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Comunicazione e Sociologia (a cura di Marilena Rodi) . Anno V, n. 43, marzo 2011

Zoom immagine Raccontare il Mezzogiorno
al di là dei classici cliché:
più valore alle eccellenze
per un Sud a cinque stelle

di Andrea Vulpitta
Il meridione tra problemi e possibilità,
in un pamphlet edito da Rubbettino


Torniamo con piacere a parlare di Sud, e questo non per campanilismo, ma perché ci convinciamo sempre di più che spesso si ha un’idea quanto meno superficiale della sua realtà. Una delle tesi più significative dell’autore è infatti che il Sud possa essere rappresentato a macchia di leopardo e che, laddove esistono emergenze sociali ed economiche, si rintracciano anche casi di eccellenze le quali, oltre a fare giustizia di un meridione sprecone e vagabondo, dimostrano come puntare su politiche di sviluppo uguali per intere aree abbia fatto il suo tempo e che utilizzando l’immagine dei centri concentrici, bisogna ripartire dalle eccellenze mirando ad ampliamenti, gemmazioni e quindi ad una crescita più facile e possibile. Già qualche tempo fa abbiamo affrontato (grazie a Il Sud che resiste, vedi bottegascriptamanent.it n. 32, aprile 2010) l’aspetto della resistenza civile nei confronti dello strapotere criminale. Approfondiamo ora il saggio di Michele Guerriero, Stelle del Sud (Rubbettino, pp.108, € 9,00) che rivela, pur tra luci e ombre, l’esistenza di eccellenze economiche e la necessità di valorizzarle al fine di giungere a un miglioramento dell’intero meridione.

 

Le cinque stelle che illuminano il Sud e l’oro nero della Lucania

Prima di affrontare con dovizia di particolari i cinque casi di eccellenza scelti per fotografare il Sud che lavora e produce, l’autore si sofferma sul caso della Stm, azienda promotrice di quel distretto industriale, in provincia di Catania, denominato “Etna valley” che ha permesso, negli anni, a numerosi ingegneri elettronici, figli della migliore Sicilia, di esercitare la propria attività. Successivamente l’autore passa in rassegna la seconda delle cinque stelle: la Basilicata è una regione del Sud con caratteristiche peculiari che la rendono, per alcuni versi, diversa dalle altre che insistono nel Mezzogiorno. Vive relativamente la problematica della criminalità, è abitata da poco più di 600mila persone e gode di alcuni favorevoli fattori economici: l’insediamento Fiat di Melfi, il distretto delle acque minerali e del vino, e quello del divano (del quale parleremo in seguito). A questo si aggiunge una buona qualità della vita, tutti elementi che le hanno fatto guadagnare il titolo di Nord-Est del Mezzogiorno d’Italia. In una regione così scarsamente popolata, non immune al triste fenomeno dell’emigrazione e ricca di straordinarie risorse naturali, alla fine degli anni Ottanta si scopre la presenza del petrolio. Oggi i numeri del fenomeno sono di tutto rispetto: l’80% della produzione petrolifera italiana avviene in Basilicata, e questo copre, per un paese totalmente dipendente dall’estero per le fonti energetiche, il 6% dell’intero fabbisogno con prospettive di giungere al 10%. Ma non è tutto oro quel che luccica. Nonostante ci siano ancora oggi tensioni tra l’Eni e gli enti locali per la quantificazione delle royalties che l’ente estrattore deve lasciare alle comunità, molte amministrazioni non riescono a mettere a frutto i milioni di euro derivanti dalle stesse; in questo modo, seppur dopo un periodo di euforia, anche economica, la Basilicata, influenzata altresì dalla crisi mondiale, vede tornare a crescere la disoccupazione. È imballata nel disegnare un suo progetto futuro di sviluppo che possa tenere insieme tutela del territorio e sfruttamento delle risorse, in poche parole un percorso di sviluppo sostenibile.

