicazioni dei lavoratori all’interno dello Stato in modo che fossero i medesimi lavoratori a difendere i propri interessi.

Il concetto prettamente keynesiano, secondo il quale in una vera democrazia è lo Stato a gestire la “res pubblica” per quanto concerne economia delle imprese ma anche le questioni legate alla politica sociale di un paese, era uno dei cavalli di battaglia che Lombardi riuscì a sostenere in un’Italia profondamente segnata dalla crisi del Dopoguerra ma pronta, allo stesso tempo, a un rilancio sul piano economico e sociale.

Era così, fondamentale, riportare all’attenzione del governo i bisogni dei lavoratori, ma anche di uno strato sociale pronto a crescere economicamente.

Questi i temi principali del testo Riformisti oggi per rivoluzionare il domani di Francesco Santangelo (Introduzione di Emanuele Macaluso e Postfazione di Wladimiro Crisafulli – deputato regionale diessino –, Il Lunario, pp. 96, € 13,00).

 

I principi dell’agire sociale

Lombardi sosteneva che lo sviluppo era un bisogno che i cittadini dovevano imparare a conquistarsi. Il problema di fondo restava quello di far sì che questa consapevolezza passasse, attraverso gli elettori, a coloro che in Parlamento avrebbero dovuto rispondere a queste esigenze.

Ma alla vigilia dell’Assemblea costituente la priorità sembrava un’altra: quella di unire le forze antifasciste per permettere loro di poter governare. Il governo di Alcide De Gasperi, in questo, ha giocato un ruolo fondamentale all’incontrario: dopo aver ottenuto, nelle elezioni vinte del 1948, una larga maggioranza, relegò la sinistra, di cui Lombardi faceva parte, a svolgere un ruolo marginale.

È anche in questo momento che sembra nascere in Lombardi quell’idea secondo la quale il cambiamento non può essere un evento forzato e tantomeno repentino bensì graduale. Dopo l’approvazione della Costituente Lombardi sentenziò che la politica di sinistra doveva concentrarsi verso «un quadro politico democratico entro il quale soltanto una politica di riforme graduali sarebbe stata concepibile».

 

L’economia italiana

Lombardi aveva dichiarato che in Italia si era instaurata una società di mercato, e non l’economia di mercato, in quanto la prima era prettamente dominata dalle scelte del produttore. Così si batteva per un riformismo che mirava a superare questo sistema capitalistico che avrebbe finito per uccidere la libertà di scelta del consumatore. Macaluso – leader diessino – nell’Introduzione al testo lo ricorda nella sua visione politica come colui che pensava che il movimento operaio doveva porsi all’interno dello Stato. Ma non solo. Ne delinea anche le caratteristiche per le quali si definiva «acomunista», che lo portarono, sul tema della libertà, a prendere le distanze dal comunismo internazionale.

Ma l’attenzione di Lombardi, in un momento caotico come quello postbellico, si concentrò su qualcosa che tutta la sinistra italiana aveva il compito morale di difendere, ovvero la rivalsa del popolo di destra: lo sminuire la figura e l’opera dei partigiani, le discriminazioni in fabbrica per gli operai “di sinistra” rappresentavano una situazione che la sinistra aveva l’obbligo morale di combattere. Ed è questo uno dei grandi meriti di Lombardi, quello di non aver mai perso il filo, di non aver mai perso di vista questa essenza “di sinistra”, di aver sempre lottato perché la consapevolezza nascesse dal basso, dai cittadini che queste ingiustizie le vivevano sulla loro pelle.

E in un certo senso qualcosa dal basso si cominciava a muovere. Basti ricordare la spallata dei sindacati al governo Tambroni, quando si voleva portare all’interno delle istituzioni la destra estrema. Un momento nel quale si capì che la sinistra italiana poteva essere matura, pronta per le grandi riforme economiche e sociali mentre la destra, calata a pieno nella “Strategia della tensione”, tentò il colpo di Stato col generale De Lorenzo.

Si capì anche che la sconfitta della politica centrista era compiuta: borghesia e proletariato erano pronti per un confronto aperto e serio, con al centro i diritti dei lavoratori. Fu questa la grande vittoria di Lombardi.

 

Il riformismo che parte dal basso

Non è la prima volta che Santangelo – politico, saggista, ricercatore e scrittore – si occupa di tratteggiare l’agire di Lombardi. Ma questa volta lo fa da una prospettiva nuova. Questa volta l’attenzione è rivolta al riformismo (anziché alle speranze emergenti della contestazione studentesca del ’68, come aveva fatto precedentemente).

Secondo l’autore innanzi tutto bisognerebbe creare delle condizioni preliminari che garantiscano l’agibilità politica all’interno dei partiti e anche all’interno dello Stato.

Santangelo ha individuato il problema che accomuna molti: «Vivere nella provincia più piccola d’Italia ed anche più povera, non certo di idee ma di mezzi, significa vivere l’affermazione del pensiero riformista come qualcosa di fugace, in quanto non essendoci punti di riferimento certi, le migliori risorse scappano, come in tutte le zone povere. La presenza di una identità sociale produttiva, che un giorno c’è e in quello successivo scompare, perché si scompone, induce, chi resta, a ricomporre, il giorno dopo, una realtà di cui tutti si rendono conto che anch’essa è destinata a volatilizzarsi. Vivere in questi luoghi, alla giornata, per colpa di una classe manageriale e politica che ha costruito contenitori senza contenuti, inducendo ognuno a comprare il portafoglio, senza la possibilità di metterci un soldo dentro, ma per portare solo il documento di una identità che non c’è, è la cosa che maggiormente deprime».

Sarebbe allo stesso modo bello ricordare queste parole di Lombardi, cariche di pacatezza e di senso civico, qualità indiscusse che hanno da sempre caratterizzato il suo agire. Rivolgendosi a un amico disse: «ricordati sempre che l’uomo politico è oggetto di attenzione ed anche di tentativi di corruzione se non altro per comprometterlo e poterlo ricattare al momento opportuno, se cedi una volta sola la tua liberà è finita per sempre».

Il libro si conclude con un omaggio a Lombardi, organizzato al teatro “Binario 7” di Monza e dai circoli culturali siciliani in Lombardia, ove Santangelo ha tracciato un profilo nitido e inedito dell’uomo politico che impostò le grandi riforme dello Stato italiano postbellico insieme ai grandi della politica italiana.

 

Carmine De Fazio e Maria Gulino

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno I, n. 4, dicembre 2007)

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