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Anno V, n. 43, marzo 2011
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Comunicazione e Sociologia (a cura di Marilena Rodi) . Anno V, n. 43, marzo 2011

Zoom immagine Il comunismo
“benestante”
che si lamenta

di Angela Galloro
Difficile pensare alla sinistra
che “indugia” nel benessere.
Un libro ironico di Rubbettino


L’immagine di copertina che presenta il primo piano di un pugno chiuso con il polso circondato da un orologio Rolex, esprime già l’intento polemico di questo libretto che vibra di toni accesi e pesanti provocazioni. Alessandro Orsini, docente di Sociologia politica presso le università di Roma “Tor Vergata” e Luiss “Guido Carli”, ritiene necessario esprimersi a riguardo di un tema sociologico per niente problematico e ancor meno diffuso, ma che egli giudica tale, forse per deformazione professionale, nell’ambiente universitario (pubblico e privato) in cui lavora. L’intento dell’immagine di copertina è forse quello di dirci che un ideologo di determinati orientamenti politici non è tenuto a conoscere l’ora esatta, o che ancor peggio – in nome di un’avversione al progresso mai professata – è costretto a conoscerla guardando la posizione del sole come un troglodita? Il rivoluzionario benestante (Rubbettino, pp. 84, € 10,00) è il punto di fuga di questa sua particolare idiosincrasia nei confronti degli ideali, nello specifico, quelli della sinistra.

 

Un soggetto non bene identificato

Come gli Ufo, il soggetto (in realtà oggetto passivo e succube del mondo in cui vive) di cui Orsini parla, non è precisamente identificato. Ce ne vengono dati i connotati ideologici, ci viene presentato come una persona medio-borghese che attua «strategie cognitive per sentirsi migliore degli altri», come recita il sottotitolo del libro, che utilizza la retorica per affermare la pace, l’amore, la povertà, l’uguaglianza, come un moderno Gesù Cristo e poi di colpo il terrorismo, il piombo, il Sessantotto, come un vecchio “bombarolo”. 

L’autore critica oltretutto l’atteggiamento di giustificazionismo nei confronti del terrorismo rosso, atteggiamento pericoloso, ma che – obiettivamente – non è facile individuare: è raro, per fortuna, che qualcuno sano di mente possa apprezzare il terrorismo, la violenza e la torbida atmosfera dei nostri anni Settanta. Avviene invece nelle infelici esperienze dell’autore, e ci stupisce come un accademico specializzato negli studi sul terrorismo, riconosciuto nelle università di tutto il mondo per questo, non accetti di contestualizzare determinati avvenimenti storici e che disprezzi addirittura chi lo fa senza (ovviamente) un giudizio positivo. Il rivoluzionario benestante, ci viene detto, è colui che usufruisce dei vantaggi di un mondo che critica e che vorrebbe cambiare, è colui che vuole fare la rivoluzione crogiolandosi però nei privilegi che ottiene dal suo status, colui che – dichiaratamente di estrema sinistra – ha come unici argomenti Lenin, Stalin, Che Guevara e l’antiamericanismo, vendendoseli nel migliore dei modi durante qualsiasi conversazione e come unici sentimenti l’insoddisfazione perenne o «indignazione permanente», la «memoria negativa» e una mentalità manichea, oltre naturalmente al peggiore dei mali: l’ideale. Un idiota, per intenderci, che ha studiato solo una parte dei libri di storia e che critica tutto il resto “per principio”. Lo scopo di tali affermazioni sembra essere quello di farci credere che individui di questa specie siano presenti nelle università, che proprio di questi tempi pullulano di “bamboccioni” ignoranti e focosi, guarda caso durante le proteste per i vergognosi tagli all’istruzione. Troppo facile. Un po’ come raccontare aneddoti vaghi e senza nomi e indicazioni di persone e luoghi, come avviene qui.

 

Chi sta bene è “benestante”?

È piuttosto curioso che l’autore definisca come unico metro di giudizio dello “stare bene” il privilegio economico e sociale di cui si può usufruire nella vita quotidiana o nel lavoro. In base ad un liberalismo individualista che, a suo dire, sta a capo del progresso della civiltà occidentale, un uomo che può usare un telefono cellulare per telefonare a casa (una bella casa) dal posto di lavoro e che può permettersi di andare in vacanza con la famiglia dovrebbe godersi quello che ha senza neanche pensare che intorno a lui non è tutto così medio-borghese. Dovrebbe, per rispetto nei confronti della sua condizione, ignorare lavoratori sfruttati, disuguaglianze sociali e ingiustizie perpetrate in politica ed evitare giudizi nel leggere il giornale.

Premesso che il detto “i soldi non fanno la felicità” è decisamente passato di moda, e parecchio surreale ormai, resta da dire quantomeno che l’essere nati in un contesto borghese, di quelli martellati pesantemente decenni fa, è una condizione piuttosto normale oggi, di certo non un reato, e che non impedisce all’individuo di sviluppare valori diversi (attenzione, diversi, non incoerenti con la realtà), ideologie “alternative” maturate proprio sulla consapevolezza della propria situazione sociale, solidarietà nei confronti di categorie più disagiate, e soprattutto non gli impedisce di agire in favore della giustizia ed eventualmente dell’uguaglianza, secondo il principio per il quale un uomo sta bene quanto più i suoi vicini possono stare bene, e votare infine, nel modo che ritiene ideologicamente più opportuno.

 

Come difendersi

Divertenti sono poi le strategie difensive dell’ultima parte del libro: l’autore ci racconta, attraverso sue personali esperienze – che a tratti sfiorano il grottesco – come tutelarsi da questi “mostri” incoerenti e instupiditi, la cui ideologia no-global dovrebbe costringere a vivere in una caverna. Il tono è sferzante, corrosivo, decisamente ripetitivo, ma piuttosto ironico. Proprio alla fine infatti, il libro ci insegna che l’unico modo per difendersi dall’ottusità di questo essere, più unico che raro persino tra i giovani in effetti, è l’ironia. Ironia è superiorità. Ed è anche la chiave di lettura (l’unica) del libro, divertente, se non altro. Proprio con ironia quindi, possiamo tirare un sospiro di sollievo insieme all’autore nel constatare, che lo spettro del comunismo è scomparso da tempo e che i nostri privilegi, purtroppo o per fortuna, sono al sicuro da qualsivoglia pericoloso tentativo di rivoluzione.

 

Angela Galloro

 

(www.bottegascriptamanent.it, anno V, n. 43, marzo 2011)


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