 

Il divano è diventato scomodo

Tra la Puglia e la Basilicata è nato, cresciuto, e oggi purtroppo si sta ridimensionando, quello che per tutti è conosciuto come il distretto del salotto o del divano. Quando ancora gli effetti della crisi mondiale erano lontani dal farsi sentire, nel distretto questi già mordevano, complice la globalizzazione e una crescita disordinata dello stesso. Certo i numeri fanno riflettere: dal 2002 al 2008 gli addetti sono passati da 14mila a 5mila, mostrando la maturità del settore e l’urgenza di misure che l’autore ha ricercato intervistando alcuni dei protagonisti storici dell’attività. Le problematiche sono diverse, dalla concorrenza cinese alla vecchiaia dei modelli di produzione che richiederebbero concentrazione degli investimenti, ricerca di nuovi mercati e anche una produzione, da una parte, basata sulla qualità e su politiche incisive di marketing e, dall’altra, che esplori creazioni di accessori per l’arredamento che possano beneficiare dei canali di rappresentanza e vendita già esistenti e costruiti intorno alla commercializzazione del divano.

 

L’altra Campania

Percorrendo l’autostrada Caserta-Roma, strada obbligata per chi, provenendo da Salerno, ha come meta la capitale, oggi si intravede una collina artificiale costruita su progetto di Renzo Piano con l’idea di riprodurre le forme di un vulcano. È il cosiddetto “Vulcano buono” quello che certamente non fa paura, grande centro commerciale, ultimo nato del più importante polo della logistica nel Sud d’Italia che conta anche il Cis, grandissima area di distribuzione commerciale costituita da 300 aziende, oltre 100 settori merceologici e più di 4mila addetti, e l’interporto di Nola. «Qui si intrecciano le quattro modalità di trasporto: la stazione ferroviaria, l’acqua del vicino porto di Napoli e degli altri porti dell’Italia meridionale, la gomma dei camion, l’aria dell’aeroporto di Napoli Capodichino. L’interporto di Napoli è una esemplare collaborazione tra pubblico e privato, la sua proprietà è infatti divisa tra la finanziaria del Cis, che ne possiede il 54%, e il restante diviso tra Comune di Nola, l’Asi, alcuni istituti di credito e perfino la Curia arcivescovile di Napoli, anche se con una percentuale simbolica». Il terreno dell’interporto è frutto di concessione della Regione Campania ai soci e scadrà nel 2080. Pensate, la stazione ferroviaria, costruita con i soldi dei privati, è stata ceduta in comodato d’uso alle Ferrovie dello stato. L’animatore di tutto questo, il cavaliere Giovanni Punzo – ­­­­­­­­­­­­­­­­­noto ai più per essere stato negli anni passati vicepresidente del Napoli calcio – racconta all’autore che Napoli ha da sempre avuto la vocazione al commercio e che lui intuì, inizialmente con soli dodici amici che poi divennero quasi duecento, come la città, punto di riferimento per gli scambi commerciali non solo di Napoli e della Campania, ma anche del basso Lazio, del Molise e della Puglia, avesse bisogno di spazi, aree e strutture moderne che potessero meglio servire il comparto, anzi, farlo crescere e diventare il polo logistico più importante del Meridione d’Italia. In un’area tristemente famosa per l’illegalità, Nola rappresenta la speranza e la prova che è possibile, con voglia di fare e nella legalità, creare presupposti per uno sviluppo sano che crei importanti sbocchi occupazionali. E il futuro è foriero di importanti novità come dimostra il progetto di ampliamento dell’interporto, parte del quale ospiterà le officine di manutenzione dei treni dell’alta velocità della società Ntv fondata da Luca Cordero di Montezemolo, Diego Della Valle, Giuseppe Punzo e Giuseppe Sciarrone che, a partire dal 2011, entreranno nel mercato dell’alta velocità ferroviaria in concorrenza con Ferrovie dello stato.

 

Il futuro nel bicchiere

L’autore si sofferma anche sugli straordinari sviluppi e sulle future potenzialità che nel Sud emergono nel campo dell’enologia dove, da più anni, grazie anche all’intervento dell’esperienza e della professionalità di famosi produttori del Nord, si registrano straordinari successi in particolare nel campo della qualità. Imprenditori del calibro di Zonin, Antinori, Fazi Battaglia hanno non solo acquisito vigneti, ma effettuato reimpianti e avviato un nuovo metodo di produzione del vino. Viene riportato anche l’estratto di un’intervista rilasciata a Winenews da Gianni Zonin nella quale l’imprenditore spiega il perché di questa nuova primavera degli investimenti nel Sud: «Fino ad un po’ di tempo fa erano due i principali limiti che condizionavano gli investimenti vitivinicoli nel nostro Mezzogiorno: la mancanza di acqua e le temperature elevate durante la vinificazione. Sul primo aspetto, l’irrigazione a goccia e l’aver individuato aree con risorse idriche sufficienti ci hanno consentito di fare degli investimenti molto interessanti in due importanti regioni del Sud Italia, come la Sicilia e la Puglia. Sul secondo aspetto, invece, la tecnologia di cantina oggi consente il controllo della temperatura nei vasi vinari e quindi si può lavorare sempre in condizioni di temperatura controllata». È comunque assodato che negli ultimi anni, a fronte di una contrazione di produzione di alcuni territori e vitigni di tradizione del Nord Italia, una esponenziale crescita abbiano avuto l’Aglianico in Campania e in Basilicata (qui con la denominazione “del Vulture”), il Primitivo di Manduria in Puglia e il Nero d’Avola in Sicilia. Certo i problemi non mancano, le politiche di marketing faticano a farsi strada con la concorrenza dei giganti del Chianti e del Barolo, ma il futuro è all’insegna dell’aumento della produzione e della vendita dei vini del Sud. E in questo futuro si affaccia anche timidamente la Calabria che ha lo svantaggio del recupero di immagine rispetto ad altre regioni del Mezzogiorno e sconta una polverizzazione di produttori e di conseguenza di volumi che certo non favorisce lo sviluppo. Viene ricordata però la meritoria opera di uno dei più grossi produttori calabresi, la famiglia Librandi che, oltre al miglioramento di alcuni vitigni tipici tra cui il Gaglioppo, ha avviato da tempo un’attività di studio e recupero di antichi vitigni altrimenti destinati all’estinzione.

 

Un porto quale volano di sviluppo

L’ultima stella esaminata dall’autore è quella del porto di Gioia Tauro. Progettato, come molti sanno, quale supporto al quinto centro siderurgico della Finsider, solo negli anni Novanta venne convertito e oggi rappresenta uno dei porti più importanti nel campo del transhipment ovvero nell’accogliere le grandi navi container. Fiore all’occhiello dell’economia calabrese, forse unico polo di creazione di lavoro, oggi il porto, partendo dalle sue enormi potenzialità, ha bisogno di notevoli investimenti che gli permettano di crescere. Deve innanzitutto costruire le infrastrutture necessarie che lo possano legare meglio alla rete ferroviaria, edificare una seconda banchina e creare un maggiore legame con l’aeroporto più importante in termini di traffico che è quello di Lamezia Terme. Molte innovazioni, tra l’altro, possono essere apportate nel retro porto, dove, se si esclude qualche piccolo intervento effettuato grazie ai proventi della legge 488, poco o niente è stato fatto. Altro valido progetto è quello del rigassificatore al quale è da affiancare la cosiddetta piastra del freddo che attirerebbe investimenti da parte dell’industria agroalimentare. Infine anche Gioia Tauro ha enormi possibilità di sviluppo sia come porto che come polo della logistica e del trattamento delle merci che guarda al Mediterraneo, ma deve agire in fretta e adeguarsi anche per rispondere nel migliore dei modi alla crescente concorrenza dei porti dei paesi arabi. L’autore ci conferma con questo suo bel racconto come non esiste un solo Sud arretrato, ma altri Sud dove poche ma significative eccellenze, mostrano come crescere è possibile e come si debba partire dalle migliori esperienze per tracciare strade di sviluppo che abbandonino, una volta per tutte, logiche clientelari e di finanziamenti a pioggia che tanto male hanno fatto al tessuto economico e sociale del Mezzogiorno.

 

Andrea Vulpitta

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno V, n. 43, marzo 2011
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